Una sommessa preghiera a Sua Santità perché non ci faccia scherzi…

            No, Santità, con la pausa sanitaria che si è data, almeno negli impegni esterni, non ci faccia scherzi: né da prete, né da gesuita, né da Papa, con la maiuscola. Si ristabilisca presto e torni a farci sobbalzare o sognare o sospirare, secondo i gusti di chi L’ascolta e di chi La vede e inevitabilmente Indisposizione 3 .jpegparagona le Sue parole e il Suo stile col predecessore ancora in vita e per nulla dimenticato. Di cui sono bastate due o tremila battute trascritte digitalmente da qualche collaboratore per un libro in uscita di un cardinale africano per provocare il finimondo, al di là e al di qua delle mura vaticane, e -temo- anche per farLe perdere la pazienza. Che, in verità,  si è rivelata inferiore a tutte le attese, almeno di chi non La conosceva bene, sin da quando si è liberato con poco garbo, francamente, da una stretta di mano troppo insistente, per quanto inoffensiva, di una fedele. E poi ha in qualche modo allontanato un monsignore dal nome troppo complicato per scriverlo di getto, come sto facendo. Il cui torto a molti è sembrato, a torto o a ragione, solo o soprattutto di essere quello di ricordare più il Papa emerito che quello felicemente regnante.

            Non ci faccia scherzi. Santità, specie con quel nome impegnativo che si è dato, unico tra tutti i Papi succedutisi dopo la morte e la rapida santificazione di Francesco d’Assisi. Che da lassù ci rimarrebbe malissimo ad accoglierLa così prestoIndisposizione 2 .jpeg rispetto a quella sera di quasi sette anni fa soltanto in cui ci annunciò simpaticamente di essere salito sul trono di Pietro “quasi dalla fine del mondo”, per quanto di Roma conoscesse già abbastanza bene la lingua ereditata da Mario Bergoglio, il papà piemontese emigrato nel 1929 in Argentina.

            Non ci faccia scherzi, Santità, in un momento peraltro già così denso di preoccupazioni di salute per tutti in questo mondo tanto più globalizzato quanto più esposto ai pericoli di un qualsiasi virus sconosciuto.

            Non ne faccia, di scherzi, in particolare, al Suo devotissimo, per quanto laico e forse neppure credente, Eugenio Scalfari. Al quale Sua Santità ha fatto la grazia, con le telefonate e le udienze qualche Indisposizione 1 .jpegvolta trasformate in interviste con una imprudenza generosamente perdonata, di distrarlo per un po’ dalle vicende politiche di questa nostra povera Italia, diventate spesso solo degli incisi nei suoi appuntamenti con gli elettori, prevalentemente domenicali come le messe e le prediche.  

            Al prossimo Angelus, Santità.   

 

 

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Tanto rumore per nulla con l’udienza di Matteo Salvini al Quirinale

            Pur ridotta nel sito del Quirinale a un rigo e poco più in testa ai comunicati di giornata per Comunicato Quirinale.jpegriferire che “il Presidente Mattarella ha ricevuto il senatore Salvini”, l’udienza ottenuta sul Colle dal leader della Lega ed ex ministro dell’Interno ha fatto un rumore della Madonna – scusate l’espressione- sui quotidiani. Dove  notisti, retroscenisti e quant’altri hanno tratto lo spunto per descrivere nuovi scenari politici immaginati o proposti dall’interlocutore del capo dello Stato, che invece nei venti minuti d’incontro non si sono neppure Corriere.jpegaffacciati. Lo ha precisato il quirinalista principe del giornalismo italiano, che è Marzio Breda, abituato sul Corriere della Sera a non scrivere o attribuire al presidente della Repubblica di turno umori e pensieri che non abbia personalmente raccolto dall’interessato e dai suoi uffici.

            Era stato stabilito già prima dell’udienza, forse addirittura come condizione per inserire peraltro l’incontro nel contesto di una giornata destinata a concludersi con la partecipazioneBreda 1 .jpeg del capo dello Stato al vertice governativo bilaterale italo-francese, che fossero “esclusi in partenza -ha scritto Breda- gli scenari di inconcepibili disegni Il Fatto.jpego di insostenibili governissimi su cui qualcuno si è esercitato per stressare Palazzo Chigi”. E che sul Fatto Quotidiano sono stati riproposti come “inciucione Renzi-Salvini” e “Poltronavirus”, dato il La Stampa.jpegpretesto colto nelle cronache sanitarie per liquidare “un governo arrivato al capolinea”, secondo l’analisi Libero.jpegdi Giovanni Orsina sulla Stampa o “il presidente dimezzato” affisso in arancione sulla prima pagina di Libero.

