Il manuale di Carola e tifosi per rendere impopolare l’Europa

              La vicenda della teutonica Carola Rachete, o Rackete, che al comando della solita nave tedesca sotto bandiera olandese ormai specializzata in soccorsi in acque libiche  ha sbarcato contro ogni divieto il suo carico nel porto italiano di Lampedusa, rischiando peraltro di schiacciare una motovedetta della Guardia di Finanza e procurandosi anche per questo l’arresto, si è Repubblica.jpgparadossalmente trasformata Il Fatto.jpgin un manuale per rendere tanto popolare Matteo Salvini, nonostante le sue smargiassate verbali, quanto impopolare l’Europa. Cui la Repubblica italiana di carta col solito titolo forte di prima pagina  ha riconosciuto il merito di stare “con Carola”, appunto. E quindi contro l’Italia o il suo governo legittimamente in carica, per quanto ogni giorno traballante per contrasti interni, che però non riguardano l’immigrazione, essendo su questo terreno leghisti e grillini in sintonia, o in dissenso misurato.

               Ormai la legittimità, di cui tutti si riempiono la bocca quando parlano degli avversari, è diventata un valore relativo. Per molti è legittimo solo ciò che fa comodo, o collima con le proprie opinioni, illegittimo tutto il resto. Anche il fondatore della Repubblica italiana di carta, Eugenio Scalfari, che pure da qualche tempo onora la sua veneranda età immergendo i propri articoli domenicali nella filosofia, nella letteratura, nella storia e nelle arti, è sceso questa volta sul terreno della quotidianità per mettere sugli scudi la teutonica Carola e buttare nelle fiamme dell’Inferno politico Salvini.

            Scalfari ha ritrovato nel leader leghista  quel Benito Mussolini che peraltro lui fece in tempo, da giovanotto, a sentire e vedere  invaghendosene al pari di tanti altri, coetanei o meno giovani. Poi, certo, e prima ancora di farsi crescere la barba, il signore si ravvide per battere altre strade e ammirare altri uomini o storie, l’ultima delle quali è stata quella di Enrico Berlinguer, che “Barpapà” è tornato anche in quest’ultima domenica di giugno a proporre manifesto.jpgcome modello al Pd del fratello del mitico commissario Montalbano. Dove però, anziché studiare Berlinguer, con le sue luci e naturalmente anche con le sue ombre, pur generosamente dimenticate da Scalfari, taluni dirigenti hanno avuto altro da fare in questi giorni: tifare pure loro per Carola, salire sulla sua barca, incoraggiarla a sfidare le leggi italiane e assistere anche alla sua dimostrata incapacità di attracco, di cui lei stessa ha dovuto scusarsi con le guardie di Finanza appena scampate alla morte.

              Se l’Europa, quella ritrovatasi a Osaka con gli altri “Grandi” della Terra e quella tornata a Bruxelles per trattare la ripartizione delle cariche dell’Unione dopo il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, dovesse essere disgraziatamente Carola 2 .jpge davvero l’Europa solidale con Carola Rachete, o Rackete, potremmo ben dire e scrivere di lei quello che Rolli.jpgScalfari ha appena scritto dell’Italia per lamentare i voti che così abbondantemente raccoglie la Lega di Salvini. “L’opinione pubblica italiana è in gran parte fuori strada”, ha sentenziato don Eugenio trovando così, a sua insaputa, anche la ragione forse principale delle tante copie perse in questi anni nelle edicole pure dalla sua Repubblica:  compie che non temo destinare a tornare con quei titoli nerboruti come “Forza Capitana” e “L’Europa sta con Carola”.

 

 

 

 

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Adesso si calcolano i danni procurati dalla “capitana” Carola Rachete

             Fermata o arrestata che sia mentre scrivo, avendo di fronte a me il dispaccio dell’Ansa sugli sviluppi notturni della vicenda della nave arrivata al suo comando nel porto di Lampedusa Ansa.jpgcon una quarantina di migranti, non certamente destinati a morire di fame e altri stenti dal momento del loro soccorso in mare, la  giovane “capitana” tedesca Carola Rachete è riuscita paradossalmente a creare più danni a chi l’ha issata come una bandiera in questi giorni che a se stessa, e ai proprietari della nave battente bandiera olandese affidata incautamente alla sua guida.

            La stecca nel coro mediatico improvvisatosi a favore di questa donna scambiata addirittura per un’Antigone dei nostri giorni, rivoltatasi contro il Creonte di turno, che sarebbe il vice presidente leghista del Consiglio italiano e ministro dell’Interno Matteo Salvini, con o senza il permesso dell’incolpevoleQuirico.jpg Sofocle, è di tale livello da lasciare tramortiti. E’ stato Domenico Quirico, lo storico inviato della Stampa, che ne ha viste, vissute e raccontate di tutti i colori nella sua esperienza professionale a contatto con guerre, carestie e atrocità di ogni tipo, a scrivere un onestissimo e ragionevolissimo articolo intitolato con la stessa semplicità ed efficacia dei suoi reportage: “Cara Carola, stai sbagliando”. Ne sarà arrossito di imbarazzo, spero, leggendolo il direttore dell’affiliata, associata e non so come altro definirla Repubblica  diretta da Carlo Verdini, dopo i ventenni di Eugenio Scalfari e di Ezio Mauro, e il regno breve di Mario Calabresi.

