La guerra non fa uscire di stagione il Carnevale della politica interna

Putin continua a dare la caccia agli ucraini, sino a spingerli verso i cosiddetti corridoi umanitari per colpire più facilmente i poveracci che li imboccano per fuggire. Egli aggiorna inoltre la lista dei nemici o degli ex amici, ma tuttora suoi clienti nelle forniture di gas. Fra questi naturalmente è stata compreso l’Italia per le sanzioni contro la Russia e gli aiuti, anche in armi, che insieme agli alleati europei e d’oltre Atlantico essa ha deciso di fornire agli ucraini che sempre di più ne chiedono per resistere agli invasori. 

Chissà se in privato il capo del Cremlino ha ricevuto qualche telefonata di pur amichevole protesta da Silvio Berlusconi. O, magari, lo ha prevenuto con una telefonata di rammarico personale

Titolo di Domani

   Noi tutti penso che ci chiediamo con una certa apprensione come e quando finirà questa storia drammatica, e con quanti danni anche per il nostro Paese, se i cosiddetti sovranisti, almeno loro, continuano ad occuparsene. Qualcuno come il politologo Piero Ignazi, su Domani, si è giustamente chiesto, pensando al “ruolo dell’Italia nella crisi”, che “cosa può fare Draghi per curare le ferite con Mosca”. 

  Draghi, dal canto suo, dopo avere dovuto rinunciare ad una visita a Putin cercata quando sembrava ancora possibile fermarlo sulla strada della guerra ai vicini, ha aperto trattative con altri fornitori di gas per ridurre la forte dipendenza dalla Russia che egli ha ereditato dagli illuminati precedecessori, essendo arrivato al governo solo un anno fa. E tiene tutti i contatti necessari per portare avanti la linea di contrasto e insieme di contenimento di Putin. Ne ha parlato e trattato ancora ieri con la presidente della Commissione Europea, Ursula von del Leyen. Ma per un giornale come Il Fatto Quotidiano, che sta con una gamba o mezza al governo, insieme ai grillini che ne fanno parte, e con l’altra o l’altra e mezza con l’opposizione, dividendosi fra i dissidenti e i fuorusciti dal MoVimento 5 Stelle, Draghi non esiste. O esiste al contrario, per farsi escludere dagli incontri che contano, o conterebbero, o arruolandosi fra quanti giocano in fondo per aggravare, non per ridurre le tensioni. 

Totomontaggio recente del Fatto Quotidiano
Titolo del Fatto

  Qualche giorno fa in un fotomontaggio di prima pagina il presidente del Consiglio era in tenuta un pò francescana e un pò napoleonica, spalleggiato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, entrambi contenti di avere appena aumentato le spese militari per “buttare 10 miliardi di euro in più all’anno”, sottraendoli in parte naturalmente al cosiddetto reddito di cittadinanza e simili. L’importante è dire “signorsì alla Nato” , per fortuna di Travaglio contrastati in piazza dai pacifisti, pur impegnati tuttavia a sfottere di più il segretario del Pd gridandogli “Letta mitraglietta”.  

Edtoriale del Corriere della Sera

A questi pacifisti Paolo Mieli oggi sul Corriere della Sera ha fatto il pelo e il contropelo contestandone la perversa filosofia di lasciare fare il lavoro sporco agli invasori il più rapidamente possibile per contenere, alla fine, le perdite degli invasi. E un modo, certo, di vedere le cose ma alquanto “cinico”, come ha ricordato l’editorialista elencando da storico un pò di precedenti per niente edificanti. 

  Ognuno insomma partecipa a questa guerra a modo suo, anche fingendo di volersene astenere. o addirittura di ostacolarla. E qualcuno augurandosi che l’occasione possa servire anche a liberarsi di Draghi a Palazzo Chigi, dopo avergli impedito di andare al Quirinale, Eppure il Carnevale ormai è finito. Evidentemente in politica non esce mai di stagione.  

Il paragone che Putin non riesce a meritarsi neppure con Breznev

  Che diavolo di capricci riesce a fare, ma soprattutto a farci la storia in passaggi drammatici come quello che stiamo vivendo con la guerra in Ucraina. Della quale per fortuna possiamo scrivere e parlare, almeno in Occidente, senza finire in galera, come avviene invece nella Russia che pensavamo finalmente uscita dalle nefandezze della nomenklatura sovietica. Con la quale pure si poteva finire in galera, e anche peggio, ma forse ancor meno facilmente di adesso. 