            Niente di tutto questo passa lontanamente per la testa di Mattarella, “concentrato -per ripetere le parole di Breda- solo su quel che c’è adesso”, al massimo disposto a ripensarci nel caso in cui le opposizioni dovessero Breda 2 .jpegriuscire a sfiduciare il governo in Parlamento con numeri che prefigurino da sé una maggioranza alternativa. Che è la formula della cosiddetta “sfiducia costruttiva”, peraltro prevista nella Costituzione tedesca ma non in quella italiana, o non ancora, per quanto auspicata da più parti.

            Tutto pertanto si è risolto, durante i venti minuti d’incontro al Quirinale, nella impazienza di Salvini -ha sempre raccontato Breda- di “riaprire il Nord” chiuso dalle ordinanze e quant’altro del governo Conte e nella illustrazione delle “proposte economiche” leghiste per uscire da un’ emergenza ammessa d’altronde dallo stesso presidente del Consiglio nei giorni scorsi preannunciando “cure da cavallo”.

            Tanto rumore quindi per nulla, sempre a proposito del quarto d’ora e poco più di Salvini al Quirinale? Pare proprio di sì. E viene da chiedersi se valesse la pena concedere quell’udienza, nel contesto -ripeto- di una giornata d’impegni anche internazionali del capo dello Stato.  Di cui diamo pure per certo l’obiettivo o il risultato attribuitogli dal quirinalista del Corriere della Sera di “una ripresa dei rapporti” con Salvini  “dopo mesi di gelo e incomunicabilità”, risalenti forse ad una data anche anteriore all’apertura dell’ultima crisi di governo e al passaggio della Lega all’opposizione. 

 

 

 

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La maledizione di vivere nell’Italia “normalizzata” dalle 5 Stelle

E’ apprezzabile quanto meno la schiettezza con la quale la presidente grillina della Commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo, ha voluto difendere e spiegare il controverso provvedimento sulle intercettazioni. Il cui cammino parlamentare, sino a qualche settimana fa di incerto epilogo per le forti resistenze dell’opposizione e le divisioni createsi nella maggiorana giallorossa, è stato in qualche modo sbloccato anch’esso, come quello delle cosiddette mille proroghe, dal mezzo disarmo politico provocato dalla diffusione della forma di polmonite importata dalla Cina.

            In particolare, l’onorevole Businarolo, quasi con voce dal sen fuggita,, ha spiegato ai lettori del Dubbio che l’equiparazione dei reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia e di terrorismo, con la conseguente applicazione dell’assai invasivo metodo Trojan nelle intercettazioni, deriva dalla specialità dell’Italia. Che non è per niente un paese “normale” per la diffusione che ha nei suoi confini il fenomeno della corruzione, reale o percepito che sia. Questa almeno è l’opinione fattasi dell’Italia dai grillini, che in forza dei voti, dei seggi parlamentari e delle alleanze politiche realizzate in meno di due anni di questa legislatura uscita dalle urne del 4 marzo 2018, sono riusciti ad imporla sul piano legislativo. E ciò, peraltro, nel momento non della loro maggiore forza ma della loro maggiore debolezza, vista la crisi interna al loro movimento, guidato da un reggente -Vito Crimi- dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo.

Della crisi del Movimento 5 Stelle sono espressioni di una evidenza disarmante anche il defilamento del fondatore, garante, “elevato” e quant’altro  Beppe Grillo, preso dalle sue dichiarate apnee notturne; il rinvio a tempo sostanzialmente indeterminato dei cosiddetti Stati Generali, indetti originariamente ai fini di un chiarimento per metà marzo; le sconfitta accumulate in tutte le elezioni, di vario livello, seguite a quelle del 2018 e infine quel misero, anzi miserrimo 9,52 per cento di affluenza alle urne cui hanno concorso domenica scorsa nelle elezioni suppletive a Napoli per la sostituzione di un loro senatore defunto. Il cui seggio è andato alla fine al terrestre, diciamo così, Sandro Ruotolo col 48 per cento di quel 9,52 di votanti contro il 23,3, sempre di quel 9,52, del candidato a 5 stelle Luigi Napolitano.

            Secondo un sondaggio Swg ancora fresco di stampa quel che resta della militanza e dell’elettorato grillino pone le sue maggiori speranze, per cercare di uscire dalla crisi d’identità e di ogni altro tipo sopraggiunta alla vittoria elettorale di due anni fa, in Alessandro Di Battista. Che anche per questo forse sta tornando dall’Iran, dove si era avventurato per vacanza e studio, in groppa al 36 per cento delle simpatie attribuitegli, fra i grillini, contro il 26 per cento dell’ex capo ma pur sempre ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Agli altri restano le briciole: il 9 per cento al pur presidente della Camera Roberto Fico, contestato nella sua Napoli quando ha proposto come strategico il rapporto col Pd, il 6 per cento alla vice presidente del Senato Paola Taverna, che non nasconde di certo la sua ambizione o “disponibilità” a scalare il movimento, il 5 per cento alla sindaca di Torino Chiara Appendino e l’1 per cento appena al reggente Crimi.

