In memoria dell’amico carissimo Antonio Martino

    In qualche modo figlio d’arte, essendo stato il padre, Gaetano, lo storico ministro liberale degli Esteri della Repubblica d’Italia sottoscrittore, col presidente del Consiglio democristiano Antonio Segni, dei trattati di Roma istitutivo della Comunità Europea, si può ben dire che con la morte di Antonio Martino il Paese ha perduto un pezzo d’argenteria davvero pregiato della sua politica. 

Gaetano Martino, papà di Antonio

  Ministro degli Esteri pure lui nel primo governo di Silvio Berlusconi, e poi ministro della Difesa, sempre nelle coalizioni di centrodestra nella cosiddetta seconda Repubblica, Antonio Martino giunse alla politica come il padre dalla medicina. Ed entrambi fecero in politica ancora più e ancor meglio che nei loro campi di provenienza o formazione. Furono accomunati anche da un carattere tanto affabile quanto intransigente nella difesa delle loro idee o dei loro stili, a volte anche a costo di una certa rudezza. 

Berlusconi e Martino insieme

  Provvisto della tessera numero 2 di Forza Italia, essendo la numero 1 quella del fondatore Silvio Berlusconi, e stimatissimo dal Cavaliere sino alla soggezione, di cui sono stati avvertiti i  segni anche nella voce con la quale l’ex presidente del Consiglio lo ha ricordato oggi al telefono commentandone la morte ai telegiornali, Antonio Martino non gli risparmiava critiche quando le riteneva opportune. Ancora di recente in alcune interviste non nascose i suoi dubbi sull’opportunità politica della candidatura di Berlusconi al Quirinale, scherzando su tutte le residenze di lusso delle quali poteva disporre, e che avrebbe più propriamente goduto. 

      Una volta, da ex ministro ormai, e anche da parlamentare stanco di un’esperienza che trovava ogni volta più amara in considerazione del livello generale o medio dei deputati e dei senatori che si avvicendavano, grazie alla confidenza che avevamo, mi mostrò su un divano di Montecitorio un biglietto che si accingeva a mandare a Berlusconi. Scritto a mano, esso diceva pressappoco così: “Caro Silvio, vedo che da qualche tempo ti circondi di donne con molto seno e poco senno”. 

    Ne ridemmo insieme, ma gli dissi. “Professore, dopo questo biglietto, per quanto ex ministro e tutto il resto, non otterrà nemmeno una presidenza di commissione in questa legislatura”, come avvenne. E lui, senza scomporsi minimamente, mi assicurò, sempre sorridendo “Lo so benissimo”. 

Del resto, solo a lui poteva capitare da possibile candidato alla segreteria generale della Nato, com’era per l’alta considerazione che ne avevano alla Casa Bianca, di sottrarsi all’evenienza per i troppi scombussolamenti che la carica avrebbe procurato alle sue abitudini di vita, di lavoro e di pur modesto svago.

Antonio Martino in una foto recente

    Addio, professore carissimo. E grazie della stima ed amicizia accordatemi tanto a lungo, anche nel nostro caso senza sconti. Come quello negatomi quando Le dissi di avere appena votato, da ex elettore giovanissimo del partito liberale, per il Psi guidato da Bettino Craxi. Avemmo su questo anche una beve, elegantissima polemica sulle colonne del Tempo. 

    Bei tempi, bei ricordi, belle menti. Ma perché, professore, mi ha voluto precedere nella partenza pur avendo meno anni, sia pure pochi, di me?

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Enrico Letta… nomina Conte custode e garante del governo Draghi

Dalla prima pagina del Corriere della Sera

  Non ha per niente torto il Corriere della Sera a lamentare, nel richiamo di un lungo articolo di Francesco Verderami finito purtroppo a pagina 25, che “a forza di chiedere il cessate il fuoco in Ucraina, i partiti hanno dimenticato di applicarlo in Italia”, mettendo persino a rischio la sopravvivenza del governo. Che si è appena salvato per un solo voto in commissione alla Camera su una revisione del catasto di là da venire, fra non meno di quattro anni, e a gettito fiscale invariato, nel suo complesso, per un impegno ripetutamente preso dal presidente del Consiglio Mario Draghi. 

