Dietro, sopra e sotto la telefonata di Mario Draghi a Putin

Titolo di Repubblica
Titolo del Foglio

A meno di annunci o rivelazioni tenutesi in serbo per un incontro odierno programmato con la stampa estera, si può dire e scrivere poco della telefonata che Mario Draghi da Palazzo Chigi ha fatto a Vladmir Putin per “parlare di pace”, ha fatto sapere laconicamente il presidente del Consiglio. Di cui non si sa pertanto con quanto fondamento si possa valutare “la mediazione” attribuitagli da Repubblica.  Dove forse non si condivide il pessimismo del Foglio gridato con quel titolo in rosso su tutta la prima pagina secondo cui “con Putin si parla con le armi”, come lui del resto continua a fare continuando a seminare morte e distruzioni in Ucraina nonostante i “progressi” annunciati o avallati dai suoi collaboratori nelle trattative svoltesi in Turchia tra mille precauzioni anti-avvelenamento. Zoppica evidentemente anche l’ospitalità ostentata di Erdogan. 

Titolo del Fatto Quotidiano
Vignetta del Foglio sul ritorno di Conte

Certo, la telefonata è già una notizia in sé, almeno rispetto alla liquidazione fatta di Draghi come interlocutore dal solito Marco Travaglio scrivendone come di un “ficus benjamin” anche in questa vicenda drammatica della guerra in Ucraina. Evidentemente, a corto com’è di vere vittorie da vantare nella sua “operazione militare speciale” nella limitrofa Repubblica che vive la sua “Resistenza”, come tanti partigiani italiani ai tempi dell’occupazione nazifascista, Putin ha tempo da perdere per parlare con piante ornamentali come il presidente del Consiglio italiano. Al posto del quale, magari, avrà preferito e preferirebbe sentire il predecessore Giuseppe Conte, tornato alla ribalta in Italia per la sua offensiva, pare anche parzialmente riuscita, contro gli accordi presi fra gli alleati della Nato di portare le spese militari nazionali al 2 per cento del pil: entro il 2028, ha appena proposto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, del Pd, consentendo allo stesso Conte di cantare vittoria. E all’autore dell’ormai superato “Conticidio”, cioè il direttore del Fatto Quotidiano, di confezionare il dovuto e rapido fotomontaggio da cui Draghi risulta bocciato, nella sua posizione militarista e superatlantica, dal 72,9 per cento degli italiani sondati non so bene da chi: spero non con gli stessi criteri, chiamiamoli così, con i quali Giuseppe Conte  si è sentito confermato alla presidenza del MoVimento 5 Stelle col quasi 95 per cento dei voti, comunque inferiori di almeno 7 mila rispetto ai 62 mila e rotti raccolti nella precedente gara digitale di agosto, vanificata dai ricorsi giudiziari accolti dal tribunale di Napoli. Dove peraltro la contesa non risulta ancora finita.

Sun Tzu

Con un pò di buona volontà e anche di buon umore, a dispetto della serietà o tragicità della situazione considerando quello che stanno ancora subendo gli ucraini a casa loro, o ciò che ne è  rimasto, si possono girare ai politici che si sanno gonfiando il petto fra Mosca e Roma, immersi nei colori più diversi, la citazione dall’”Arte della guerra” di Sun Tzu pescata dall’ex parlamentare del pd, ex magistrato e ora solo felicemente scrittore di successo Gianrico Carofiglio: “I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi fanno la guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere”. Ben detto, caro il nostro Sun Tzu, generale e filosofo cinese vissuto probabilmente fra il sesto e il quinto secondo avanti Cristo, addirittura. Ah, poterne prestare lo spirito ai tanti specialisti della guerra e della diplomazia che affollano i giornali, i salotti televisivi e i partiti, o ciò che n’è rimasto, come le case in Ucraina.

Ripreso da http://www.policymakermag.it

“Spiragli” di pace in Ucraina e spifferi di crisi politica in Italia

Titolo della Stampa
Titolo del manifesto

    Pur mitigati, se non contraddetti, dalle immagini che provengono dall’Ucraina, tra edifici abbattuti o mutilati e vittime insepolte, “i primi spiragli di pace” avvertiti dalla Stampa e dal manifesto nei loro titoli di prima pagina, costruiti sulle notizie riguardanti soprattutto le trattative in corso fra le parti in Turchia sulla guerra avviata da Putin, si sono curiosamente -ma non troppo- tradotti in primi segnali concreti di crisi nella politica interna italiana. Che si sviluppa su logiche e per finalità proprie, essendo il problema più assorbente di tutte le forze politiche -chi più e chi meno- quello delle elezioni amministrative ormai imminenti e  politiche dell’anno prossimo, se Giuseppe Conte non riuscirà, volente o nolente, a provocarne l’anticipo con le prove muscolari contro l’aumento delle spese militari che ha ingaggiato personalmente con Mario Draghi. Il quale, fermo sulle sue posizioni, peraltro conformi agli aumenti già praticati da Conte nei i suoi due governi precedenti, prima ancora quindi che la situazione internazionale precipitasse con l’aggressione di Putin all’Ucraina, ha voluto informare personalmente il presidente della Repubblica della brutta piega presa dai rapporti nella maggioranza. 

