Dietro il lungo e assordante silenzio di Berlusconi sull’amico Putin

Berlusconi con Gheddafi

Più che da un’amara rassegnazione alla locuzione latina del “sic transit gloria mundi” usata nel 2011 per commentare la tragica e ingloriosa fine dell’amico Mu’ammar Cheddafi in Libia – anche da lui, come da altri predecessori a Palazzo Chigi considerato un dittatore sì ma sostanzialmente utile, anzi necessario al suo difficilissimo paese, non a caso ancora ingovernato dopo la morte, con tutti gli inconvenienti derivati anche all’Italia- mi pare vagamente ispirato a qualche speranza l’ormai lungo e un pò assordante silenzio di Silvio Berlusconi sulla situazione, sorte e quant’altro di un amico ancor più ostentato pubblicamente: Vladimir Putin. Col quale se non siamo ancora direttamente in guerra, come finimmo contro Gheddafi, poco ci manca, essendo già entrati nella lista dei paesi ostili stesa personalmente dal capo del Cremlino per le sanzioni alle quali partecipiamo contro la Russia e per gli aiuti che forniamo agli ucraini sotto invasione e assedio, secondo le varie parti del loro territorio. 

Berlusconi e Putin

D’altronde, anche se l’avesse voluto in cuor suo per simpatia verso l’ex presidente del Consiglio, peraltro partecipe dell’ampia maggioranza di governo in corso, allargatasi anche alla destra di Gorgia Meloni sul fronte internazionale per la crisi ucraina, Putin non poteva fare diversamente -bisogna ammetterlo- dopo essersi sentito definire e liquidare come “un animale” dal ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio.  Che- detto tra parentesi, inutili per il Cremlino, dove non mancano di certo le informazioni sulla politica interna italiana- è fra tutti i grillini, o pentastellati, non dico più fra i meno disprezzati ma ormai fra i più appezzati da Berlusconi. Il quale gli ha recentemente regalato per le feste di fine anno anche un bel quadro apprezzato e gradito dal destinatario, prudentemente affrettatosi tuttavia -hanno riferito le cronache- a depositarlo alla Farnesina, senza trattenerlo per sé. Le cose in Italia cambiano rapidamente, e la prudenza non è mai eccessiva, anche se da quelle parti, sotto le cinque stelle, non è proprio la prudenza la virtù più diffusa, con quel garante “elevato”, supremo e quant’altro che si tengono stretto come un’icona: l’orgogliosamente “vaffanculista” Beppe Grillo, ancora fermo con Berlusconi all’immagine dello “psiconano” improvvisata in una delle piazze d’esordio del movimento ora sotto la presidenza giudiziariamente sospesa di Giuseppe Conte. 

Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano di ieri

Da ostinato ottimista come ho imparato a conoscerlo a suo tempo, pur tra insofferenze e sfoghi cui si abbandonava quando si sentiva deluso o, peggio, tradito da qualcuno sulla strada dei suoi progetti sempre ambiziosi, spesso vissuti col cardiopalma anche dai più stretti collaboratori e familiari, temo che Berlusconi ancora condivida paradossalmente di Putin, insieme con l’insospettabile Barbara Spinelli che ne ha appena scritto sul Fatto Quotidiano, la frase che ne fece a suo tempo un mezzo campione di affidabilità, a metà strada fra il romanticismo e il realismo: “Chiunque non senta la mancanza dell’Unione Sovietica è senza cuore, ma chiunque voglia il suo ritorno è senza cervello”. Che è esattamente quello che l’amico di Berlusconi sta rischiando di perdere, se non l’ha già perso, gestendo come ha fatto sinora il problema dei rapporti con l’Ucraina e, di riflesso, col resto del mondo, compresa la confinante e diffidentissima Cina: un enigma forse ancora maggiore di quello che l’Urss era apparsa a Winston Churchill, per avendovi appena collaborato nella guerra contro Hitler, cominciata peraltro -e non a caso- con un patto fra lo stesso Hitler e Stalin per spartirsi la Polonia. 

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