Di Battista, Dibba per gli amici, non la pensa di certo diversamente dall’onorevole Businarolo sulla specialità, diciamo così, dell’Italia.  Che, non essendo un paese “normale”, meriterebbe leggi e trattamenti speciali non per diventare finalmente normale, evidentemente, ma per diventarlo sempre meno, in un inseguimento del paradosso che fa drizzare i capelli, almeno a chi li ha.

La normalità targata 5 Stelle è quella delle leggi penali retroattive, e delle proteste contro la Corte Costituzionale quando si permette di censurarle. E’ quella della prescrizione bloccata, cioè eliminata, con l’epilogo del primo dei tre gradi di giudizio, in modo che per gli altri due i processi possono durare quanto l’ergastolo. E’ quella dei diritti acquisiti bollati per principio come privilegi da ghigliottinare, magari in attesa di riservare la stessa sorte alle persone che ne hanno potuto beneficiare, in una riedizione della Rivoluzione francese del 1789, con gli spettacoli del patibolo in piazza. E’ quella degli organi giurisdizionali, come quelli per la cosiddetta autodichia parlamentare, validi solo se emettono verdetti di un certo tipo, gradito alle 5 Stelle. Altrimenti diventano organi odiosi di casta, da abolire o ricomporre daccapo facendo dimettere chi ne fa parte, com’è accaduto praticamente al Senato per la commissione chiamata a pronunciarsi sulla riduzione dei cosiddetti vitalizi, anche a novantenni con un piede già nella fossa e l’altro già senza scarpa.

Mi chiedo, a questo punto, se non ha ragione Andrea Marcenaro a scrivere sul Foglio, nella sua rubrichetta di prima pagina che ne porta un pò il nome, se “questo nostro trojan di Paese”, per niente normale come dice la Businarolo, non sia “in quarantena minimo dal 1992”, col bambino buttato da certa magistratura insieme con l’acqua sporca.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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Gli indesiderati effetti indotti del coronavirus nelle aule parlamentari

            Chiamiamoli pure effetti indotti del coronavirus. Sono quei fatti politici che hanno potuto maturare e in qualche modo nascondersi dietro o fra le pieghe delle cronache sui focolai dell’infezione di origine cinese scoperti in Italia. Sono fatti tuttavia destinati a far sentire le loro conseguenze concretamente quando del coronavirus si potrà finalmente parlare di meno per il suo auspicabile esaurimento o contenimento.

            Il fatto più rilevante è l’accresciuta sproporzione fra il peso reale del maggiore partito della coalizione giallorossa, il Movimento 5 Stelle, e quello esercitato in Parlamento, dove La cenere.jpegsono passati o stanno Travaglio.jpegpassando in questi giorni provvedimenti che sembravano assai controversi, come quelli sulle intercettazioni e sulle cosiddette mille proroghe. Che cadono sulle nostre teste come la cenere quaresimale appena depositata sul capo di Papa Francesco, e fra la compiaciuta ironia di Marco Travaglio sul suo Fatto Quotidiano.

            Con Matteo Renzi costretto a retrocedere dalle circostanze sanitarie, diciamo così, sino a mettersi spontaneamente in quarantena politica, uscendo dal tiro a segno diversamente dall’altro Matteo, Salvini, che vi è rimasto procurandosi problemi anche nel “suo” centrodestra, i grillini l’hanno spuntata con una nuova disciplina delle intercettazioni che dal 1° maggio, festa ancora del lavoro, ne garantirà di più solo ai pubblici ministeri e a chi potrà spiare troianamente -da Trojan- all’incirca chiunque e ovunque.

             I grillini l’hanno spuntata anche lasciando in vigore del 1° gennaio scorso la prescrizione targata Bonafede, che scompare con l’esaurimento del primo dei tre gradi di giudizio. Resta invece incerto e indefinito il percorso della riforma del processo penale per stabilirne davvero la “ragionevole durata” incisa a parole nella Costituzione. Se ne accorgeranno, ben prima dei quattro o cinque anni di attesa che gli amici ottimisti del guardasigilli sbandierano nelle dichiarazioni e interviste, gli imputati nei processi per direttissima.

             La potenza di fuoco dei grillini, per via della loro rappresentanza parlamentare conquistata nelle elezioni politiche di meno di due anni fa e tuttavia smentita negli appuntamenti successivi con le urne a vario livello, stride -a dir poco- con l’impossibilità da essi stessi riconosciuta di arrivare ad un chiarimento interno con i cosiddetti Stati Generali, annunciati per metà marzo e rinviati a tempo praticamente indeterminato.

