Follie nel cantiere gialloverde di Beppe Grillo sotto le cinque stelle

              Beppe Grillo ha problemi nel cantiere appena benedetto sul Fatto Quotidiano per la “ristrutturazione” di quel “cesso” che per lui è l’Italia. E che, sempre lui, si è vantato, spiegando l’appoggio e la fiducia confermati a Luigi Di Maio, di avere allestito con la Lega di Matteo Salvini, anche a costo di uno “strappo” con le origini del movimento delle 5 stelle, perché convinto della scelta giusta, vista l’asineria degli elettori. I quali l’anno scorso, rinnovando le Camere, non diedero ai grillini la maggioranza assoluta almeno dei seggi parlamentari, se non quella dei voti. Già, perché con le leggi elettorali che abbiamo, ormai fatte sempre a quattro mani, fra Parlamento e Corte Costituzionale, è possibile nel nostro stivalone che si abbia la maggioranza assoluta dei deputati e dei senatori senza avere raggiunto quella dei voti, e persino il contrario con qualche accorgimento che prima o poi qualcuno avrà la fantasia e il coraggio di garantire.

              Dell’asineria degli elettori italiani, poi, Grillo ha avuto una conferma non più tardi del 26 maggio scorso, quando li ha visti accorrere ai seggi per l’elezione degli europarlamentari azzurri allo scopo di capovolgere i rapporti di forza all’interno della maggioranza gialloverde all’opera per riparare il “cesso” nazionale. I 32 punti percentuali dei grillini sono precipitati a 17, superati anche dal Pd che sembrava l’anno scorso morto e sepolto al terzo posto nella graduatoria elettorale, e i 17 della Lega sono saliti a 34 e oltre.

              E’ stato uno sgradevole inconveniente, certo, ma non irreparabile per un uomo della fantasia, intelligenza e disinvoltura di Grillo. Che si è rifatto i conti come capocantiere ed ha stabilito che per ristrutturare -ripeto-  il “cesso” chiamato Italia occorrerà un po’ più di tempo, sempre con la stessa squadra, dove qualcuno evidentemente ha bisogno di qualche corso supplementare di formazione, o aggiornamento: a cominciare probabilmente da quel Salvini conosciuto da Grillo di sfuggita tempo fa in un aeroporto. E che lo fece entrare così presto e così bene in confidenza telefonica con sua madre da consentirgli di contestarle la rinuncia all’uso della pillola anticoncezionale nei rapporti sessuali, a cominciare da quello naturalmente servito alla nascita dell’attuale vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno.

             Il vignettista del Fatto Quotidiano Riccardo Mannelli, fermo evidentemente a quel rimprovero e ignaro, con tutte le cose che ha da fare, della lezione di realismo appena impartita sullo stesso suo giornale da Grillo chiedendo tempi più lunghi per riparare “il cesso” Italia, ha riscritto all’anagrafe il socio di maggioranza Matteo Salvini. E, ispirato dalle ultime cronache giudiziarie, in particolare dall’arresto del consulente energetico della Lega Paolo Arata, e del figlio Francesco, perché prestanomi, o qualcosa del genere, di un altro prestanome, o qualcosa del genere pure lui, del latitante più famoso e temuto della mafia, il boss Matteo Messina Denaro, ha chiamato Salvini poco simpaticamente Matteo Messia Denaro, lasciandogli fra le dita, la bocca e la barba il rosario e il crocifisso. Che lo stesso leader leghista ostenta nei comizi elettorali, e altrove, a costo di fare impazzire Papa Francesco e non sono quanti cardinali di Santa Romana Chiesa.

           Ad aggravare gli umori antileghisti nella redazione di Marco Travaglio ha contribuito il salvataggio della odiata Radio Radicale  appena messo in cantiere nelle competenti commissioni Fatto su Radio Rdicale.jpgdella Camera dagli stessi leghisti sostenendo un emendamento del Pd, per giunta del renziano Roberto Giachetti, che costerà alle casse dello Stato nientemeno che tre milioni di euro, in un bilancio di più di 800 miliardi di euro di spese: “un inciucio” -hanno titolato al Fatto Quotidiano- che ha reso “furiosi” i pentastellati. Fra i quali si spera che non faccia gesti disperati, in particolare, il sottosegretario a Palazzo Chigi Vito Crimi, che il conduttore storico di Radio Radicale e della sua apprezzatissima rassegna “Stampa e Regime”, Massimo Bordin, fece in tempo a chiamare, prima di morire, “un gerarca minore”. E ciò  per lo scrupolo mosso nella guerra, tutta politica per carità, dichiarata e condotta contro manifesto.jpgun’emittente che, oltre a farci seguire i lavori parlamentari, congressi di partito, convegni , processi,  ha la colpa evidentemente imperdonabile di avere anticipato e sviluppato in più di 40 anni di storia tanti temi così male sostenuti oggi proprio dai grillini: l’onestà, il rispetto delle istituzioni, la conoscenza necessaria per giudicare e legiferare, la laicità, i diritti civili e persino le buone maniere, passata per fortuna la lontana esperienza delle parolacce in diretta consentita per un po’ dal compianto Marco Pannella. Che però sapeva parlare coi Papi meglio di tanti prelati.