  Quest’ultimo potrà certamente cambiare nel frattempo, per carità, tenendo conto che massimo fra un anno verranno rinnovate le Camere, e di parecchio, riducendosi di un terzo i seggi parlamentari e cambiando di sicuro, e di molto, i rapporti di forza tra i partiti e simili. Fra i quali il più penalizzato è destinato ad essere quello dei grillini, dopo essere stato “centrale”, come una volta la Dc, in questa legislatura ormai all’epilogo. Ma è già scritto nel disegno di legge delega fiscale che ogni eventuale variazione d’imposta sulla casa non potrà essere apportata, catasto o non catasto, senza passare prima per il Parlamento. 

    Giustamente in un’altra parte dello stesso Corriere della Sera, intervistato per telefono di ritorno da Parigi, il segretario del Pd Enrico Letta ha denunciato la campagna di disinformazione del centrodestra -sia delle componenti della maggioranza sia di quella di Giorgia Meloni all’opposizione- orchestrata per dare per scontati gli aumenti fiscali sulla casa e seminare panico elettorale e politico. 

Il segretario del Pd al Corriere della Sera

      Eppure Enrico Letta, sempre lui, non un omonimo, chiamato a pronunciarsi sulla clamorosa dissociazione di alcuni senatori pentastellati dalla risoluzione della maggioranza sulla crisi, cioè sulla guerra in Ucraina, a cominciare dal presidente della Commissione Esteri Vito Rosario Petrocelli, deciso a restare lo stesso al suo posto, ha testualmente risposto: “Mi sembra che i 5 Stelle abbiano tenuta una linea chiara. Non vedo problemi. Hanno tenuto anche sul catasto. Se il governo è ancora in piedi è grazie a Conte”. Che peraltro non è neppure parlamentare, ma ciò nonostante -a sentire il segretario del Pd- riuscirebbe a controllare i gruppi sia dei senatori sia dei deputati: cosa che non risulta alla generalità dei cronisti politici. 

        A parte il fatto che, proprio mentre Enrico Letta parlava o prima ancora ma senza che nessuno fosse riuscito ad avvertirlo in tempo, arrivavano dai grillini notizie per nulla rassicuranti sui loro umori proprio in tema di catasto e dintorni, in previsione del passaggio del provvedimento in aula; a parte, dicevo, questo fatto non secondario, è quanto meno singolare che il segretario del Pd declassi praticamente a una bazzecola la dissociazione del presidente della Commissione Esteri del Senato e altri colleghi gruppo dalla linea del governo esposta personalmente dal presidente del Consiglio, e riassunta in un documento comune di maggioranza, su un problema che fa paura a tutto il mondo, e non solo all’Italia e all’Europa, minacciate ora anche dall’estensione degli obiettivi militari dei russi alle centrali nucleari. 

    Arrivano intanto proprio dall’interno della Commissione Esteri del Senato notizie di una certa apprensione politica, diciamo così, per l’imminenza di un voto predisposto dal presidente su un documento concordato -udite, udite- con  gli omologhi parlamentari russi. 

         Mi chiedo con una certa incredulità se e come possano essere pagati prezzi così alti nel Pd  all’interesse, al desiderio, al disegno e quant’altro di un rapporto sostanzialmente privilegiato con i grillini di Conte, tuttora sospeso giudiziariamente -non dimentichiamolo- dalle sue funzioni di presidente del MoVimento 5 Stelle. 

