Mattarella rinvia la partenza delle consultazioni, di notte e a fari spenti

            Annunciate per martedì 3 aprile, la prima giornata lavorativa dopo le feste di Pasqua e Pasquetta, le consultazioni al Quirinale per la soluzione della crisi apertasi con le formali dimissioni del governo di Paolo Gentiloni cominceranno invece mercoledì 4. Sarà trascorso allora un mese esatto dalle elezioni politiche del 4 marzo.

            Un rinvio di ventiquattro ore è certamente modesto. Eppure è un segno del buio pesto nel quale si muove la diciottesima legislatura. E che non incoraggia certamente il presidente della Repubblica alla fretta, già di suo estranea al suo temperamento, Anzi, Sergio Mattarella ha già messo nel conto almeno due turni di consultazioni, senza ricorrere per il secondo agli espedienti passati delle esplorazioni affidate al suo supplente, cioè il presidente del Senato, o ad altri, come il presidente della Camera.

            Di un nuovo governo, appunto per il buio pesto, non si vede neppure l’ombra, anche se i giornali ne anticipano o immaginano a iosa. E il candidato grillino a Palazzo Chigi, Luigi Di Maio, ne vede invece solo uno, di composizione incerta, anzi incertissima, ma comunque presieduto da lui, e non da altri, perché così avrebbero deciso gli elettori. Dei quali invece si si sa solo che un terzo ha votato per il movimento delle 5 stelle e due terzi contro. Tanto è vero che ai grillini mancano un centinaio di seggi parlamentari per poter fare da soli, come ricorda un giorno sì e l’altro pure a Di Maio l’interlocutore più assiduo che risponde al nome di Matteo Salvini. E di cui pure il capo grillino in assoluto, che è Beppe Grillo, va parlando in giro come dell’uomo più affidabile in circolazione al di fuori del movimento pentastellare.

            Ma Salvini, per quanta fiducia abbia in lui Grillo e per quanta diffidenza o paura ne abbia invece Silvio Berlusconi, non intende rinunciare all’alleanza con l’ex presidente del Consiglio indigesto a Di Maio. Che ne fa addirittura una questione d’igiene politica, non gradendo incontrarlo, e neppure rispondere a qualche sua telefonata. Che invece Berlusconi sarebbe pronto a fargli, se gli fosse garantita una risposta.

            La diffidenza di Berlusconi verso l’alleato leghista, già accusato una volta di tradimento dopo le elezioni con un comunicato ufficiale, pur rientrato nel giro di mezza giornata, si evince anche dalla decisione attribuita al presidente di Forza Italia di partecipare autonomamente, con le due donne appena insediate ai vertici dei suoi gruppi parlamentari, e forse anche con qualche altro consigliere, al rito delle consultazioni al Quirinale. Dove pertanto la coalizione di centrodestra -che pure si vanta di aver vinto le elezioni più ancora dei solitari grillini, disponendo insieme di più seggi parlamentari di loro, oltre ad avere raccolto nelle urne più voti-  si presenterà in ordine sparso. Toccherà poi a Mattarella decifrarne gli umori.

            Alla partecipazione alla sfilata nello studio del capo dello Stato, peraltro, Berlusconi ha attribuito un obiettivo di solito estraneo a questo rito: quello della sua piena legittimazione politica, in attesa della riabilitazione chiesta l’8 marzo scorso per l’esaurimento della pena inflittagli cinque anni fa per frode fiscale, e poi della pronuncia della corte europea dei diritti umani sul suo ricorso contro l’incandidabilità comminatagli sino all’anno prossimo con l’applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino.  

            Al Quirinale, in verità, Berlusconi si è già affacciato altre volte dopo la ridotta agibilità politica. Ma questa volta la presenza gli preme più di altre un po’ per rifarsi dello smacco subìto col soprasso elettorale ad opera dei leghisti e un po’, a leggere certe cronache, dalla voglia che gli è tornata di prenotare per sé direttamente, condizioni politiche e non politiche permettendo, un adeguato Ministero. Che non potrebbe che essere quello degli Esteri per la competenza e le conoscenze internazionali che vanta. Ma non ditelo, per favore, a Di Maio e a Grillo perché quelli uscirebbero pazzi. E non potrebbero neppure cambiare interlocutori, dal centrodestra alla sinistra, perché hanno appena litigato col Pd per la spartizione delle vice presidenze parlamentari e degli uffici di questori e segretari.   

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