            Il succo del discorso, ragionamento e quant’altro di Quirico, anche se non esplicitato come sto facendo io, è lo stesso del vecchio adagio popolare sulla strada dell’inferno lastricata di buone intenzioni. La presunta, nuova Antigone ha soccorso in mare dei naufraghi per sottrarli al ritorno Attracco.jpgnell’inferno libico e li ha resi ostaggi della sua personalissima e curiosa guerra contro le regole, gli interessi, la linea del legittimo governo dell’Italia. Della quale tutto si può francamente dire e scrivere ma non che non abbia dato, e abbastanza, di suo sul terreno dell’ospitalità e del soccorso ai migranti, tra l’indifferenza e spesso la dichiarata ostilità di altri paesi europei che godono della loro lontananza dalle coste africane. E stanno lì a misurare, di giorno e di notte, di quanti decimali di punti siano contestabili i nostri bilanci, e di quali e quante multe e procedure d’infrazione sia minacciabile il governo di turno a Roma. Via, diciamo la verità, è un’autentica vergogna. E che lo si lasci dire solo a Salvini è un’altra vergogna.

            Ci sono “anti-italiani”, come li ha chiamati dalla lontana Osaka, in Giappone, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, pur parlando dei nostri conti e non dei migranti, che pur di tifare per la “capitana” Vauro.jpgCarola cConte con bicchieri.jpgontro il “capitano” Salvini hanno sognato per qualche giorno un morto, qualsiasi e per qualsiasi ragione, sulla nave Sea Watch, o su qualsiasi spiaggia italiana, da poter fotografare e stampare sulle prime pagine accanto all’immagine del padre e della figlia affogati nelle lontane acque ai confini fra gli Stati Uniti  e il Messico. Vergogna, per la terza volta.

            Ma chi è riuscito e venir fuori nel peggiore dei modi da questa guerra dei capitani, chiamiamola così, è stato lo sfigatissimo Pd di Nicola Zingaretti, ormai inarrestabile, nonostante i segretari nel frattempo avvicendatisi al suo vertice o capezzale, nella marcia dalla vocazione maggioritaria di Walter Veltroni, nel 2007, che sembrava ravvivata da Matteo Renzi nelle elezioni europee del 2014, alla vocazione al suicidio.

          Carola è diventata per ventiquattro ore, festeggiata sulla sua stessa nave da un grappolo di Giannelli.jpgparlamentari saltativi a bordo, una specie di Papessa di un Pd rigenerato, capace finalmente di mettere nell’angolo o schiacciare come un verme Salvini. Il quale invece sta ora festeggiando, e a ragione, anche quest’altra occasione che il Pd ha voluto perdere per non rendere inconciliabile la sicurezza e la sinistra, che solo il povero Marco Minniti da quelle parti raccomanda, inascoltato, di sapere invece  coniugare.

 

 

 

 

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Le foto sconnesse di Conte in Giappone e del suo governo in Italia

             Quelle foto di Giuseppe Conte in festa a Osaka, accolto con tutti gli onori e l’allegria riservati dai giapponesi  agli ospiti  altolocati del vertice mondiale noto come G20, non sono molto in sintonia, diciamo così, con le notizie del governo e dei ministri lasciati a Roma dallo stesso Conte. Che si è prudentemente portato appresso, fidandosene o diffidandone di meno, solo il ministro dell’Economia Giovanni Tria per meglio trattare, capire, definire e quant’altro con gli interlocutori europei trasferitisi anch’essi in Giappone, sia pure per motivi e argomenti superiori, i modi di sottrarsi alla procedura d’infrazione comunitaria per debito eccessivo improvvisata contro l’Italia dalla Commissione uscente di Bruxelles.

            A distanza non so esattamente di quante decine di migliaia di chilometri, o miglia, dalla missione del suo presidente in Giappone, il governo gialloverde a Roma ha rimediato una fiducia al Senato, per l’approvazione di un provvedimento addirittura sulla crescita, formalmente ineccepibile -158 voti contro 104 e 15 astensioni- ma politicamente zoppicante. Sulla carta il governo dovrebbe poter disporre a Palazzo Madama di 161 voti per sopravvivere in un’aula al completo, senza le  assenze generosamente considerate casuali ma in realtà sempre, o quasi sempre, ottenute apposta dalle opposizioni  per mettere in sicurezza la traballante maggioranza di turno. E si sa che i gialloverdi zoppicano, appunto, in Senato per i dissidenti grillini già espulsi, o andati via spontaneamente, o in procinto di farlo.

            Contemporaneamente, o quasi, a distanza di qualche chilometro dal Senato, il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio, titolare di due dicasteri importanti come quelli dello Sviluppo Economico e del Lavoro, ha auspicato, previsto, annunciato, come preferite, la “cottura” del gruppo Benetton impegnato nelle autostrade, revocandone le concessioni per l’affare del ponte crollato l’anno scorso a Genova e Schermata 2019-06-28 alle 13.56.41.jpgappena demolito del tutto  per farne costruire uno nuovo. Naturalmente Atlantia -così si chiama la società decottanda, diciamo così, ma ancora utile a salvataggi tipo quello di Alitalia– ha protestato e minacciato azioni legali per i danni che subiscono i suoi titoli in Borsa, e i risparmiatori che li posseggono, ad ogni annuncio governativo che ne compromette le sorti.

            Non parliamo, per carità di spazio e di Patria, con la maiuscola, di tutte le vertenze, vecchie e nuove, di aziende in crisi gestite dai due dicasteri di Di Maio ed esplose in questa torrida estate in annunci o minacce di chiusure, licenziamenti e cause.

            Sul versante anch’esso controverso delle autonomie cosiddette differenziate la ministra leghista che se ne occupa da un anno è sbottata letteralmente contro Conte, al quale ha ricordato, per quanto impegnato in tutt’altre faccende in Giappone, che si era personalmente impegnato a risolvere la pratica, chiamiamola così, entro il 15 febbraio scorso.

            Ma qualcosina va detta pure, naturalmente, sul  Viminale e sulle acque di Lampedusa che hanno metaforicamente invaso l’ufficio del ministro-capitano Matteo Salvini, sfidato nave bloccata.jpgdalla “capitana” tedesca di un nave battente bandiera olandese. Che si fa scudo di 42 migranti a bordo per sottrarsi agli ordini e ai divieti nelle acque territoriali italiane, tra gli applausi e le incitazioni di tante anime belle alle quali ha deciso di offrire soccorso e titoli-bandiera anche il giornalone Repubblica. Che con quella testata sente ogni tanto l’orgoglio e l’occasione di fare concorrenza, per capacità di influenza, al Quirinale.