I funerali di Breznev a Mosca

  Ma il capriccio di cui vorrei farvi partecipi non è questo. E’ ancora più grande e feroce: quello di augurarsi, come ho visto e letto da qualche parte, anche bene informata di storia, politica e dintorni, che quel testone, capoccione o come altro volete chiamare Putin finisca o sia già finito, alle prese con l’Ucraina, nello stesso “pantano” in cui s’infilò ai tempi dell’Urss il vecchio e decadente Breznev invadendo e mettendo a ferro e fuoco l’Afghanistan. Dove, pur invecchiato e a stento capace di reggersi in piedi da solo per la durata intera di una cerimonia, o di una parata, il gerarca sovietico aveva saputo valutare in tempo la pericolosità che andava assumendo il fenomeno dell’estremismo islamico, o islamista, come preferite: valutazione che gli fu facilitata dalla circostanza di avere l’islam in casa, nella vastità e complessità delle Repubbliche confluite con le buone o con le cattive nell’Unione rossa della falce e martello. 

  Noi occidentali non volemmo o non sapemmo comprendere la situazione. In funzione dell’anticomunismo, o antisovietismo, preferimmo dare una mano non a Mosca ma agli estremisti islamici o, ripeto, islamisti. Li armammo e finanziammo come più non si poteva, non riuscendo neppure a immaginare -o ritenendo, da furbi  come ci sentivamo, di sapercene difendere- che quegli estremisti, una volta liberatisi dei sovietici, e accartocciati i loro carri armati sui bordi delle strade, si sarebbero rivoltati anche contro di noi. Il che avvenne sino a spedire una squadra di sabotatori direttamente negli Stati Unti per abbattere, fra l’altro, le torri gemelle di New York. Ricordate, gente? Io li ricordo bene quei due grattacieli che fumavano la mattina dell’11 settembre 2001, pomeriggio in Italia, come i due fiammiferi descritti con la sua solita bravura da quella testimone e cronista d’eccezione che era Oriana Fallaci. 

Immagini dall’Ucraina
Immagini dall’Afghanistan

    Accadde così che noi occidentali -si sempre noi- dovemmo sostituirci in qualche modo ai sovietici che avevamo voluto far cacciare dall’Afghanistan e ritentare la loro operazione d’ordine, chiamiamola così. E che potevamo per fortuna chiamare  quella ch era davvero, cioè una guerra, oltre a praticarla, senza finire in galera per l’editto di qualche leader della coalizione dei volenterosi, coraggiosi e simili allestita dagli Stati Uniti. Fu un conflitto durato praticamente una ventina d’anni e di recente concluso -ahimè- con la nostra fuga un pò disordinata e la consegna, o restituzione, di quel Paese ai talebani, che lo stanno così ferocemente governando nella nostra ormai completa distrazione, favorita anche dalla tragedia sopraggiunta in Ucraina.

  A quest’ultima, ai suoi problemi, al suo presidente Zelensky ridotto dal gatto del Cremlino al topo dipinto da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera, ignorando tutti gli altri  topi che gli stanno dietro, non intendo paragonare minimamente l’Afghanistan dell’altro ieri, di ieri e di oggi. Ma mi dà -vi confesso -un ceto fastidio culturale, psicologico, persino fisico scommettere  sul “pantano” in cui si ficca, o riusciamo a ficcare l’avversario di turno. Il pantano è sempre un’arma a doppio taglio, e dagli esiti imprevedibili. Preferisco le soluzioni chiare ai problemi: la vittoria e, al limite, la sconfitta. 

Titolo del Dubbio

    Nè mi piace -vi confesso anche questo- sentire il pur bravo, bravissimo Sergio Mattarella, reduce dal sacrificio di una rielezione non desiderata al Quirinale pur di non aggravare le emergenze italiane irrisolte, anzi aumentate anche a causa della guerra nel frattempo scoppiata, dire agli ucraini con i quali ha assistito alla messa in una chiesa di Roma che l’Italia “farà quello che può” a favore loro e dei cari che muoiono o cercano di scappare dalla propria terra come topi inseguiti dai gatti putiniani, non meno feroci di quelli una volta sovietici, o forse anche di più, nelle nuove condizioni date dell’umanità e della scienza, diciamo così. Che tragedia sentirsi impotenti. E doverlo anche confessare. 

Pubblicato sul Dubbio

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