Titolo interno del Fatto Quotidiano
Titolo di prima pagina del Fatto

“Il premier usa l’arma del Colle”, ha riferito con una certa cautela in un titolo all’interno Il Fatto Quotidiano, Che però non è riuscito a trattenere la sua irritazione in prima pagina gridando al “ricatto”. Sarebbe quello naturalmente della crisi, delle dimissioni del presidente del Consiglio se i grillini tirassero troppo la corda, fra astuzie e manovre parlamentari. E volessero magari prendersi la rivincita rispetto al “Conticidio” di un anno fa, come usa chiamarlo ancora il direttore del giornale più sensibile agli umori e malumori pentastellati.

L’editoriale di Marco Travaglio

“Tredici mesi fa, fra gli applausi dei capocomici, fu rovesciato il Conte-2 in piena pandemia, scrittura del Pnrr e campagna vaccinale: tutte urgenze che competevano al governo, diversamente dall’Ucraina, dove Draghi conta un pò meno di un ficus benjamin”, ha scritto testualmente Marco Travaglio chiudendo l’editoriale odierno del Fatto, che sembra francamente un incitamento all’ex presidente del Consiglio a precedere addirittura Draghi sulla strada di una rottura.

Con molto e non so quanto meritato garbo Francesco Bei ha attribuito sulla prima pagina di Repubblica la condotta di Conte alla “identità irrisolta dei Cinquestelle”, divisi fra chi reclama la crisi non avendo mai digerito politicamente  e umanamente Draghi, chi ne è tentato come appunto Conte e chi la contrasta come il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ormai diventato nella sua azione di governo, non certamente secondaria nel mezzo di una guerra come quella in corso in Ucraina, una sostanziale controfigura di Draghi. 

Titolo di Repubblica
Francesco Merlo su Repubblica

In realtà -non me ne abbiano né Bei né, sempre su Repubblica, Francesco Merlo, che ha scritto della “lingua quasica di Conte”, come una volta lo stesso Grillo sottolineò la vocazione dell’avvocato al “penultimatum”- più che di una seria e sempre rispettabile crisi di “identità” di un movimento cresciuto troppo in fretta e costretto dalla realtà a “troppe rinunce”, come dicono quelli che l’hanno già abbandonato, Conte è forse alle prese con una crisi tutta personale, camuffata dal 94 per cento dei voti vantato nella conferma digitale di domenica sera alla presidenza del MoVimento. Che significa l’opposto di quello che sembra, essendo stato lui l’unico candidato e avendo partecipato alle operazioni digitali di voto meno delle metà degli iscritti, sino a  ridurne i consensi materiali da 62 mila a 55 mila voti.  E’ tutto qui il dramma di Conte, ben noto sia a Draghi sia, o soprattutto, al presidente della Repubblica ora allertato anche formalmente dal presidente del Consiglio.  

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag..it

Conte perde voti al vertice di 5 Stelle ma canta lo stesso vittoria

Il fotomontaggio di Draghi e Biden sul Fatto Quotidiano

Neppure la decisione di mettersi in qualche modo di traverso sulla strada della fermezza adottata dal governo di fronte alla guerra di Putin all’Ucraina -o forse proprio per questo, col supporto polemico di quel Mario Draghi fotomontato sul Fatto Quotidiano in armi e tuta mimetica accanto al presidente americano Joe Biden- ha aiutato Giuseppe Conte a mobilitare di più gli attivisti del MoVimento 5 Stelle nelle elezioni digitali promosse per la sua conferma a presidente, dopo la sospensione disposta per via giudiziaria. 

Titolo del Corriere della Sera

      Le ferma protesta contro Draghi per la decisione, dallo stesso Conte condivisa in sede Nato quando era presidente del Consiglio, di destinare alle spese militari il due per cento del pil, ha portato alle urne non più di 59 mila iscritti su circa 160 mila: meno dei 63 mila del turno di agosto affossato dai reclami. Che peraltro potrebbero ripetersi, come già minacciato da alcun protestatari  e preannunciato in prima pagina nel titolo dedicato dal Corriere della Sera alla conferma del leader. 