            Formalmente la partita è fra il “capitano” e la “capitana”. In realtà, per essere -al solito- franchi ed espliciti, la partita è fra il capitano Salvini e Gazzetta.jpgla magistratura, di cui si teme un intervento delegittimante nel caso in cui il prefetto competente, eseguendo il nuovo decreto legge sulla sicurezza appena entrato in vigore, sequestri davvero la nave alla capitana, confiscandola, oltre che multandola, e non la fermi per qualche giorno per lasciarla poi ripartire, com’è accaduto con le toghe  prima delle nuove norme.

            Il rischio di un intervento della magistratura contro quello del prefetto nasce dalla circostanza della “reiterazione” del reato richiesta dal decreto fresco di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Reiterazione nell’arco dell’attività abituale e già nota della nave in questione o dalla data di applicazione della nuova norma? E reiterazione rispetto a un fatto o a più ordini non eseguiti nell’arco di una stessa giornata o vicenda?

            Non parlo dei magistrati in servizio, e peraltro distratti anche da vicende interne alla loro categoria non proprio commendevoli, come ha Rolli.jpglamentato lo stesso presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura, ma anche fra i giuristi Salvini, “il capitano”, stenta a trovare sostegni veri, col clima che c’è contro di lui, del quale il meno che si sogna è la fine di Mussolini a Piazzale Loreto.

          Un giurista, in verità, Nordio.jpgè uscito allo scoperto a favore del ministro dell’Interno: il solito Carlo Nordio, magistrato naturalmente in pensione, anche se ha avuto coraggio ad esporsi controcorrente sin da quando era in servizio, pagandone gli effetti naturalmente in termini di carriera.

Tutti incredibilmente al lavoro per Matteo Salvini sul fronte elettorale

              Vorrei chiedere a Emilio Giannelli, che sulla prima pagina del Corriere delle Sera ha appena eretto sarcasticamente un monumento a Matteo Salvini, facendogli indossare gli indumenti e le parole di Cesare, ciò che ho già chiesto al mio amico Giampaolo Pansa, autore di un libro fresco di stampa contro Salvini, sempre lui, dandogli del “dittatore” nel titolo di una copertina naturalmente e rigorosamente nera, se sono davvero convinti di lavorare così contro il leader della Lega, nonché vice presidente del Consiglio, ministro dell’Interno, “Capitano”, “Truce” e via sfottendo o disprezzando.

             A me non pare che così si lavori contro Salvini, specie dopo averlo visto crescere nelle urne, nel giro di un solo anno, tanto da doppiare il suo temporaneo alleato di governo e di salire al il manifesto.jpgvertice della graduatoria elettorale Repubblica.jpgd’Italia. Sono invece  convinto che così si lavori indefessamente, e in tanti, a suo favore, commettendo un’autorete politica e psicologica di lunghissimo effetto. E lo dico pensando a tutti gli altri titoli, fotomontaggi, vignette che si vedono sfogliando una qualsiasi rassegna stampa: da Repubblica al Fatto, dal manifesto al Secolo XIX e ad altro ancora.

             Tutti sembrano incredibilmemente, masochisticamente al lavoro, anzi al servizio del leader leghista nel momento in cui una improvvisata e politicamente assai sprovveduta ragazza tedesca, diciamo Lermer.jpgcosì, ha deciso di sfidare non tanto Salvini quanto un intero governo, per quanto malmesso, al comando di un mercantile in cui, francamente, non so dire se i 42 migranti soccorsi in mare siano alla fine diventati ostaggi più di lei che di quelli che li avevano messi in mare nell’esercizio del più turpe dei mercati o traffici.

            Non è minimamente passata per la testa di questa “capitana” di avere sfidato il “capitano”, per stare ai giochi di parole dei giornali, degli editorialisti, dei vignettisti, dei politici, nel momento a lei Rolli.jpgpiù sfavorevole, dopo avere perduto ogni possibile appoggio o appiglio dei pur generosi organismi giudiziari, o simili, della imbelle Europa. Che da tempo, direi troppo tempo, sta letteralmente abusando della posizione geografica dell’Italia: la più vicina ed esposta al fenomeno biblico delle migrazioni dall’Africa e dallo stomachevole commercio che hanno deciso di farne i trafficanti di carne umana.

            Fate, fate, signori dell’indignazione facile e delle allusioni. Tifate pure per la “capitana” Il Fatto.jpgCarola Rachete, e per i soldi suoi personali e della sua famiglia benestante, e per quello specialista delle provocazioni politiche e di piazza che le sta metaforicamente dietro, l’italiano Luca Casarini, già affacciatosi di persona sulla stessa scena marittima prima di andarsi a prendere un aperitivo nella buvette di Montecitorio. Continuate pure in questo giocoSchermata 2019-06-27 alle 07.17.55.jpg in cui Salvini ha tutto da guadagnare, specie se la situazione politica dovesse precipitare verso le elezioni anticipate, con una campagna elettorale infernale, per temperatura fisica, politica e sociale. Fate, fate. E poi correrete tutti a farvi consolare in qualche buon ritrovo dal mio amico Giulianone Ferrara. Che sul Foglio ha deciso di partecipare a suo modo a questa incredibile corsa verso l’abisso, lasciando tuttavia che ogni tanto si spenda per Salvini sullo stessol giornale, affidato alla direzione di Claudio Cerasa, la solitaria Annalisa Chirico, da lui chiamata -o sfottuta- Chirichessa. Che fa rima con baronessa, al minuscolo per favore.