 

 

 

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Beppe Grillo chiede più tempo per “ristrutturare il cesso” chiamato Italia

Mi ha fatto una certa impressione la parola “strappo” usata da Beppe Grillo proprio nel trentacinquesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer. Che l’aveva resa celebre in una tribuna politica televisiva del dicembre 1981, quando ad una mia domanda sulla legge marziale appena introdottaBerlinguer.jpg in Polonia dal generale Jaruzesky per prevenire il solito intervento armato dell’Unione Sovietica il leader delle Botteghe Oscure dichiarò l’esaurimento della “spinta propulsiva della rivoluzione” comunista dell’ottobre 1917.

Armando Cossutta nel Pci non perdonò al pur popolare segretario del partito tanta eresia e corse a Perugia a organizzare un’assemblea di dissidenti, destinati però a non essere radiati, com’era accaduto invece nel 1969 a quelli del manifesto, insorti contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia del povero Alexander Dubcek

Lo “strappo”, testuale, rivendicato più o meno orgogliosamente da Grillo in un articolo sul Fatto Quotidiano – e dove, sennò?- è quello del Movimento 5 Stelle dalle sue origini compiuto  più di un anno fa accordandosi con la Lega di Matteo Salvini per il governo gialloverde del “cambiamento”. Che il 26 maggio scorso è costato nelle urne europee ai grillini, e più direttamente a Luigi Di Maio, che ne è il capo rapidamente confermato al suo posto col solito referendum digitale, 15 dei 32 punti percentuali di voti conquistati il 4 marzo 2018 nel rinnovo delle Camere.

Di questa batosta, e di tutto quello che ne hanno scritto gli avversari, dando il movimento delle cinque stelle ormai perduto nella stratosfera, o quanto meno assai compromesso, Grillo si è consolato scrivendo più o meno ironicamente che “siamo abituati  a trovarci costantemente dalla parte sbagliata di questa nazione”, al minuscolo per quella che evidentemente vale e merita dopo tanta ingratitudine. I critici non si rendono conto della “velocità incredibile” della crescita dei pentastellati” e della quantità dei “nidi di mitragliatrici mediatiche” allestiti da “vecchi parrucconi e starlette”.

Così sono stati serviti anche coloro che si ostinano, per esempio, a scambiare per “piramidi” utili a far lavorare tanta gente opere invece dannose come la linea ferroviaria d’alta velocità per le merci da Lione a Torino: la o il Tav. Cui il comico genovese preferisce piuttosto il ponte sullo stretto di Messina, anche a costo di trovarsi nella scomoda compagnia dello “psiconano”, come lui chiama Silvio Berlusconi una volta tanto dissentendo o distinguendosi da Marco Travaglio, che è fermo come un paracarro alla definizione di “pregiudicato”, con tanto di pezze d’appoggio ricavate dagli archivi della Corte di Cassazione.

A chi ha sprovvedutamente scambiato lo “strappo” dell’alleanza con Salvini per qualcosa cui rimediare, compreso quindi lo stesso Travaglio, affrettatosi dopo il 26 maggio a chiedere ai grillini di fare come i leghisti di Umberto Bossi alla fine del 1994 con Berlusconi, quando ne rovesciarono il primo governo e minacciarono  di espulsione un Roberto Maroni tentato di restare al Viminale, Grillo ha improvvisato una lezione di realismo e, insieme, di fideismo. “Non siamo -ha scritto da capo del cantiere e da filosofo di lunghe vedute, diciamo così- una di quelle aziende”, di cui sono piene le pagine gialle, “che vi ristrutturano il cesso in quattro ore”.

Vi raccomando quel “cesso”, in cui Grillo è convinto di avere portato a lavorare la sua manovalanza, si spera con tutte le cautele del caso, a cominciare dalle maschere:  quelle vere, della salute, non da teatro.Grillojpg.jpg Dove pure ha fatto le sue fortune il fondatore, garante e quant’altro del partito ancora maggiormente rappresentato a Montecitorio e a Palazzo Madama, anche se gli elettori del 26 maggio lo hanno fatto scendere nella graduatoria al terzo posto, neppure al secondo, dopo l’odiato Pd  nazarenico di Nicola Zingaretti.

Quanto possa o debba durare, magari in termini di anni luce,  la “ristrutturazione” grillina o gialloverde del “cesso” italiano, magistratura permettendo naturalmente, vista l’abituale e casuale – per carità- commistione di cronache politiche e giudiziarie, il pazientissimo Beppe prima o poi forse lo dirà, anche a Di Maio e allo smanioso Alessandro Di Battista, Dibba per gli amici. Che ha appena accusato i leghisti, con la franchezza o la severità  di un vigilante notturno in motorino, di “rubare” a Forza Italia non solo i voti, ma anche gli uomini di una certa area simil-criminale alla quale  andrebbero iscritti d’ufficio l’ex parlamentare forzista, appunto,  Paolo Arata e il figlio Francesco, appena arrestati per l’affare che è già costato il posto all’ex sottosegretario leghista Armando Siri.

Meno male che, almeno sinora, non sia stata chiesta l’auto-sospensione, come di un qualsiasi consigliere superiore della magistratura, dell’altro figlio di Arata, Federico, dal Dipartimento economico di Palazzo Chigi. Di cui il giovane è consulente a contratto, apprezzato da Salvini in persona, oltre che dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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