          La diminuzione dell’affluenza alle urne digitali, rimaste peraltro aperte per due giorni, si è tradotta anche in una riduzione dei voti ottenuti da Conte, scesi dai 62.242 di agosto scorso ai 55.610 di ieri. Che consentono però di dire e scrivere correttamente, almeno secondo i canoni grillini, non tenendo conto cioè della maggiorana astenutasi dalla votazione o dal referendum, come preferite, che il presidente del MoVimento, unico candidato in campo, è stato confermato con un quasi plebiscitario 94.19 per cento dei voti. 

Giuseppe Conte

Per quanto ammaccato, quanto meno, per non evocare la figura letteraria del “Visconte dimezzato” di Italo Calvino, l’ex presidente del Consiglio si è affrettato a cantare vittoria. Egli ha cioè apprezzato il risultato, considerandolo conforme alle sue pur alte aspettative, vista la minaccia avanzata nei giorni precedenti di non accettare una conferma stentata, e si è predisposto ad un incontro, annunciato proprio per oggi, col presidente del Consiglio Draghi per esprimere il presunto, nuovo, più combattivo corso della politica grillina in questo scorcio ormai di legislatura. In cui i problemi generali si sono aggravati con la guerra in Ucraina e la posizione fortemente atlantista assunta personalmente dal capo del governo. 

L’intervista ad Avvenire
Il titolo del Foglio sulla guerra in Ucraina

“Tutta la nostra forza per opporci al 2% alle armi”, ha detto Conte in una intervista rilasciata, non credo casualmente, al giornale dei vescovi italiani Avvenire, contando forse sui “pazzi” dati recentemente da Papa Francesco a quanti aumentano le spese militari. Ma il Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, ha riconosciuto o ricordato la necessità delle armi imposta a volte dai fatti, tipo quelli -c’è da presumere- voluti da Putin con un atteggiamento che Biden ha definito da “macellaio”, pur senza il consenso del presidente francese Emmanuel Macron. Che ha voluto dissentire essendo fra i leader occidentali quello che più frequentemente ha parlato e parla col capo del Cremlino, nella speranza che prima o dopo si crei una breccia nelle trattative: veleni permettendo, verrebbe voglia di aggiungere a proposito del caso Abramovic appena esploso tra annunci, smentite e precisazioni. 

  Nonostante l’asprezza della posizione amtimilitarista, diciamo così, assunta da Conte in questo passaggio delicatissimo della politica internazionale, mentre gli ucraini con l’appoggio esplicito dell’Occidente resistono all’aggressione russa, il segretario del Pd Enrico Letta ha ritenuto di esprimere ottimismo sulla possibilità di mettere la maggioranza al riparo da sorprese e incidenti nei percorsi parlamentari delle iniziative del governo Draghi: un ottimismo non so se più di ufficio o davvero convinto. 

Furio Colombo vola indenne contro Putin sul Fatto di Travaglio

      Nessuna censura, per carità. Marco Travaglio può essere sgradevole, anche villano, specie con quell’abitudine che ha di storpiare il nome agli avversari o solo agli antipatici, spesso o abitualmente fazioso, come preferite, ma non fesso. Non a caso in qualche modo se ne invaghì professionalmente anche un maestro esigente di giornalismo come Indro Montanelli, che mi dicono lo chiamasse con gli amici “Marcolino”, come all’inizio faceva anche con me dandomi del “Franceschino”, specie quando si accingeva a procurarmi qualche problema. E di problemi il buon Indro ne creava agli amici e collaboratori, spesso senza neppure rendersene conto, tanto era assorto nelle sue riflessioni. Che per i tre quarti della giornata riguardavano il “controcorrente” da mettere nella prima pagina del suo e nostro Giornale. Cui tutti peraltro eravamo impegnati a contribuire segnalandogli fatti e persone, persino proponendone di belli che confezionati, qualche volta accettati con un aggettivo in più o in meno, o solo con una virgola spostata di una parola. 

Furio Colombo
Dal Fatto Quotidiano di ieri

Sul Fatto Quotidiano di ieri, domenica 27 marzo, relegato a pagina 13 ma con citazione in prima rigorosamente gerarchica, seconda solo a quella dell’ex direttore e fondatore del giornale Antonio Padellaro, il buon Furio Colombo ha potuto volare sparando a suo modo contro Putin. Verso il quale invece Travaglio mostra spesso comprensione attaccandone o ridicolizzandone gli avversari, spesso immaginati al soldo americano o, sotto sotto, nazistoidi come Putin considera gli ucraini  che vorrebbe rieducare, se sopravvissuti alla guerra.  

Dalla pagina 13 del Fatto di ieri

Ebbene, un Furio Colombo ad occhio e croce poco o per niente convinto della cosiddetta “operazione speciale” in corso, trattenuto a casa dai suoi 91 anni e passa, si è in qualche modo ispirato alla meno anziana, o più giovane, e internazionalmente più famosa Christiane Amanpour per immaginare un paio di domande al portavoce di Putin: “Perché questa guerra? E perché è diventata subito enorme e spaventosa, con un presagio di conclusione tragica?”. 