 

 

 

 

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In attesa della Tav, viaggiano ad alta velocità le bugie di chi vi si oppone

            La lista del contenzioso nel governo gialloverde, già alle prese in questi giorni  con l’aggiornamento del bilancio, per Giannelli.jpgcercare di fermare la procedura europea di infrazione per debito eccessivo, coll’approdo in Parlamento delle cosiddette autonomie differenziate, per non provocare la crisi ad opera dei leghisti, con la revoca delle concessioni autostradali ai Benetton, minacciata da un anno dai grillini per reazione al crollo del ponte Morandi a Genova ma bloccata dal timore di costosissime penali, e dall’intervenuto interesse degli stessi Benetton ad un progetto pentastellato di salvataggio dell’Alitalia, e con altro ancora; la lista del contenzioso, dicevo, si è improvvisamente allungata col ritorno sulla scena della cosiddetta Tav. O della versione maschile -il Tav- preferita dagli espertissimi del Fatto Quotidiano nella campagna che conducono per impedirne la realizzazione.

            All’improvviso il pubblico grillino che ha continuato, sia pure a ranghi molto ridotti rispetto a un anno fa, a votare per le cinque stelle il 26 maggio scorso si è accorto che il progetto del trasporto ferroviario delle merci ad alta velocità  da Lione a Torino, non è stato per niente bloccato, come i dirigenti del Movimento delle 5 Stelle avevano fatto loro credere nella campagna elettorale per le europee e le amministrative di primavera. Il progettoCorriere.jpg va avanti, per giunta con lo stanziamento di nuovi fondi da parte dell’Unione Europea condizionato alle tappe cui stanno provvedendo i bandi d’appalto appena annunciati dal Consorzio internazionale Telt. Il cui consiglio d’amministrazione si è riunito a Parigi non in clandestinità. E neppure all’insaputa -è stato precisato- della “struttura” più o meno commissariale che si occupa della vicenda a Palazzo Chigi, almeno da quando i grillini si sino rimessi, o hanno mostrato di rimettersi, alle valutazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte anche come avvocato.

            Al ritorno di questo problema sulla scena si sono fatti risentire anche i sostenitori delle soluzioni minimali o alternative, come i treni senza galleria, arrampicati sulle montagne, che Salvini ha liquidato sostanzialmente come giocattoli avvertendo che a lui, e al suo partito, specie dopo i risultati elettorali del 26 maggio, compresi quelli per il rinnovo del Consiglio regionale del Piemonte, piacciono i treni che corrono davvero, non sopra ma sotto, o dentro le montagne. E pazienza se il suo omologo grillino a Palazzo Chigi come vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, già alle prese con problemi di sopravvivenza politica all’interno del proprio movimento, ha reagito dichiarandosi assediato dal voracissimo “partito del cemento”, non contento evidentemente di avere appena vinto anche la partita del conferimento Il Fatto.jpgdelle olimpiadi invernali del 2026 a Milano e a Cortina. Di cui al Fatto Quotidiano -e dove sennò?- hanno già cominciato ad elencare i possibili “predatori”, varianti evidentememte dei “prenditori”, a loro volta varianti degli imprenditori. Tutto da quelle parti si tiene: concetti, parole e invettive.

            In attesa, naturalmente paziente, come vogliono le regole della natura e della politica, almeno di quella italiana, di arrivare all’alta velocità nel trasporto ferroviario delle merci tra la Francia e l’Italia, possiamo ben goderci l’alta velocità alla quale viaggiano le bugie cui sono costretti a ricorrere sotto le 5 stelle per convincere quel che rimane del loro elettorato a non abbandonarli. E a sognare, invece, quel ritorno alle “origini” compromesse dalla burocratizzazione Repubblica.jpgministeriale di Luigi Di Maio  e amici, secondo l’analisi orgogliosamente “scorretta” di Alessandro Di Battista condivisa, ma esposta più filosoficamente, diciamo così, dal presidente della Camera Roberto Fico in una intervista pubblicata da Repubblica con l’aria di uno scoop eccezionale.

 

 

 

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Un D’Alema di annata sorpreso a contraddirsi su Lega e Renzi

A 70 anni compiuti in aprile D’Alema è diventato come il buon vino che produce: invecchiando migliora. In una lunga intervista a Vittorio Zincone, per il supplemento 7 del Corriere della Sera, egli  ha riconosciuto almeno alcuni dei suoi errori, pur rivendicando le attenuanti della “generosità” -addirittura per la decisione di lasciare il Pd due anni fa tuffandosi con Pier Luigi Bersani e altri in qualche centimetro d’acqua elettorale, come si è rivelato il bacino dei fuorusciti dal partito allora guidato da Matteo Renzi- e persino della “professionalità”. Che è stata simpaticamente assegnata d’ufficio dal cantautore Paolo Conte, ammirato da D’Alema, a chi sbaglia nel “mondo adulto”.

L’ex presidente del Consiglio si è persino dato dello “sciocco” per “l’abitudine” avuta negli anni del maggiore potere, all’opposizione prima e al governo poi, di “punzecchiare i giornalisti”, peraltro suoi colleghi, non rendendosi        conto che ciò “non aiutava l’immagine” che pure voleva dare di leader tagliente ma arguto.

A dire il vero, arrivando nell’autunno del 1998 a Palazzo Chigi per sostituire Romano Prodi con un’operazione, obiettivamente, più da palazzo che elettorale, come invece avrebbeD'Alema a Palazzo Chigi.jpg dovuto consigliare lo spirito sia pure parzialmente maggioritario voluto dagli italiani col referendum di cinque anni prima, D’Alema concesse la grazia, diciamo così, a tutti i colleghi giornalisti con la rinuncia alle querele pendenti. Ma, diavolo di un uomo, ci ricascò alla prima occasione Forattini.jpgdenunciando Giorgio Forattini per una vignetta che  lo rappresentava impegnato a sbianchettare una lista di spie italiane, vere o presunte, degli scomparsi servizi segreti sovietici. E furono soldi che il vignettista avrebbe dovuto sborsare vendendosi qualche casa se a pagare non fosse intervenuto l’editore con una generosità spontanea come i contributi di solidarietà imposti per legge.

