Così è se vi pare, direbbe Pirandello dei sondaggi elettorali favorevoli a Giorgia Meloni

Titolo del manifesto
Titolo della Stampa

Con tutte le riserve, per carità, consigliabili per il caldo e i temporali estivi che possono avere distratto o comunque influenzato i sondaggiati, chiamiamoli così, la solitamente attendibile Alessandra Ghisleri ci ha informati dalla prima pagina della Stampa che Giorgia Meloni “vola” sorpassando di un punto e mezzo all’esterno del centrodestra Enrico Letta, fermo col suo Pd al 23,1 per cento. E pazienza per “il buio oltre la fiamma” lamentato o denunciato dal manifesto. 

Dalla prima pagina di Repubblica
Bernard-Henry Levy su Repubblica

Pazienza anche per la firma non tanto francese quanto internazionale di Bernard-Henry Levy, che ha affidato ai lettori-elettori di Repubblica, a proposito di una vittoria elettorale del centrodestra di Meloni, Salvini e Berlusconi, in ordine di voti presunti, questa specie di messaggio in bottiglia: “Gli italiani meritano di meglio, L’Europa, di cui l’Italia è la culla, e più che mai col il trattato del Quirinale ne è un pilastro vivente, sarebbe indebolita dalla vittoria di questa gente. Che la patria di De Gasperi e Pasolini sbarri loro la strada, possa ritrovare quella miscela di saggezza e coraggio che i suoi antichi padri chiamano virtù. Da questo risorgimento repubblicano dipende il futuro del continente”. Ben oltre, quindi, “il futuro di Kiev” attribuito dal titolista di Repubblica all’articolo di BHL nel richiamo di prima pagina. 

Titolo della Stampa

Il secondo elemento emerso dal sondaggio della Ghisleri, o almeno sottolineato dalla prima pagina della Stampa, è il Conte delle 5 Stelle che “aggancia Salvini” rimanendogli dietro di un’inezia, col 12,5 per cento alla Lega e il 12,3 ai grillini. Poi ci sono Carlo Calenda e Silvio Berlusconi che si contendono il traguardo dell’8 per cento, fermandosi l’uno al 7,4 e l’altro al 7. Il resto, diciamo così, non fa praticamente notizia. 

Salvatore Merlo sul Foglio
Titolo del Foglio

Su Salvini è un pò, o un bel pò feroce l’ironia del Foglio. Che gli dà del “revenant” nel titolo, osservando che “pareva finito, e invece no”, ma definisce “circense e pazzerella l’estate di Matteo”. “Chissà che un giorno -ha scritto Salvatore Merlo a conclusione di un pezzo urticante- non si studi nelle università il caso politico di Salvini, il fenomeno che nel 2022 riuscì a perdere più della metà dei voti della Lega”, almeno rispetto alle elezioni europee del 2019, dopo un anno di governo gialloverde con Conte, “pur conservando la segreteria grazie alle sue doti di animatore circense”. Che -aggiungo io- insegue per l’Italia con comizi e battute più o meno polemiche la sua alleata e amica Giorgia ormai lanciata verso Palazzo Chigi lasciandosene abbracciare, o abbracciandola lui per primo, davanti a telecamere, macchine fotografiche e telefonini. Tutto ciò mentre il povero Berlusconi, consolato, incoraggiato e quant’altro dal presidente del Partito Popolare Europeo in visita elettorale in Italia, si vanta del fatto che, per quanto minoritario, egli rimane decisivo per la formazione di una maggioranza di centrodestra in Parlamento, salvo sorprese naturalmente.

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Ma Meloni e Salvini, Giorgia e Matteo, la bella e la bestia, ci sono o ci fanno?

Titolo della Stampa
Titolo del Corriere della Sera

A meno di un mese ormai dalle elezioni, e nonostante i tentativi di Enrico Letta di affiancare la sua immagine a quella di Giorgia Meloni per proporsi come il suo vero e unico antagonista, ho perso francamente il conto delle volte in cui si sono scontrati all’interno del centrodestra Matteo Salvini e la stessa Meloni siglando tregue più o meno fotografiche. L’ultima delle quali è stata celebrata con un abbraccio sullo sfondo dello stretto di Messina che ha un pò invaso le prime pagine dei giornali facendo concorrenza alle notizie, titoli e quant’altro sulle bollette del gas e della luce.