          Il guaio, per Travaglio, è che il suo amico e collaboratore Colombo, già direttore dell’Unità, parlamentare più volte della sinistra dopo avere lavorato, e poi anche insegnato negli Stati Uniti, all’onorevolissimo e giustamente ben retribuito servizio della Fiat dell’avvocato Gianni Agnelli,  solitamente incantato a sentirlo e a leggerlo; il guaio per Travaglio, dicevo, è che l’amico Colombo, tra i fondatori del Fatto, non ha saputo in fondo trovare una ragione a favore davvero di Putin. Di cui piuttosto l’ha colpito la facilità con la quale ha fatto colpire in Ucraina anche obiettivi civili, spargendo bombe come se dovesse “seminare grano”. 

Colombo sul Fafto di ieri

Sì, certamente -ha concesso Colombo a Travaglio- “purtroppo in Italia sono accadute negli ultimi giorni cose sgradevoli, forse siano stati un pò impetuosi, a causa dei tanti cadaveri sparsi nelle inquadrature tv, quando abbiamo deciso sulle sanzioni, e questo attivismo ci ha fatto includere subito nella lista nera di Putin”, che non è mai una bella esperienza da provare, ma le ragioni del capo del Cremlino restano a dir poco opache. 

Parola sempre di Colombo sul Fatto di ieri

“In conclusione -ha scritto testualmente Colombo- abbiamo una guerra in corso, sull’orlo estremo del pericolo nucleare, generata dalla mente di Putin e dalla ossessione della Grande Russia di cui si sente l’Uomo della Provvidenza, incoraggiato da un filosofo, Dugin, che si dice il suo mentore e che certo ama molto le bombe al fosforo. Pensate al fastidio del cerchio interno di Putin per quel suddito ucraino che si è salvato perché è uscito a fumare una sigaretta mentre sulla sua casetta cadeva il missile della guerra giusta”. 

Un volo perfetto, quello di Colombo, non del missile naturalmente, che ringrazio -una volta tanto- Travaglio di non avere disturbato meritandosi la gratitudine -credo- anche della buonanima dell’Avvocato, con la maiuscola che gli spettava giù da vivo.  

Le pene d’amore e d’inferno della fidanzata di Luigi Di Maio

Se sono corna, quelle di Virginia Saba al fidanzato Luigi Di Maio sono sole e tutte politiche. Non è stata sorpresa né in acqua né a letto con un altro uomo, ma semplicemente in piazza -quella dei Santissimi Apostoli a Roma, a due passi dalla Prefettura e dal Monumento alla Patria- con alcune centinaia di persone partecipi di una manifestazione: prevalentemente ex grillini o tuttora grillini dissidenti però di “Alternativa” infuriati contro il governo, e più in particolare il presidente del Consiglio Mario Draghi, di cui sono state chieste con grida le dimissioni per la linea adottata sulla guerra in Ucraina, Che alla Farnesina però  è gestita dal ministro degli Esteri, in questi giorni particolarmente assiduo nell’affiancare Draghi durante gli appuntamenti parlamentari e internazionali, con larghi sorrisi di consenso e applausi agli interlocutori di turno del capo del governo.

“Sono qui per lavoro”, ha risposto Virginia a chi le ha chiesto le ragioni della sua partecipazione ad una manifestazione così poco in sintonia, diciamo così, col ruolo e con le idee -si presume- del fidanzato. Che su Putin, per esempio, dopo l’invasione dell’Ucraina è stato più severo persino del presidente americano Joe Biden, dandogli dell’”animale” e non del “macellaio”, come appunto il titolare della Casa Banca parlandone a Varsavia. Certo, la scelta tra una qualifica e l’altra è imbarazzante, ma un macellaio rimane pur sempre un uomo nella sua bottega Se ne invaghì da bambino persino l’attuale Papa Francesco, in Argentina, apprezzando i soldi il bottegaio metteva nella cintura servendo i clienti. 

La deputata sarda Emanuela Corda

      Virginia era in piazza contro il governo in quanto “collaboratrice” -ha spiegato- di una delle animatrici della manifestazione: la deputata sarda Emanuela Corda. Il cronista di Repubblica Gabriele Bartolini ha riferito con scrupolo del “silenzio” personale nel quale Virginia ha ascoltato “gli ex 5 Stelle che sparavano a zero contro la “politica militarista dell’attuale maggioranza” e la perdurante adesione dell’Italia alla Nato”. Ma, pur in tanto “silenzio”, non sarebbe il caso per il giovane ministro degli Esteri di rimediare un diverso lavoro alla fidanzata? Non credo proprio che gli manchino le occasioni o possibilità di non lasciare più appesa Virginia a quella ormai troppo scomoda “Corda” parlamentare. A meno che……, ma non ci voglio neppure pensare, per quanto sotto le cinque stelle se se ne siano ormai viste e sentite di tutti i colori davvero.   