Fra le cose rimastegli pesantemente sulle spalle  ma di cui D’Alema ha voluto liberarsi c’è quella specie di certificazione di sinistra accordata alla Lega definendola una sua “costola”. Ma, anziché cavarsela rivalutando Umberto Bossi, che allora la guidava, rispetto all’odierno Matteo Salvini, secondo lui affetto da “populismo più intossicante di quello delle cinque stelle” perché misto a “razzismo”, D’Alema ha voluto precisare, anche a costo di darsi la zappa sui piedi, di avere parlato della Lega solo come “costola del movimento operaio”, riuscendo già allora il Carroccio a raccoglierne i voti. Eppure l’odiato Renzi, l’altro Matteo, non si era ancora  neppure affacciato sulla scena della sinistra per “rottamare” chi l’aveva guidata o rappresentata sino ad allora e procurarsi così l’accusa di averne allontanato l’elettorato tradizionale.

Da rottamato, D’Alema è stato in fondo clemente nel suo restauro di politico aduso ormai a “viaggiare molto” anche per tenersi a distanza dalle “bassezze” attuali di casa nostra. E mi sento di condividere il torto che il mio amico Pasquale Laurito, il decano ormai dell’associazione della stampa parlamentare, orgoglioso di avere lui “cresciuto” D’Alema, ha appena rimproverato al “taverniere toscano”- in una intervista al Corriere della Sera- di avergli preferito Federica Mogherini cinque anni fa per l’incarico di alto commissario europea per la politica estera e di sicurezza. Beh, se c’era un abito adatto a D’Alema, e utile anche a Renzi a Palazzo Chigi, era proprio quello. E non certo per fargli vendere meglio all’estero il vino che produce al termine di una carriera politica cominciata ai tempi di Palmiro Togliatti parlando ad un congresso come “pioniere”. A sentire ragionare quel ragazzo il segretario del Pci lo scambiò per “un nano”. E poi, più seriamente, gli predisse un bel futuro, in cui gli sarebbe accaduto, come ad ogni leader, di perdere qualcuno per strada.

Il più clamoroso abbandono del campo dalemiano è stato sicuramente quello di Marco Minniti, che Minniti.jpgha appena proposto sul Foglio una specie di manifesto della sinistra riformista che, secondo lui, sarebbe oggi rappresentata soprattutto dai sindaci che nelle Petruccioli.jpgultime elezioni amministrative hanno dimostrato capacità di resistere alla deriva populista e di destra. E pensare che D’Alema una volta liquidò come “cacicchi” i sindaci cresciuti di peso con l’elezione diretta, tanto da sentirsi più forti dei partiti in cui militavano. Analogie col “manifesto” di Minniti le ho un po’ trovate, specie sul tema della sicurezza, nella bella intervista di Claudio Petruccioli a Carlo Fusi.

 

 

 

Pubblicato parzialmente su Il Dubbio

Il convitato di pietra grillino alla festa per le olimpiadi invernali a Milano e Cortina

              A dispetto delle dichiarazioni di gaudio e di quel lembo di tricolore sventolato anche dal presidente del Conti.jpgConsiglio grillino – o paragrillino-  Giuseppe Conte, il Movimento delle 5 Stelle è il convitato di pietra nella festa mediatica e politica esplosa in Italia con l’assegnazione dei giochi olimpici invernali del 2026 a Milano e Cortina: un’assegnazione decisa a Losanna dall’apposito comitato internazionale con 47 voti contro 34, regolarmente segreti. Ma ne se ne sarebbero bastati 42 per prevalere sulla candidatura svedese.

            Sintomatico del fastidio procurato da questo successo italiano al movimento grillino, e alla sua filosofia della cosiddetta “decrescita felice”, preferita ad una crescita a rischio di sprechi e imbrogli, è il titolo dedicato all’avvenimento non tanto dal manifesto, con uno “sblocca cantieri”  di polivalente interpretazione, quanto dalSchermata 2019-06-25 alle 08.17.49.jpg solito Fatto Quotidiano. Che tanto bene riflette l’anima grillina, e l’alimenta con i suoi titoli, le sue cronache, le sue invettive, i suoi appelli, per fortuna non sempre ascoltati, da avere già cominciato a strillare e a piangere sulla “sconfitta” addirittura dell’Italia. E si prepara a fare previsioni e conti di tutto ciò mnifesto.jpgche potrebbe costarci questa dannata impresa. Dalla quale non a caso si è tirata fuori la Torino della sindaca a cinque stelle, come la Roma della sindaca pentastellata si tirò fuori da altri giochi olimpici, in coerenza -si vantò- con una linea adottata a livello nazionale da quel governo tecnico di Mario Monti su cui il movimento grillino ha pur scritto e scrive le peggiori cose possibili.

            D’altronde è proprio all’ombra, al fantasma, al pericolo di un altro governo tecnico alla Monti che il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio si sta difendendo in questi giorni dagli attacchi dell’amico-concorrente Alessandro Di Battista, accusandolo di lavorare per “destabilizzare” il rapporto di alleanza o collaborazione con la Lega e, più in generale, la situazione politica.

            La festa indigesta, per i grillini, delle olimpiadi invernali assegnate a Milano e Cortina, o “la goduria dei Giochi senza i grillini”, come ha Il Foglio.jpgtitolato sul Foglio il direttore Claudio Cerasa, è un po’ la ciliegina sulla torta della lunga stagione elettorale di questoMessaggero.jpg 2019. Che tra votazioni europee, regionali e amministrative, si è conclusa per i pentastellati come peggio, francamente, non poteva, dimezzando la loro consistenza ed aprendo all’interno del Movimento una crisi dagli sviluppi davvero imprevedibili.