             Vito Crimi, il reggente subentrato al dimissionario Luigi Di Maio, rimasto “semplice” ministro Crimi.jpegdegli Esteri, pur in questi tempi eccezionali per un titolare della Farnesina, è sempre più chiaramente contestato per la precarietà del suo mandato e per la incapacità di sciogliere i nodi che via via arrivano al pettine del movimento, come il modo, per esempio, in cui partecipare alle elezioni regionali di primavera: con o contro il maggiore partito alleato di governo.

               La base delle 5 Stelle è così incerta e sbandata che nelle elezioni suppletive appena svoltesi a Napoli per la successione a un senatore grillino defunto ha potuto solo contribuire ad un’affluenza alle urne inferiore, nel suo complesso, al 10 per cento: roba legale, legittima, per carità, ma anche ridicola, senza volereRuotolo.jpeg con ciò mancare di rispetto a chi si è aggiudicato il seggio. E’ il giornalista Sandro Ruotolo, sostenuto soprattutto dal Pd e votato dal 48 per cento del 9,52 per cento degli elettori recatisi alle urne, contro il 23,23 per cento, sempre del 9,52, del candidato pentastellato Luigi Napolitano. Che per fortuna è solo parzialmente omonimo del napoletanissimo Giorgio, presidente emerito della Repubblica.

 

 

 

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Occorrerebbero museruole più che mascherine, almeno nei palazzi politici

            Più che di mascherine, approdate anche nell’aula di Montecitorio in questi giorni di paura da coronavirus, si avverte il bisogno di museruole nei cosiddetti palazzi del potere, nazionale e locale. Sono volate troppe parole grosse per essere frettolosamente archiviate e derubricate a intemperanze.

            Anche il presidente della Repubblica sembra che sia rimasto esterrefatto e sia intervenuto con la solita discrezione, almeno sinora, per esortare al senso della misura, dopo essere stato personalmente investito della questione del linguaggio -si è vociferato dalle parti del Quirinale- dal governatore leghista Fontana.jpegdella Lombardia Attilio Fontana. Che pure, spalleggiato dall’assessore forzista alla Sanità Giulio Gallera, aveva appena dato del “cialtrone”, o del “ciarlatano”, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte anche per ripagarlo dello scemo che lo stesso Conte aveva dato il giorno prima al leader leghista Matteo Salvini defininendo pubblicamente “scemenze” appunto, davanti a microfoni e telecamere, le critiche dell’ex ministro dell’Interno. Il quale, a sua volta, era stato l’unico, fra gli interlocutori dell’opposizione interpellati dal presidente del Consiglio, a non rispondere alle sue chiamate telefoniche, prima di ripensarci e chiamarlo lui, magari dicendogli, come ha immaginato un vignettista, di non avere il numero del suo rivale nella memoria del telefonino, per cui non si era reso conto di essere stato cercato.

            Più che da politica, e da classe dirigente, diciamo la verità, lo spettacolo è da quello che si chiama comunemente asilo Mariuccia. Cui, senza volergli mancare di rispetto, e pur con le attenuanti del momento difficile, o della sua tenuta fuori ordinanza, in maglioncino anziché in doppiopetto o monopetto blu e pochette, Conte ha quanto meno contribuito sprecando -temo- l’occasione offertagli paradossalmente dal coronavirus di proteggere il suo governo con lo scudo dell’emergenza sanitaria e sociale. Che si è aggiunta a quella economica da lui stesso evocata qualche giorno prima con la prospettazione, peraltro, di una “cura da cavallo”: una emergenza economica destinata ad aggravarsi proprio per gli effetti del coronavirus.

            Un presidente del Consiglio proveniente peraltro dalla docenza universitaria e dalla professione forense non fa una bella figura quando affronta il problema sempre delicatissimo dei rapporti fra lo Stato e le Regioni, con le loro autonomie ordinarie o speciali garantite dalla Costituzione, prima accennando al bisogno di contenerne diritti e competenze e poi Conte in maglioncino.jpegdicendo di essere stato, testualmente, “frainteso” da interlocutori evidentemente non sufficientemente attrezzati per comprenderlo a dovere. Un po’ di umiltà non nuocerebbe neppure a lui, che potrebbe ben ammettere, una volta tanto, di non avere saputo spiegarsi. O, più semplicemente, di essersi sbagliato. Non abbiamo mica Giovanni Pico della Mirandola a Palazzo Chigi.  E neppure -va detto con onestà- il “Contevirus” denunciato La Verità su Cinte.jpegsu tutta la prima pagina, in un impeto oppositorio, del giornale La Verità diretto dal mio pur amico Maurizio Belpietro. Al quale Massimo D’Alema avrebbe dato quanto meno del “menagramo”, come una volta fece con Massimo Cacciari contestandone le critiche sprezzanti e lamentandone la barba troppo folta e quella volta tutta nera, non ancora argentata per l’età.