Putin si prende del macellaio da Biden, ma Conte gli dà una mano

Titolo del manifesto

Dal presidente americano Joe Biden ospite di “Radio Varsavia”  -come ha titolato il manifesto evocando la “Radio Londra” che ai tempi della guerra di Hitler si ascoltava di nascosto anche in Italia per sperare nella disfatta  del dittatore tedesco- Putin si è preso non a torto del “macellaio” per il trattamento che da più di un mese sta riservando agli ucraini. 

Vignetta del Secolo XIX

Certo, “insultare Putin non aiuta il dialogo”, come ha osservato Stefano Rolli sulla prima pagina del Secolo XIX, “ma anche le bombe disturbano l’audio”m si è praticamente risposto il vignettista, pur al riparo di quelle che cadono ogni giorno sulla terra che Putin si è proposto addirittura di “denazificare”radendola al suolo, E spedendo il suo ambasciatore a Roma in Procura per denunciare quegli altri “nazisti” che resistono dalle colonne della Stampa. Che è un giornale già entrato una volta nel mirino di un estimatore di Putin, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per la troppo buona attenzione riservata al suo successore Mario Draghi a Palazzo Chigi. “Troppo zelo”, protestò Conte travestendosi da Talleyrand in una lettera al direttore del quotidiano torinese Massimo Giannini, che si difese con una dotta citazione tedesca. 

Titolo del Fatto Quotidiano

Ebbene, anche Conte è tornato a farsi sentire dopo la missione diplomatico-militare, diciamo così, dell’ambasciatore russo alla Procura di Roma. Per non sbagliare o non esagerare, mi affido a ciò che ne ha scritto sul Fatto Quotidiano il direttore in persona e suo noto estimatore Marco Travaglio nell’editoriale di giornata passando in rassegna gli attori della politica italiana: “L’unico leader che contrasta la deriva bellicista è Conte, che oggi e domani si spera otterrà molti voti online per rafforzarsi dentro e fuori il Movimento 5 Stelle e resistere alle pressioni indicibili che subisce perché si arruoli” contro Putin al pari del suo ex e ancora oggi ministro degli Esteri Luigi Di Maio. 

Marco Travaglio dal Fatto Quotidian

“Poi ci sono -ha riferito Travaglio continuando a passare in rassegna le truppe filoputiniane-  SI di Fratoianni, Alternativa (di ex grillini), le voci isolate nel Pd (Delrio, Bindi e Boldrini) e nella Lega, e l’associazionismo (Pax Christi, Anpi, Emergency, Cgil, Uil, pacifisti e ambientalisti”. Sarà costata molta fatica al direttore del Fatto, rimanendo nei confini strettamente nazionali, non includere nell’elenco Papa Bergoglio dopo che ha dato dei “pazzi” a quanti hanno deciso o si accingono ad aumentare le spese militari. In ogni caso —ha raccomandato Travaglio- “vanno sostenuti tutti per rompere il fronte Sturmtruppen che, ridendo e scherzando, lavora alla terza guerra mondiale”, a cominciare , secondo solo a Draghi, dal segretario del Pd Enrico Letta, già sistemato in piazza nelle scorse settimane dai solerti amici di Conte come “Mitraglietta”, prima ancora che scoppiasse in Parlamento, fra Camera e Senato, l’offensiva contiana contro le maggiori spese militari. Che peraltro erano state concordate anche da Conte in persona con gli altri Paesi della Nato quando era a Palazzo Chigi, evidentemente con la solita riserva pentastellata di non mantenere la parola. 

Giuseppe Conte

Ci sarà da ridere -se la situazione non fosse terribilmente seria, direi pure drammatica- quando si arriverà alla votazione di un documento parlamentare sul tema. Il cui campo, diciamo così, potrebbe riservarsi “largo” come il segretario del Pd usa chiamare quello con le 5 Stelle, ma stavolta con la destra di Giorgia Meloni al posto del peraltro extraparlamentare Conte: una destra che ormai viaggia nei sondaggi elettorali affiancata al Pd con più del 40 per cento dei voti insieme, senza contare quelli della Lega e di Forza Italia. Mica male come epilogo di questa legislatura già passata giustamente alla storia della Repubblica italiana come la più pazza del mondo. 

Ripreso da http://www.policymakermag.it

L’ambasciatore russo che stavolta porta pena, eccome….