             Tanto rapidamente e confusamente è cresciuto il movimento creato dal comico genovese sparando “vaffanculo” nei teatri e sulle piazze in tutte le direzioni, quanto rapidamente potrebbe dissolversi a contatto, e non solo a contratto di governo, con i problemi reali del Paese. Che sono un po’ diversi, diciamo così, da quelli immaginati da Grillo e liquidati da lui, e dai suoi spettatori-elettori, con formule più ridicole o paradossali che altro, prima di diventare tragiche per le sorti del Paese.

            In questa situazione, mentre il governo si appresta a quell’aggiustamento del bilancio rinviato all’ultimo momento nella scorsa settimana per cercare di evitare la sospetta procedura miniSalvini.jpgd’infrazione per debito eccessivo messa in cantiere dalla Commissione uscente di Bruxelles,  facendone coincidere il percorso, guarda caso, con le trattative sulle nuove cariche nell’Unione Europea; in questa situazione, dicevo, è stato sin troppo facile a Matteo Giorgetti.jpgSalvini far prevalere la propria festa, accanto alla bandiera nel suo ufficio al Ministero dell’Interno, su quella di facciata di Giuseppe Conte, francamente molto meno credibile e coerente del leader leghista e del suo fidato Giancarlo Giorgetti, che ha partecipato personalmente al progetto infine riuscito a Losanna.

          Salvini ha così fatto un altro passo avanti sulla sua strada di protagonista di questa congiuntura politica italiana. O di “dittatore”, come teme o prevede nel suo libro fresco di stampa il mio vecchio amico Gianpaolo Pansa, costretto tuttavia da un confronto nel salotto televisivo di Lilli Gruber con Paolo Mieli, Vittorio Sgarbi e Lucio Caracciolo a chiedersi lui stesso se non ha esagerato a scegliersi quel titolo. E a imporlo ad una casa editrice che in fondo guarda più ai guadagni possibili dalle vendite che al resto.

 

 

 

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E’ diventato il governo della Cycas quello presieduto da Giuseppe Conte

               Il governo gialloverde di Giuseppe Conte fa figli come la Cycas, una pianta molto bella e resistente -si consoli il presidente del Consiglio- originaria dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania ma diffusasi parecchio anche nei giardini italiani. Può ben diventare il simbolo del governo in carica cycas maschio.jpg questa pianta, che è di genere sia maschile, con un fiore che troneggia tra le foglie come un fallo, sia femminile, al cui centro si forma una gigantesca e morbida ovaia. Erano piante costose una volta. La loro diffusione le ha un po’ deprezzate, ma rimangono -ripeto- molto belle e resistenti.

             Quando diventano troppe le foglie gialle, senza allusione al colore del movimento grillino, anche se i risultati elettorali del 26 maggio non sono stati esaltanti per i pentastellati, esse si possono recidere senza compromettere, anzi migliorando la pianta, che diventa più verde, senza allusione al cycas femmina.jpgcolore della Lega, raddoppiata di voti e di consensi nelle urne. E che, a dire il vero, tenta ogni tanto di archiviare il suo verde di un tempo, quello di Umberto Bossi, per sostituirlo col blu, in tonalità più forte dell’azzurro ormai stinto, non a caso, della Forza Italia più volte fondata e restaurata dall’instancabile Silvio Berlusconi, espertissimo peraltro di giardinaggio. Pertanto il Cavaliere  potrebbe cominciare col demolire e fare a pezzetti questo mio dilettantesco tentativo di applicare le piante alla politica, o viceversa.

            Nato un anno fa, sulle soglie dell’estate, come si sa, per essere iscritto all’anagrafe come un governo bicolore, o bipartito, composto da grillini e leghisti, nell’ordine dei voti appena raccolti dagli uni e dagli altri nelle urne del 4 marzo per il rinnovo delle Camere, il governo Conte già in autunno, quando rischiò una procedura europea d’infrazione per debito eccessivo nella preparazione daltra cyclas.jpgel bilancio del 2019, divenne di fatto tricolore. Il terzo partito, come fu battezzato dai giornali, era quello dei ministri tecnici, in particolare degli Esteri e dell’Economia, e infine dello stesso presidente del Consiglio, particolarmente sensibili alle preoccupazioni, ai moniti, ai suggerimenti e a quant’altro del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che seppe guidarli bene, dietro le quinte, ma un po’ anche davanti, nelle trattative comunitarie, sino a scongiurare la bocciatura comunitaria del bilancio trasformando il deficit del 2,4 al 2,04 per cento del prodotto interno lordo, noto di più con le sue iniziali: pil. Potenza di uno zero messo al posto giusto.

            E’ un po’ quello che sta tornando, o potrebbe tornare a verificarsi in questa estate, sia pure a Commissione europea ormai scaduta, ma ugualmente insorta contro i conti italiani:  non si è ancora capito bene se più per farci del male davvero, con multe e penalizzazioni speculative nei mercati finanziari contro i titoli del purtroppo enorme debito pubblico nazionale, o solo per tenerci a cuccia, tagliandoci unghie e qualcosa d’altro nelle trattative sulla distribuzione delle cariche dell’Unione con l’insediamento dell’Europarlamento eletto il 26 maggio, senza lo sfondamento dei cosiddetti sovranisti. Per cui le danze continuano a volerle condurre i popolari, o democristiani, come li chiamavamo una volta, e i socialisti con l’aiuto maggiore, questa volta, di centristi alla Macron, all’ingrosso, verdi e liberali. Di grillini e leghisti, o viceversa, dati i loro novi rapporti di forza, neppure a parlarne quindi, anche se di parlare non smette in Italia Matteo Salvini: e tanto forte da farsi sentire a Bruxelles, specie ora che reclama per l’Italia la ricetta economica a stelle e strisce di Donald Trump, già abbastanza ingombrante di suo per stare quindi a descrivere gli effetti, positivi o negativi, che può procurare una sua semplice strizzatina d’occhio.