Ripreso da http://www..policymakermag.it

Il predatore Putin peggiore dei suoi predecessori regali e rivoluzionari

Titolo del Dubbio

 La pezza, si sa, è spesso peggiore del buco, specie quando la si improvvisa. Vale anche per il modo in cui ho sentito e visto giudicare quell’aggettivo “sovietico” usato su molti giornali ma anche nel dibattito parlamentare svoltosi sulla guerra in Ucraina  dopo la linea di fermezza esposta dal presiedente del Consiglio Mario Draghi. Che ha parlato della Russia e di Putin non dando del sovietico né all’una né all’altro, giustamente consapevole che l’Unione Sovietica, appunto, ha cessato per fortuna di esistere da tempo, dissoltasi spontaneamente, implosa e non esplosa per chissà quale bomba o missile lanciato da una qualsiasi delle tante postazioni della Nato create per difendersene. Invece -ripeto- del sovietico è stato dato sia alla Russia, sia a Putin, sia ai soldati inviati in Ucraina dalla terra e dal cielo, con tanto di documentazioni fotografiche o televisive. 

    Lo si è detto e lo si è scritto -si è spiegato dai pochi, in verità, che hanno mostrato di esserne rimasti sorpresi e persino dispiaciuti, rimanendosene però zitti persino nei salotti televisivi di cui erano conduttori o padroni di casa- per sottintendere politicamente la nostalgia del regime sovietico che si coltiverebbe a Mosca, E che spiegherebbe l’aggressione all’Ucraina. In Putin sarebbe di particolare evidenza per la carriera fatta nei servizi segreti dell’Unione Sovietica in qualche modo propedeutica al suo arrivo poi al Cremlino, quando la bandiera rossa con la falce e martello era stata già ammainata da tempo e sventolava al suo posto quella della Russia. 

Immagine storica di Lenin

         Magari fosse solo questione di nostalgia del sovietismo e simili, mi verrebbe da dire pur da anticomunista che sono stato come elettore e come giornalista, arruolato alla fondazione del Giornale da Indro Montanelli  e sottratto, con le scuse d’uso in quei tempi, al Giornale d’Italia di Alberto Giovannini, ma ciò nonostante amico ed estimatore di tanti elettori e giornalisti dell’altra parte, compresi quelli con i quali ho più frequentemente polemizzato: dal mitico Fortebraccio dell’Unità ad Aniello Coppola, da Emanuele Macaluso a Walter Veltroni, da Umberto Ranieri a Renato Venditti, da Claudio Petruccioli a Giorgio Frasca Polara, da Candiano Falaschi ad Antonio Caprarica, da Miriam Mafai a Piero Sansonetti. Col quale ultimo peraltro non ho neppure avuto occasione di polemizzare ma solo di collaborare, essendoci conosciuti e frequentati troppo tardi. 

L’ultimo zar

  Magari, dicevo, fosse solo questione di nostalgia del passato, perché l’Unione Sovietica fu il prodotto di una rivoluzione, tragica come riescono ad essere tutte le rivoluzioni, a cominciare da quella francese del 1789. Alla quale una volta si collegò Giancarlo Pajetta per reagire a tutto il sangue e a tutte le ingiustizie attribuite dalla rivoluzione sovietica. Erano insanguinate, mi disse una volta in privato quel polemista irriducibile, anche le “Crociate di Santa Romana Chiesa”. 

      Nulla di tutto questo, mei cari signori,  sento di riconoscere, intravvedere e contestare a uno come Putin. Che non vuole ripristinare i soviet nella sua Russia né esportarli nel mondo, a piedi o sui carri armati. No. Io sento e avverto quell’uomo solo come un predatore: di potere, di ogni tipo, e territori con tutto ciò che vi contengono. E’ qualcosa di più e di peggio del sovietismo, che aveva una sua visione della società e dell’organizzazione dello Stato. Era insomma un’ideologia, che ha mietuto milioni di vittime di certo, ma per la quale si sono volontariamente immolati in tanti, credendo alle loro bandiere e non confessandosi, una volta catturati dal nemico di turno, com’è capitato in questi giorni in Ucraina, di non sapere dove fossero stati mandati a combattere e uccidere e per che cosa. 

Pubblicato sul Dubbio

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