Immagini dall’Ucraina

  Non ha niente di diplomatico quella foto dell’ambasciatore della Russia in Italia, Sergey Razov, lanciatosi appunto come un razzo sulla Città Giudiziaria romana per fare la sua brava denuncia alla Procura della Repubblica ed esibirsi poi davanti ai fotografi contro i giornali italiani, citando soprattutto La Stampa, che starebbero dando false informazioni sulla guerra condotta dal suo Paese contro l’Ucraina. E aggiungendo, fra l’altro, che le forniture militari trasparentemente in corso da parte del governo italiano agli ucraini aggrediti sono finalizzate ad una sostanziale partecipazione alla guerra, anzi ad un genocidio. Che non sarebbe quello dei russi contro gli ucraini, ma viceversa.              

Va bene che in Italia siamo passati da molto tempo, e per colpa esclusiva dei partiti via via votati dalla gente e mandati al governo, dal sistema delle Procure della Repubblica, dove si vanno a denunciare reati e si conducono indagini, a quello della Repubblica delle Procure. Alle quali attori politici di ogni tipo, ora anche ambasciatori di  grandi potenze, vanno a rimettere le loro lotte, beghe, liti e quant’altro per togliere la parola al governo, oltre che agli elettori, e passarla ai magistrati. Ma che si potesse arrivare alla sceneggiata di Razov davanti alla Città Giudiziaria capitolina  era francamente difficile immaginarlo. 

        E bravo il signor ambasciatore, che questa volta però ha deciso con la sua sfrontatezza di portare pena, così diverso da certi suoi predecessori, tipo quelli dei tempi dell’Unione Sovietica. I quali se ne stavano abitualmente chiusi nelle loro residenze. O andavano con tutta la riservatezza del caso nelle abitazioni di interlocutori più meno qualificati, come una volta un direttore generale democristiano della Rai, per concordare pressioni e simili sull’allora partito comunista più forte dell’Occidente perché i suoi parlamentari dessero qualche mano, o piede, ad un certo candidato dello scudo crociato al Quirinale.

La vignetta di Sergio Stajno sulla Stampa

      Gli interlocutori ordinari, e palesi, di un ambasciatore  sono il capo dello Stato presso il quale egli è formalmente accreditato, il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e via via , scendendo la scala gerarchica, gli altri membri del governo, o sottogoverno.  Ce ne sarebbe abbastanza, ad occhio e croce, perché qualcuno in alto intervenisse ben oltre le parole di dissenso già pronunciate, in particolare da Mario Draghi e da Luigi Di Maio, e non lasciasse sola La Stampa , fra l’altro, a difendersi con la bella vignetta a colori di Sergio Stajno in prima pagina: “Vabbè, basta che non ci bombardi”, come Putin continua a fare in Ucraina riducendola in macerie. 

La cosiddetta immunità diplomatica, pur sopravvissuta in Italia addirittura a quella parlamentare decimata ai tempi di “Mani pulite”, quando le Procure assunsero il comando della politica, va pur essa svolta con una certa misura, , specie di giorno. Gli ambasciatori non possono unirsi e confondersi così disinvoltamente coi politici abituatisi a cercare il magistrato conveniente alla propria causa, fosse pure una guerra, e di sterminio. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il molto apparente anti-draghismo di Papa Francesco….

titolo del manifesto

 Con spirito politico augurabilmente opposto -al netto quindi della imprevedibilità di Giuliano Ferrara e del suo giornale sul terreno religioso, dove a volte l’ex ministro di Silvio Berlusconi è riuscito a essere o a fare il papista più del Papa, specie ai tempi di Ratzingher- due testate si sono richiamate al Pontefice Francesco per sottolinearne le distanze dalla piega presa dagli sviluppi della guerra in Ucraina e dagli effetti sugli equilibri internazionali: in particolare, con un Nato che ha smesso di “russare”, come ha titolato con la solita acutezza il manifesto, rifornendo d’armi gli ucraini aggrediti da Putin, e con i paesi membri, compresa l’Italia, che hanno deciso di aumentare le spese militari, ora che il capo del Cremlino è diventato più aggressivo verso l’Occidente. E l’Italia -c’è da scommettervi- lo farà subito, a dispetto del no gridato per il MoVimento 5 Stelle dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Al quale il successore Draghi ha risposto da Bruxelles facendo semplicemente spallucce.

Titolo del Fatto Quotidiano
Titolo del Foglio

“Nato e Draghi: “Più armi”- Il Papa: “Siete dei pazzi”, ha titolato in blu Il Fatto Quotidiano senza chiedersi, come faceva a suo tempo Stalin spartendosi l’Europa con gli occidentali, alla fine della seconda guerra mondiale, quante fossero le guardie svizzere del Vaticano. “Non armarsi contro Putin? Da pazzi”, ha titolato all’opposto, laicamente, facendo il verso a Francesco Il Foglio.  Che almeno una cosa di positivo ha colto nell’errore di Putin di invadere l’Ucraina: il ricompattamento dell’Occidente, e più in generale, dei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea dopo il brutto ritiro dall’Afghanistan, letteralmente abbandonata o restituita, come preferite, ai talebani. Che ne stanno facendo carne da porco, al solito. 