            Il governo tripartito aveva almeno un vantaggio, sino a qualche giorno o settimana fa: un’accettabile unità interna degli altri due partiti, pur con le solite differenze, gelosie, concorrenze, ipocrisie e simili. Adesso invece il movimento grillino è esploso nella sua frustrazione da sconfitta elettorale, con Alessandro Di Battista che, avendo imparato il mestiere anche di falegname, Repubblica.jpgappare a torto o a ragione come l’aspirante cassamortaro -dicono nella sua sua Roma- del povero Luigi Di Maio. Che si è stancato di fingere la parte del fratello, o quasi, ed ha cominciato a lanciare segnali non dico di insofferenza, ma di guerra vera e propria, definendo Dibba, nome d’arte di Alessandro Di Battista, “destablizzatore”. E’ un po’  come ai tempi del Pci i dissidenti venivano liquidati, e a volte anche radiati, come “frazionisti”.

            Ma ora scricchiola anche la Lega di “capitan” Salvini, che non riesce più a tenere uniti i suoi a sfogliare la margherita della crisi sì e crisi no, fra un annuncio e l’altro delle tante cose ancora da poter fare insieme ai grillini, nonostante tutto, sino all’esaurimento ordinario della legislatura, addirittura.

            Già visibilmente insofferente da tempo, Giancarlo Giorgetti, che è l’uomo di fiducia voluto e posto da Salvini a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, anziché starsene calmo ad attendere la promozione promessagli a commissario europeo a non si sa ancora bene cosa, o proprio per questo, ha aggiunto all’abitudine di dire che “così non si può andare avanti”, né lontano né vicino, il coraggio di liquidare come “inverosimili” i cosiddetti minibot, destinati ai creditori della pubblica amministrazione e sostenuti un giorno sì e l’altro pure dal collega di partito e presidente di commissione parlamentare Claudio Borghi. Il quale gli ha risposto a brutto muso assicurando di godere anche della condivisione di Salvini in persona, e nario draghi.jpgrisparmiandogli -debbo dire- l’argomento di ferro di cui dispone e che tutti fingono di ignorare o di avere dimenticato: il voto unanime -ripeto, unanime- con cui il Parlamento si è recentemente pronunciato a favore, con l’appoggio del rappresentante di turno del governo in aula. Ma questa è un’altra storia da infiochhettare sotto la Cycas del Conte, col premesso anche del buon Mario Draghi, insorto contro i minibot come presidente della Banca Centrale Europea prima ancora del suo amico ed estimatore Giorgetti.

 

 

 

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Il fotomontaggio galeotto del Fatto Quotidiano sulla crisi gialloverde

            Lo specchio della situazione politica italiana è in un fotomontaggio sulla prima pagina del Fatto Quotidiano, con due attori in primo piano -Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista- che litigano fra di loro sulle sorti del movimento delle cinque stelle, del governo gialloverde e personali, e un terzo attore -Matteo Salvini- alle spalle che mostra un po’ di aizzarli e un po’ di godere aspettando di coglierne i frutti. Il titolo sovrapposto al fotomontaggio è, diciamo così, adeguato e attendibile, data la conoscenza particolare che Il Fatto Quotidiano titolo Fatto.jpgha delle vicende sotto le cinque stelle grilline: una conoscenza che lo spinge spesso a dare consigli a dirigenti, militanti e quant’altri, inascoltati molte volte ma sempre sufficienti ad aumentare lo scompiglio, o la dialettica, come preferiscono dire i raffinati. “Dibba, Di Maio “incazzato” (e provocato da Salvini &C”, dice il titolo del giornale di Marco Travaglio sovrapposto al fotomontaggio.

             Dibba, cioè Di Battista, ha fatto perdere il controllo dei nervi al pur amico, fratello, cugino e quant’altro Di Maio col suo ultimo libro, stampato e distribuito praticamente dallo stesso Fatto Quotidiano, in cui si declassa ad esperienza “bucrocratica” quella ministeriale dei grillini e si invoca il ritorno alle mitiche e smarrite origini, che qualcuno del resto ha già rinunciato a recuperare e a servire all’interno del movimento, decidendo di uscirne perché “la separazione è migliore” della Paola Nugnes.jpgconvivenza alla maniera dei “Roses”. Lo ha appena detto la senatrice  partenopea Paola Nugnes, fichiana nel senso di estimatrice del presidente grillino della Camera Rooberto Fico, passando al gruppo misto di Palazzo Madama e cercando di non pagare, peraltro, la penale di centomila euro che per contratto i parlamentari a cinque stelle si impegnano a versare in questi casi.

            C’è movimento insomma nel movimento, trasformatosi da solo, per spontanea evoluzione, in quella “Gabbia” già realizzata e condotta in televisione dall’ex leghista e ora parlamentare grillino Gian Luigi Paragone. Che, in attesa di assumere la presidenza della commissione d’inchiesta sulle banche, si è lasciato fotografare alla guida della moto, credo, di Di Battista, con Paragone.jpgcui la sintonia è piena. Ed è forse proprio la gabbia, più che un armadio, o un tavolo, o una scrivania, o una cassa, la cosa che Dibba ha imparato a costruire meglio nel corso di falegname frequentato di recente nel Viterbese, dopo un tuffo infelice nella campagna elettorale per le regionali dell’anno scorso, quando il movimento cominciò la discesa conclusasi il 26 maggio di questo 2019 con la perdita di 15 punti nelle urne per le europee, rispetto ai 32 guadagnati un anno prima nel rinnovo delle Camere italiane.

            Una conferma dei guasti procurati o aggravati dal ritorno di Dibba sulla scena, proprio mentre il governo gialloverde è attraversato da una crisi su più fronti, compreso quello europeo, con una procedura d’infrazione per debito eccessivo in cantiere, è venuta da Catania, Dove il “guru” del movimento grillino, come viene chiamato più o meno impropriamente Davide Casaleggio alla guida della famosa “piattaforma Rousseau”, ha annullato all’ultimo momento un evento organizzato per promuovere l’ultima fatica letteraria “politicamente scorretta” di Alessandro Di Battista.

