La maglietta fatale di Salvini e il contrappasso subìto in Polonia

 Peggiore, o quanto meno più imbarazzante, del lungo e assordante silenzio di Silvio Berlusconi sull’amico Putin impegnato nella sciagurata invasione dell’Ucraina, e in tutto ciò che ne è già derivato e potrebbe ancora derivarne, è la baldanza con la quale un altro estimatore, se non proprio amico come Berlusconi, del capo del Cremlino si è avventurato in un viaggio da campagna elettorale in trasferta nella lontana Polonia, deciso a spingersi verso il paese messo a ferro e fuoco dall’”animale”, come il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha definito il presidente russo. 

    Salvini è incorso subito nell’infortunio, che pure avrebbe potuto, anzi dovuto prevedere, della memoria del sindaco che lo ha ricevuto davanti alla stazione rinfacciandogli con tanto di ostentazione la maglietta bianca inneggiante a Putin indossata dal capo della Lega in Italia, reduce peraltro da una visita a Mosca dove aveva detto di trovarsi meglio che a Roma. Un altro , finto pure leui nel centrodestra, si era avventurato addirittura nella Corea del Nord per preferirla a tutto il resto del mondo.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

    Uno scrittore restituito alla sua vocazione o arte prima dalla magistratura e poi dalla politica, Gianfranco Carofiglio, ha mandato a Salvini un telegramma dei suoi, con tanto di rubrica, dalla prima pagina della rinata Gazzetta del Mezzogiorno. Esso dice come meglio non si potrebbe: “Contrappasso: corrispondenza della pena alla colpa: il rapporto per cui la pena alla quale sono sottoposti i peccatori nell’oltretomba riproduce i caratteri essenziali della colpa. Per ulteriori dettagli chiedere al senatore Salvini dopo il viaggio in Polonia”, e gli insulti che si è giustamente meritati  

Dietro il lungo e assordante silenzio di Berlusconi sull’amico Putin

Berlusconi con Gheddafi

Più che da un’amara rassegnazione alla locuzione latina del “sic transit gloria mundi” usata nel 2011 per commentare la tragica e ingloriosa fine dell’amico Mu’ammar Cheddafi in Libia – anche da lui, come da altri predecessori a Palazzo Chigi considerato un dittatore sì ma sostanzialmente utile, anzi necessario al suo difficilissimo paese, non a caso ancora ingovernato dopo la morte, con tutti gli inconvenienti derivati anche all’Italia- mi pare vagamente ispirato a qualche speranza l’ormai lungo e un pò assordante silenzio di Silvio Berlusconi sulla situazione, sorte e quant’altro di un amico ancor più ostentato pubblicamente: Vladimir Putin. Col quale se non siamo ancora direttamente in guerra, come finimmo contro Gheddafi, poco ci manca, essendo già entrati nella lista dei paesi ostili stesa personalmente dal capo del Cremlino per le sanzioni alle quali partecipiamo contro la Russia e per gli aiuti che forniamo agli ucraini sotto invasione e assedio, secondo le varie parti del loro territorio. 

Berlusconi e Putin

D’altronde, anche se l’avesse voluto in cuor suo per simpatia verso l’ex presidente del Consiglio, peraltro partecipe dell’ampia maggioranza di governo in corso, allargatasi anche alla destra di Gorgia Meloni sul fronte internazionale per la crisi ucraina, Putin non poteva fare diversamente -bisogna ammetterlo- dopo essersi sentito definire e liquidare come “un animale” dal ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio.  Che- detto tra parentesi, inutili per il Cremlino, dove non mancano di certo le informazioni sulla politica interna italiana- è fra tutti i grillini, o pentastellati, non dico più fra i meno disprezzati ma ormai fra i più appezzati da Berlusconi. Il quale gli ha recentemente regalato per le feste di fine anno anche un bel quadro apprezzato e gradito dal destinatario, prudentemente affrettatosi tuttavia -hanno riferito le cronache- a depositarlo alla Farnesina, senza trattenerlo per sé. Le cose in Italia cambiano rapidamente, e la prudenza non è mai eccessiva, anche se da quelle parti, sotto le cinque stelle, non è proprio la prudenza la virtù più diffusa, con quel garante “elevato”, supremo e quant’altro che si tengono stretto come un’icona: l’orgogliosamente “vaffanculista” Beppe Grillo, ancora fermo con Berlusconi all’immagine dello “psiconano” improvvisata in una delle piazze d’esordio del movimento ora sotto la presidenza giudiziariamente sospesa di Giuseppe Conte. 

Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano di ieri

Da ostinato ottimista come ho imparato a conoscerlo a suo tempo, pur tra insofferenze e sfoghi cui si abbandonava quando si sentiva deluso o, peggio, tradito da qualcuno sulla strada dei suoi progetti sempre ambiziosi, spesso vissuti col cardiopalma anche dai più stretti collaboratori e familiari, temo che Berlusconi ancora condivida paradossalmente di Putin, insieme con l’insospettabile Barbara Spinelli che ne ha appena scritto sul Fatto Quotidiano, la frase che ne fece a suo tempo un mezzo campione di affidabilità, a metà strada fra il romanticismo e il realismo: “Chiunque non senta la mancanza dell’Unione Sovietica è senza cuore, ma chiunque voglia il suo ritorno è senza cervello”. Che è esattamente quello che l’amico di Berlusconi sta rischiando di perdere, se non l’ha già perso, gestendo come ha fatto sinora il problema dei rapporti con l’Ucraina e, di riflesso, col resto del mondo, compresa la confinante e diffidentissima Cina: un enigma forse ancora maggiore di quello che l’Urss era apparsa a Winston Churchill, per avendovi appena collaborato nella guerra contro Hitler, cominciata peraltro -e non a caso- con un patto fra lo stesso Hitler e Stalin per spartirsi la Polonia. 

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