 

 

 

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Singolare gara fra scienziati e politici a chi si divide di più sul Coronavirus

            Va bene che siamo in pieno panico infettivo, di andata e ritorno anche in Italia, dove a Ischia non è stato accolto nel migliore dei modi chi arrivava dal Nord, dopo che a Mauritius una comitiva di italiani appena sbarcati dall’aereo ha dovuto scegliere fra la quarantena e il rientro immediato in patria, ma fa lo stesso una Libero.jpegcerta, sconsolante impressione la gara che si è aperta fra scienziati, o virologi, e politici su chi si divide di più nella valutazione del Coronavirus. Che si è già guadagnato su un giornale –Libero-  il diminutivo di Corona e l’accusa quasi empatica di averci fatto “perdere la testa”.

            Una volta tanto, a parte la vignetta contro il solito avversario di turno, naturalmenteSalvini sul Fatto.jpeg Matteo Salvini, ritratto con la sua “bava contagiosa”, condivido il sarcasmo di Marco Travaglio sulTravaglio.jpeg Fatto Quotidiano con i virologi che hanno preso il posto dei politici negli studi televisivi, dalla mattina alla sera, assentandosi peraltro dai loro luoghi di lavoro, per distinguersi e litigare a proposito dell’infezione, su come chiamarla e fronteggiarla. E’ uno spettacolo quanto meno penoso, che contribuisce ad aumentare la confusione prodotta, volenti o  nolenti, dalle cosiddette autorità, centrali e locali.

            Non so se più come effetto o origine dello scontro col già ricordato Salvini, accusato davanti alle telecamere nella sede e dintorni della Protezione Civile di dire “scemenze” attaccando il governo e reclamando più o meno direttamente dimissioni di questo o di quel ministro, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte se l’è presa, per la confusione esistente, con le regioni settentrionali governate dagli uomini del partito dell’ex ministro dell’Interno. Egli è arrivato a prospettare una riduzione dei loro poteri, tradotta in commissariamento da parecchi giornali. Gli ha immediatamente risposto da Milano il governatore leghista Attilio Fontana dichiarandosi “offeso” e invitando praticamente Conte a prendersela piuttosto col suo giovane ministro della Sanità Roberto Speranza, della sinistra dei liberi e uguali, per i ritardi con i quali starebbe rifornendo di mascherine ed altro gli ospedali, che pure mi sembrano, o sembravano, di competenza regionale.

            Divisi fra di loro, ripeto, come i virologi dai quali dovrebbero pur farsi consigliare, i politici in maggiore difficoltà sembrano essere quelli del centrodestra. All’interno del quale si è creata una certa frattura, su cui hanno prontamente investito le forze della maggioranza e lo stesso presidente del Consiglio, fra l’irremovibile Salvini d’attacco e i disponibili alla “responsabilità”. Che sarebbero Silvio Berlusconi, arrivato a smobilitare o quasi nell’occasione dell’emergenza infettiva l’opposizione al decreto legge sulle intercettazioni a rischio di decadenza, ma soprattutto Giorgia Meloni, diventata elettoralmente insidiosa per la Lega dopo avere surclassato Forza Italia.

Eppure è stata proprio una sorella dei Fratelli d’Italia della Meloni, la deputata Maria Teresa Mascherina alla Camera.jpegBaldini, a portare l’allarme dell’infezione nell’aula di Montecitorio presentandosi in mascherina. Nell’altro ramo del Parlamento, il Senato, qualcuno è arrivato a pensare addirittura Senato in serrata.jpegalla sospensione dei lavori parlamentari, tradotta in “serrata” da un giornale, per sbarrare la strada al Coronavirus, o Corona. Ma non è finita. Si parla pure di un rinvio del referendum del 29 marzo sul taglio dei seggi parlamentari per evitare che l’affluenza ai seggi elettori produca focolai d’infezione.

 

 

 

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Che spettacolo la politica in mascherina, sfuggita ai posti di blocco !

            La politica in mascherina, non da Carnevale, interrotto dalla paura, ma da Coronavirus, si sottrae anche ai posti di blocco presidiati da Carabinieri con mitra e mascherina, pure loro, e corre sui giornali come impazzita, in una gara a chi la spara più grossa per stendere l’avversario di turno. Che sul versante più vivace della destra  è rimasto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, asserragliatosi nel fortino della Protezione Messaggero.jpegCivile, e a sinistra è ridiventato Il Fatto sullo sciacallo.jpegMatteo Salvini, procuratosi dello “sciacallo” dal solito Fatto Quotidiano di Marco Travaglio per avere  deciso di cavalcare anche lo sbarco del Coronavirus in Italia, come un carico qualsiasi di migranti, e chiesto al governo di “lasciare”.