Immagini da Bruxelles

Basta guardare le immagini giunte da Bruxelles e dintorni, senza registrarne parole e gesti con cui ha liquidato le resistenze del suo predecessore a Roma, per capire la soddisfazione di Mario Draghi per l’andamento delle cose a livello europeo e atlantico. Pur nominato dal Papa, ancor prima di approdare a Palazzo Chigi, membro certamente non secondario dell’Accademia Pomtificia delle Scienze sociali, ed avendo ancora prima studiato con un un certo profitto dai gesuiti dell’allora non ancora pontefice Bergoglio, e non perdendosi una messa estiva dovunque gli capiti di potervi partecipare, il presidente del Consiglio è un laico a 24 carati. La Chiesa è una cosa, la politica è un’altra, a cominciare da quella italiana. 

Giovanni Spadolini e Giulio Andreotti

Un altro laico apparentemente ancora più laico di Draghi, che magari qualche volta ne avrà anche votato il partito in deroga all’abitudine di preferirgli la Dc e, chissà, qualche volta persino il Psi di Bettino Craxi, è stato nella storia d’Italia il compianto Giovanni Spadolini, sino a diventare nel 1981 il primo presidente del Consiglio non democristiano nella storia della Repubblica. Ma mentre Spadolini, al governo o nel suo studio di storico, professore e giornalista, preferiva prendere sempre le misure del Tevere, per valutare quanto si fossero allontanate o avvicinate le sponde del fiume romano, e quindi il Vaticano e Palazzo Chigi, o palazzi simili, Draghi preferisce prendere le misure dell’Atlantico per valutare le distanze dalla sponda europea a quell’americana. 

C’è una bella differenza fra i due. Ma sospetto che, sotto sotto, ,magari molto sotto, nonostante il papismo ostentato da Travaglio, il mio Draghi con la sua minore produzione letteraria non dispiaccia neppure al Pontefice felicemente e gesuiticamente regnante.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

La roulette russa e mediatica della guerra “speciale” in Ucraina

Il presidente ucraino intervistato da Repubblica

      Per carità, ci sarà pure un tantino di ottimismo da dovere di ospitalità nel titolo di Repubblica all’intervista al presidente dell’Ucraina Kelensky sul “fallimento” della “guerra lampo di Putin” alla sua terra. Dove i russi avevano programmato una “operazione speciale” -come la chiamano  a rischio di manette per chi parla di guerra- anche per la sua breve durata. Ma oltre che sul terreno battuto dalle truppe, dalle bombe, dai missili e dai mercenari, non mi pare che arrivino direttamente da Mosca notizie molto consolanti per il capo che sembrava imbattibile almeno fra i suoi. Alcuni dei quali lo stanno invece abbandonando, e neppure silenziosamente come mosche fuori stagione al Cremlino. 

Titolo del manifesto
La vignetta del Secolo XIX

Ci vuole molto poco senso dell’umorismo -come hanno invece dimostrato di averne il manifesto, col suo titolo sul “Rublicone”, o il vignettista Stefano Rolli sul Secolo XIX con l’abitudine” che ci vorrebbe imporre Putin di adottare la sua moneta- per vendersi come una genialità, dai danni incalcolabili per l’Occidente, la decisione annunciata da Mosca di far pagare in rubli, e non in dollari o in euro, tutte le forniture russe, a cominciare naturalmente da quelle di gas. 

Titolo del Fatto Quotidiano

        “Putin ci frega  sul rublo e aggira le sanzioni”  ha titolato trionfalmente il solito Fatto Quotidiano, che non è il solo, a dire la verità, ma in una certa inquietante compagnia, ad aspettarsi dal Cremlino notizie, decisioni, iniziative che, ridicolizzando Zelensky, ne pieghino rapidamente le resistenze  e riducano finalmente le perdite della sua gente, per la quale evidentemente egli ha ben poco riguardo. L’ho sentito declamare ieri sera in un salotto televisivo con aria persino insofferente da uno come Vittorio Feltri, molto apprezzato invece come “patriota”, e perciò candidato recentemente anche al Consiglio Comunale di Milano, dalla giovane leader della destra italiana Giorgia Meloni. 

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

Potrebbe essere girato anche al mio amico Vittorio, ancora avvolto nel suo elegante gessato, il telegramma inviato ai lettori da Gianrico Carofiglio dalla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, pensando appunto alla guerra in Ucraina, con la riproduzione di una felicissima frase attribuita ad Einstein: “quelli che dicono che è impossibile non dovrebbero disturbare quelli che ce la stanno facendo”. 