            E’ sintomatico che nel fotomontaggio galeotto del Fatto Quotidiano manchi del tutto la figura di Giuseppe Conte, che pure si muove, lavora, cerca di farsi sentire -capire è forse più difficile- e assicura davanti ad ogni microfono che trova a portata di bocca di  chiamarsi  ancora Conte, appunto,  e di essere “il presidente del Consiglio”, peraltro esplicitamente e ripetutamente apprezzato da Di Battista. Ma è un presidente del Consiglio che per non aggravare la situazione, diversamente dall’altro vice presidente Di Maio, che ha mostrato di non gradire ed ha protestato intanto contro i suoi troppi voli di Stato, ha finto di non accorgersi degli ultimi sconfinamenti del vice presidente leghista Matteo Salvini. Che ha convocato o annunciato convocazioni di imprenditori, sindacalisti e quant’altri nei suoi uffici di ministro dell’Interno, al Viminale.

            “Nella tempesta europea vaga la nave Italia senza rotta”, ha commentato con sconforto la situazione Repubblica.jpgEugenio Scalfari sulla sua Repubblica di carta parafrasando un po’ i versi danteschi, ma senza spingersi a lamentare esplicitamente l’assenza anche di un “nocchiero”, e non solo di una rotta. E ciò forse solo per non smentire l’enfatico titolo di apertura del giorno prima del suo giornale, che si era doluto del fatto che “sulle spalle di un suolo uomo”, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fosse finito anche il compito del presidente del Consiglio.

 

 

 

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Sergio Mattarella mandato allo sbaraglio dai suoi laudatori

            Finalmente sceso dal Colle dopo averlo visto lambire dal fango delle intercettazioni provenienti dall’indagine di Perugia sulla presunta corruzione di Luca Palamara, e sui contatti di vario tipo emersi per   condizionare il conferimento di importanti uffici giudiziari, Sergio Mattarella si è voluto intestare l’annuncio di una svolta al Consiglio Superiore della Magistratura che presiede per apposita norma costituzionale.

           “Si volta pagina”, ha detto testualmente il capo dello Stato dopo “il quadro sconcertante Mattarella.jpge inaccettabile” e “il coacervo di manovre nascoste” scoperto dalle indagini giudiziarie. Che sono peraltro lontane da una conclusione, per cui potrebbe venir fuori ancora dell’altro destinato a sorprendere e scandalizzare di più il presidente del Consiglio Superiore e della Repubblica.

               Oltre però espressioni tanto forti quanto generiche Mattarella non ha potuto andare perché la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che si è resa necessaria dipende da altri, non da lui. Dipenderà, in particolare, dal Messaggero.jpggoverno se si farà carico di un disegno di legge e dal Parlamento che lo dovrà approvare, attenendosi o modificando la Costituzione. Una cosa comunque sembra esclusa, ed è già importante: un’autoriforma dell’organo di autogoverno delle toghe, col pretesto di sventare chissà quale attentato alla loro autonomia da parte dei riformatori legittimi ma esterni quali sono con le loro iniziative il Governo e il Parlamento.

               Mattarella per ora, pur deplorando l’accaduto, si è messo a disposizione con i consigli, se gli verranno richiesti o se riterrà di formularli autonomamente nell’esercizio di quella funzione persuasiva che svolge prevalentemente dietro le quinte. Alla fine però toccherà sempre a lui dire l’ultima parola con la controfirma e la promulgazione della riforma in cui dovrà tradursi la svolta annunciata, o richiesta.

               L’occasione è stata colta da Repubblica, che con la sua testata di carta si considera forse in qualche modo affine a quella che presiede Mattarella, per enfatizzare con un titolone su tutta la prima pagina il ruolo del Presidente, collegandolo anche agli sviluppi dell’attività di governo in sede europea. Dove fervono dietro le quinte trattative e quant’altro per risparmiare all’Italia la costosa e politicamente rischiosa procedura d’infrazione per debito eccessivo.

            Tutto è “sulle spalle di un uomo solo”, ha gridato il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e ora diretto Repubblica.jpgda Carlo Verdelli, declassando così sul campo tutti gli altri attori e protagonisti della scena istituzionale: a cominciare naturalmente dal presidente del Consiglio, già preoccupato di suo e intento a smentire che stia difendendo i conti italiani dalla bocciatura Gazzetta.jpgdella Commissione uscente dell’Unione Europea, e trattando una loro eventuale modifica, “col cappello in mano” per evitare la procedura d’infrazione. E neppure col cappello al piede, come lo ha impietosamente rappresentato il vignettista della Gazzetta del Mezzogiorno prendendolo sulla parola a proposito delle mani libere.

            Per quanto mossa spesso dalle migliori intenzioni, umane e persino politiche, come espressione di rispetto personale e istituzionale, l’enfatizzazione del ruolo del capo dello Stato, come di un “uomo solo” al comando a sua stessa insaputa, perché abbandonato, o quasi, da tutti gli altri, inadatti Mattarella a Verona.jpgalle loro funzioni o rinunciatari, non è né giusta né opportuna. Non giova neppure al presidente della Repubblica, sulle cui “spalle”, per attenersi alle parole della Repubblica di carta, si mettono tali e tante attese degli italiani da condannarlo a deluderli. E’ come se qualcuno, all’Arena di Verona, dove Mattarella  alla fine di una giornata così difficile, si è recato con la figlia per assistere alla Traviata nell’ultima sceneggiatura del compianto Franco Zeffirelli, avesse preteso che l’autorevolissimo ospite salisse sul palco per unirsi, anzi per sostituirsi ad Alfredo o a chissà chi altro.

 

 

 

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