            Nella sua foga e voglia di mettere Conte quanto meno nell’angolo, il leader della Lega ha anche rifiutato sprezzantemente, secondo alcune ricostruzioni di stampa, di rispondere alle richieste telefoniche di aiuto o consultazione del presidente del Consiglio, diversamente da quanto invece ha fatto, rispondendo sempre e puntualmente, l’altro Matteo, cioè Renzi. Che si era già messo spontaneamente in “quarantena” all’annuncio del primo morto in Italia per questo maledetto Giachetti contro Conte.jpegvirus che ha interrotto o devastato la Via della Seta -ricordate?- imboccata dal precedente governo gialloverde. Renzi, tuttavia, non è riuscito a trattenere il pur fedele Roberto Giachetti, che facendo un po’ di confusione fra i due Mattei ha seguito stavolta quello sbagliato, secondo lo schema di gioco per squadra, gridando a Conte di non saper fare il presidente del Consiglio.

            Se la situazione non fosse dannatamente seria, visto anche che siamo pur sempre alla vigilia di quello che almeno una volta era il martedì grasso, cioè l’ultimo giorno di Carnevale, si Giornale sul coproifuoco.jpegpotrebbe anche ridere davanti alla rincorsa fra la politica in mascherina e i giornali che le sonoLa Verità su incapaci al governo.jpeg corsi dietro, e persino scavalcata col “coprifuoco” gridato dal Giornale della famiglia Libero su Paese infetto.jpegBerlusconi, gli “incapaci al governo” della Verità di Maurizio Belpietro e il “Conte inetto, Paese infetto” di Libero, emulo dell’Espresso che nel 1955 gridava “Capitale corrotta, Nazione infetta”, per via della speculazione edilizia a Roma.

            In questa rincorsa sulla strada non so se più del ridicolo o del drammatico la cosa forse più sensata sul terreno della politica, degli schieramenti e delle prospettive di un governo che, francamente, non stava poi così bene neppure prima che fosse investito dal Coronavirus;  la cosa più sensata, dicevo, l’ha forse avvertita l’eterno democristiano Gianfranco Rotondi. Che dall’interno Rotondi.jpegdi Forza Italia, strappando non so se davvero o per finta da Silvio Berlusconi, prontissimo anche lui, come Renzi, a rispondere alle telefonate di Conte in questa contingenza sanitaria, si era dato da fare nelle scorse settimane per organizzare pattuglie di “responsabili”, pronti a salvare in Parlamento il governo dall’assalto del senatore di Scandicci e leader di Italia Viva. “Siamo responsabili ma non fessi”, ha dichiarato Rotondi fermando ogni operazione di soccorso ad un ferito già salvato, a suo modo, proprio dal Coronavirus all’insegna della solita emergenza, già avvertita e annunciata peraltro dallo stesso Conte sul terreno economico. Altri, magari, preferiscono chiamarla ipocrisia, opportunismo, paura, vigliaccheria e quant’altro.

 

 

 

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Se anche Matteo Renzi si mette a sorpresa in quarantena…

             Nonostante le raccomandazioni di Massimo Recalcati su Repubblica, di fronte all’arrivo e allo sviluppo Repubblica.jpegdel Coronavirus in Italia, il panico ha preso, ma per fortuna, anche Matteo Renzi. Che, prima di vedersi accusare di essere anche il “paziente zero”  dell’infezione dai giornali che non sanno vivere ormai senza di lui come preda, ha sentito il bisogno di mettersi in quarantena politica, e di raccomandarla anche agli altri.

             Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rappresentato sulla prima pagina del manifesto in “terapia intensiva” nella sede il manifesto.jpegdella Protezione Civile, dove ha riunito in e per l’emergenza il governo, avrà tirato un sospiro di sollievo, dopo avere compiuto l’imprudenza, secondo alcuni dei suoi adoratori, di dare appuntamento  proprio a Renzi per un incontro chiarificatore.

            Un po’ di panico invece, per le pieghe che avevano preso le polemiche politiche durante la cosiddetta verifica promossa dal capo del governo per mettere a punto e presentare alle Camere, con tanto di richiesta di fiducia, la cosiddetta “agenda 2023”, deve avere preso anche Eugenio Scalfari. Che per una volta ha messo Papa Francesco in coda al suo appuntamento domenicale con i lettori per riservarne l’apertura, tutta critica ed  allarmata, a Renzi. Cui il fondatore di Repubblica ha rimproverato di avere nominato invano, come bestemmiando, l’ex presidente della Banca Europea e suo amico personale Dario Draghi per le danze di successione a Conte a Palazzo Chigi.

            Ora forse, a editoriale scritto e pubblicato, apprese le ultime sul senatore di Scandicci e leader di Italia Viva, Scalfari potrà mettersi -se lo vorrà- l’anima in pace e tornare alle prioritarie preghiere laiche per il Pontefice “rivoluzionario”, che ha saputo far vacillare il suo ateismo, o volterismo.