      Quando Putin non riuscirà neppure a stampare  tutti i rubli dei quali i suoi clienti avranno bisogno per pagargli anche le spese di guerra, oltre che le forniture commerciali ed energetiche, che cosa si inventeranno nel giornale di Marco Travaglio per continuare a scriverne come di un capo, ripeto, imbattibile? Che sembra ben compreso e temuto peraltro da un uomo per il quale Travaglio stravede ancora, avendolo scambiato per il migliore presidente del Consiglio capitato all’Italia dopo Cavour, cioè Giuseppe Conte.  

Giuseppe Conte

Quest’ultimo ha trascorso ieri un’intera giornata tra Palazzo Madama e il suo ufficio privato  per spingere i senatori delle sue 5 Stelle contro l’aumento delle spese militari deciso dal governo e già votato alla Camera. Sentite con quanta fatica anche letteraria, oltre che politica, il presidente del MoVimento ha esposto alla fine delle consultazioni il pensiero suo e dei suoi: “Non potremmo assecondare un voto che individuasse come prioritario l’incremento delle spese militari a carico del nostro bilancio. In questo caso il MoVimento non potrebbe fare altro che votare contro”. Sarebbe allora la crisi, o quanto meno il ritiro dei grillini dal governo e dalla maggioranza? “Ognuno farà le sue scelte”, ha risposto il redivivo ex presidente del Consiglio, visto che Travaglio ne ha già raccontato -ricordate?- “il Conticidio”.

Beppe Grillo sfotte la causa ucraina sul suo blog… personale

Dal Corriere della Sera di domenica scorsa
Titolo odierno del Dubbio

A un supercritico della televisione, del cinema e, più in generale, della comunicazione come Aldo Grasso non poteva sfuggire il silenzio assordante, direi, di un uomo di spettacolo e insieme della politica come Beppe Grillo di fronte alla guerra che sta coraggiosamente subendo dalla Russia un paese come l’Ucraina, condotto dal 2019 da un uomo che in qualche modo, da attore comico di successo, gli avrebbe potuto somigliare, ma che tanto diverso si è rivelato per fortuna da lui: Voldymir Zelensky. Il quale non ha dato in escandescenze, non ha avuto bisogno  di sentirsi più forte col turpiloquio e sta guidando il suo popolo in una resistenza semplicemente eroica contro il predatore più armato e pericoloso del mondo come Vladimir Putin, scambiato anche da lui, come da Silvio Berlusconi e tanti altri in Italia e fuori, per “un beneficio per l’umanità” dopo i 70 anni e più di comunismo esportato dai predecessori nel mondo. Erano gli inconvenienti della   rivoluzione imbalsamata con Lenin per tanti anni  nel mausoleo della piazza rossa a Mosca. Dove a suo tempo mi vennero i brividi a contemplare la mummia in silenziosa fila.

    “Quando le cose si mettono male,  Grillo -ha scritto Grasso- si rinchiude a Sant’Ilario nella zona franca del food. Con i suoi “vaffa”, con gli sberleffi, con la furia giustizialista, con l’imbroglio politico mascherato da millenario pop, con una concezione della democrazia radicale (uno vale uno) ha recato al Paese danni incalcolabili.  Per molto tempo ha offerto uno spettacolo di sub-cultura e di sub-politica, dalle quali persino alcuni dei suoi sembrano ora prendere le distanze. Beppe Grillo non paga mai il conto. Gli basta il silenzio: il silenzio dei non innocenti”.  Ben scritto, perdio.

Matteo Savini

Da domenica Grillo ha continuato a non parlare, coprendo con la sua capigliatura e la sua carica di “garante” tutti gli umori e malumori del MoVimento 5 Stelle: indifferente sia agli applausi del “suo” ministro degli Esteri Luigi Di Maio al presidente del Consiglio Mario Draghi, che prometteva in Parlamento a Zelensky “aiuti anche militari”, sia al  collega di partito e presidente della commissione Esteri del Senato che chiedeva ai ministri e sottosegretari grillini di dimettersi dal governo. E ciò magari per inseguire Matteo Salvini che, uscito dall’aula di Montecitorio nella rinnovata veste di “vero e unico leader” italiano  consegnatagli da Berlusconi in persona a Villa Cernetto, scappava verso il Vaticano per appendersi alle campane e agli stemmi pontifici, secondo la rappresentazione fattane da Emilio Giannelli nella vignetta di prima pagina del Corriere della Sera. Immagino le tasche del campanaro leghista piene delle medagliette della Madonna, dei crocifissi e dei rosari che egli tira fuori e bacia all’occorrenza sui palchi o per strada. 

Dev’essere l’attrazione fatale del gialloverde d’inizio di legislatura, per fortuna adesso ben al riparo da Draghi: l’unico per il quale persino Grillo sembra avvertire qualche soggezione. 

Pubblicato sul Dubbio

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