            Il panico infine si è affacciato nella temeraria -visti i tempi che corrono, e sconsigliano anche riunioni condominiali- Assemblea Nazionale del Pd, riunitasi nell’auditorium di via della Conciliazione, a due passi da San Pietro, per  eleggere alla presidenza la sindaca di Marzabotto Valentina Cuppi, ma soprattutto per annacquare il vino di Goffredo Bettini. Che in prima fila, senza dare segni di fastidio, non solo ha incassato le critiche da sinistra ai suoi ripetuti inviti a liberare finalmente la maggioranza giallorossa e il governo dai renziani per sostituirli con i parlamentari “responsabili” disponibili tra le fila di Silvio Berlusconi e dintorni, dipendendone, ma alla fine ha mostrato pure lui sollievo all’idea di qualche amico stretto del segretario del partito Nicola Zingaretti di “non sostituire, bensì aggiungere” pezzi alla variegata compagnia.

            Buona quarantena a tutti, anche ai vignettisti che vi Rolli.jpegresistono beffeggiando il virus, verrebbe voglia di augurare, favoriti anche dall’ormai imminente fine del Carnevale, il 25 febbraio, salvo la piccola coda ambrosiana, e dall’ingresso dei fedeli nella Quaresima. Cui ricordava spesso nella Dc Amintore Fanfani sarebbe seguita la resurrezione anche di quelli che lui stesso aveva appena deciso di chiudere in qualche sarcofago politico. Ciò capitò nel 1973 persino al suo ormai ex delfino Arnaldo Forlani. Che sarebbe tornato alla segreteria del partito dopo 16 anni, ma avendo fatto nel frattempo il ministro degli Esteri, il presidente del Consiglio, il presidente del partito e il vice presidente del Consiglio, nonchè moderatore, di Bettino Craxi. Non andò peggio all’altra “vittima” del 1973: Giulio Andreotti, tornato a Palazzo Chigi appena tre anni dopo.

 

 

 

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Silvio Berlusconi da consumatore a grande produttore di “responsabili”

         Abituato a fare le cose alla grande, e curarle anche nei dettagli, Silvio Berlusconi in meno di dieci anni è diventato dal più grande consumatore -o “fruitore finale”, direbbe il suo avvocato e qualcosa in più Niccolò Ghedini-  al più grande produttore di “responsabili “. Che non sono cioccolatini o biscotti, ma parlamentari di pronto soccorso, che rispondono dai banchi dell’opposizione alle necessità della maggioranza di turno per evitarne la caduta, e con essa magari anche le elezioni anticipate.

          La prima, vera operazione di “responsabili” risale alla fine del 2010, quando Berlusconi da Palazzo Chigi ebbe bisogno di Domenico Scilipoti,  Antonio Razzi, Salvatore Moffa ed altri per scampare alla sfiducia promossa contro di lui addirittura dal presidente della Camera e ormai ex alleato Gianfranco Fini. Ma la crisi arrivò  ugualmente meno di un anno dopo con lo zampino dell’Unione Europea, non più di Fini.

          La seconda operazione dei “responsabili” nacque nell’autunno del 2013, quando lo stesso delfino berlusconiano del momento, Angelino Alfano, e tutti gli altri ministri azzurri del governo di Enrico Letta, nato all’insegna delle larghe intese, rimasero al loro posto nonostante il passaggio ALFANO.jpegdel Cavaliere all’opposizione per la sua estromissione dal Senato, essendo stato condannato in via definitiva per frode fiscale. Oltre che “responsabili”, i ribelli si definirono con una certa comicità, che non dispiacque all’interessato, “diversamente berlusconiani”. E rimasero nel governo anche quando ad Enrico Letta subentrò dopo qualche mese Matteo Renzi, confortati peraltro da un’intesa sulle riforme VERDINI.jpegstipulata dallo stesso Renzi con Berlusconi, pur fermo all’opposizione con quel che restava di Forza Italia. Dalla quale tuttavia un’altra parte sarebbe uscita per iniziativa di Denis Verdini quando l’intesa sulle riforme saltò, con l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, e Berlusconi si irrigidì all’opposizione.

          Ora che Verdini si è ritirato e opera dietro le quinte come suocero virtuale di Matteo Salvini, i “responsabili” di cui Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i grillini, i piddini e la sinistra dei liberi e uguali hanno bisogno per sottrarsi alla crisi inseguita da Renzi vengono selezionati PAOLO ROMANI.jpege organizzati fra i berlusconiani dall’ex ministro ed ex capogruppo al Senato Paolo Romani. Che non  perdona a Berlusconi di avere subìto il veto posto contro di lui alla presidenza del Senato all’inizio di questa legislatura per un peculato in cui era incorso da assessore di Monza, lasciando usare al figliolo il telefonino di servizio del Comune.

          La cosa curiosa tuttavia è che non si capisce bene se l’operazione Romani, chiamiamola Il Fatto.jpegcosì, sia davvero sgradita a Berlusconi, come dice pubblicamente, o no: un mistero che si aggiunge a quello appena sparato dal Fatto Quotidiano sulla sua assenza dalla scena da qualche giorno, forse distratto addirittura da una mezza fuga d’amore.

          Il salvataggio di Conte o una sua sostituzione all’interno di una maggioranza allargata appunto ai “responsabili” in sostituzione dei renziani, tutto sommato, si tradurrebbe in un logoramento, all’interno del centrodestra, di un Salvini cresciuto troppo per le abitudini e i gusti del Cavaliere. Che di Conte peraltro apprezza quanto meno il sarto.

 

 

 

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Bonafede finisce tra due fuochi: i magistrati e gli ormai nemici renziani

Non so, francamente, se a questo punto delle trattative, consultazioni e quant’altro sulla riforma del processo penale -necessaria per evitare che la prescrizione bloccata attualmente col primo grado di giudizio, si trasformi nell’’ergastolo esistenziale dell’imputato, per quanto a piede libero nella maggior parte dei casi- siano più sfortunati i vertici dell’associazione nazionale, cioè del sindacato, dei magistrati o il guardasigilli Alfonso Bonafede, peraltro sotto minaccia di sfiducia individuale al Senato. Dove i numeri della maggioranza sono per lui estremamente pericolosi e i potenziali “responsabili” sensibili alla sorte del governo, e ancor più della legislatura, tra le fila berlusconiane ben difficilmente potrebbero salvare il capo della delegazione pentastellata nell’esecutivo, anche se volessero, dato il terreno assai sensibile -quello delle giustizia- su cui si gioca  la partita aperta nello schieramento giallorosso da Matteo Renzi.

Il nodo delle sanzioni disciplinari per i magistrati nelle mani dei quali si allungano troppo i tempi processuali previsti dalla riforma predisposta da Bonafede è arrivato al pettine, con il “tavolo” predisposto per il 26 febbraio, che il sindacato delle toghe ha deciso di disertare per protesta, nel momento più infelice per entrambe le parti.

Anche se volessero, i vertici dell’associazione dei magistrati non potrebbero mollare sulla strada della resistenza o contrarietà perché la pagherebbero troppo cara nelle elezioni interne del 22 marzo, come ha spiegato bene Errico Novi descrivendo la geografia molto complicata del sindacato delle toghe, analoga per correnti e quant’altro a quella dei partiti più variegati e sofferenti.

Pure il ministro Bonafede, d’altronde, anche se volesse andare maggiormente incontro alle attese, richieste e quant’altro dell’associazione dei magistrati, mobilitatitisi per respingere l’immagine che si potrebbe avere di loro come di “fannulloni”, che fanno marcire i fascicoli giudiziari come frutti sugli alberi,  non potrebbe perché esporrebbe il fianco a Renzi e alle opposizioni di centrodestra ancora più di quanto non abbia già fatto rifiutando la sospensione della sua disciplina della prescrizione, in vigore dal 1° gennaio scorso. E’ una sospensione giustamente reclamata per modificarla e contestualizzarla con la riforma del processo penale, finalizzata a garantirne la ragionevole durata imposta dall’articolo 111 della Costituzione.

La sfortuna dei vertici associativi delle toghe e del ministro della Giustizia è aggravata dalla coincidenza della crisi dei loro rapporti con la notizia fresca di stampa di una decisione presa da un giudice delle indagini preliminari a Roma sulle indagini che portano la sigla della Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione, dopo più di un anno -sedici mesi, a quanto pare- dalle richieste avanzategli dalla Procura della Repubblica.

Ancora più lungo fu il tempo trascorso in passato, nello stesso ufficio, per gli sviluppi di un’altra clamorosa vicenda processuale: quella sui guadagni di borsa effettuati con le azioni delle banche popolari fatte acquistare da un imprenditore informato della loro imminente riforma dal presidente del Consiglio in carica in quei tempi.

Non faccio nomi, né del giudice né degli indagati, e della loro rilevanza politica, mediatica o d’altro tipo ancora, perché  ritengo -magari ingenuamente, da ricovero in qualche struttura sanitaria, o da soccorso con qualche ambulanza lanciata a sirene spiegate per le strade di Roma- che il problema travalichi gli aspetti personali e riguardi, più generalmente, il funzionamento degli uffici e della macchina giudiziaria nel suo complesso.

Chi giustamente reclama, specie sul sensibile e appropriato fronte forense, indagini e decisioni più accurate che affrettate, a garanzia degli imputati e della Giustizia, con la maiuscola, converrà che più di un anno per esaminare un fascicolo, per quanto voluminoso, è un tempo troppo lungo per fare spallucce e passare ad un altro argomento. E tanto meno per liquidare il garantismo, che inorridisce sia per la giustizia affrettata sia per quella a tempo sostanzialmente indeterminato, come un vizio che il lupo, buono o cattivo che sia, non perde neppure cambiando pelo.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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