Titolo del Fatto Quotidiano

Un giornale che certamente non tifa per lei come Il Fatto Quotidiano, ha voluto usare persino lo studio Max Plank, non bastandogli le cronache del Meeting ciellino a Rimini con la partecipazione di Mario Draghi o quelle più recenti ancora dal Quirinale contro le resistenze attribuite a Sergio Mattarella, per spiegare come “Meloni ha vampirizzato il socio Salvini” nella corsa a Palazzo Chigi.  

Nella tazzina di caffè di Massimo Gramellini

Persino Massimo Gramellini, tornato a prendere il caffè quotidiano con i lettori del Corriere della Sera dopo le meritate vacanze, la prima cosa che ha voluto manifestare è stata una certa insofferenza per una campagna elettorale giocata, più che sugli argomenti, sulle “faccine” dei tre protagonisti da lui avvertiti: faccine, in particolare, “Meloni in modalità corrucciata, Letta con lacrima appesa alla guancia, Salvini linguacciuto e sghignazzante”. 

Enrico Letta

Pazienza per il segretario del Pd che ha dovuto accontentarsi sempre di meno in questa campagna elettorale, da cui sembra che il massimo ricavabile, per lui, sia un sorpasso inutile sulla Meloni. La quale a sua volta sorpassando di certo i propri alleati, in un centrodestra vincente secondo praticamente tutti i sondaggi, ha la concreta prospettiva di diventare, peraltro, la prima donna alla guida di un governo italiano. 

In una situazione del genere, a meno di grandi sorprese da parte del polo di Carlo Calenda e di Matteo Renzi, di fatto l’unica novità di questa campagna elettorale, forse capace di provocare almeno al Senato qualche sorpresa amara al centrodestra, verrebbe voglia di chiedere sommessamente alla Meloni e a Salvini, o alla bella e alla bestia in termini di animazione cinematografica e musicale, di chiarirci finalmente se ci sono o ci fanno. Giusto per capire. 

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Rumori…di carta al Quirinale sul futuro femminile di Palazzo Chigi

Titolo del Dubbio

Il retroscena è un pò quello che si dice della via dell’inferno, lastricata spesso di buone intenzioni. Come forse sono state quelle di chi al Quirinale o dintorni ha forse messo sulla cattiva strada l’inconsapevole Marzio Breda facendogli scrivere sul Corriere della Sera dello “stupore” che sarebbe stato procurato al capo dello Stato dalla certezza, speranza, fiducia -chiamatela come volete- fattasi scappare da Giorgia Meloni di ottenere l’incarico di presidente del Consiglio da Sergio Mattarella in caso di vittoria del centrodestra. E sua personale prevalendo sugli altri partiti della coalizione nelle elezioni del 25 settembre. 

Sergio Mattarella
Marzio Breda, il quirinalista del Corriere della Sera

In poche righe di formale “precisazione” fatte diffondere dall’ufficio stampa del Quirinale il presidente della Repubblica ha mostrato di prendersela soprattutto per i “sentimenti” -fra virgolette- attribuitigli dall’”estensore” della nota retroscenista del più diffuso giornale italiano pubblicata domenica scorsa in una pagina interna, con la prudente rinuncia al richiamo in prima solitamente riservato per attendibilità  e autorevolezza a Marzio Breda. Che a sua volta è ricorso alle iniziali e non alla firma intera di un pezzo breve ma intenso, come al solito, di aggettivi, indicazioni e riferimenti che sembravano sottintendere chissà quale fonte, magari la massima. Invece non solo per sé ma anche per i suoi consiglieri, collaboratori e amici Mattarella ha voluto reagire sottolineando la paternità esclusivamente, e non solo “inevitabilmente”, personale  delle opinioni  espresse appunto dall’”estensore”. 

Alessandro Sallusti su Libero di ieri

Ciò non ha impedito lo stesso al direttore di Libero, Alessandro Sallusti, di assicurare che il suo ex collega di testata “non si sia bevuto il cervello”.  E di scrivere quindi che egli avesse quanto meno attinto alla “fantasia di qualcuno di autorevole che vive o gravita al Quirinale”, deducendone quindi che esso non sia “un palazzo di vetro ma un luogo d intrighi e complotti”, da cui Mattarella per primo dovrebbe guardarsi. Pesante, francamente, come allusione, tanto più dopo una nota scritta e diffusa proprio per smentire sospetti del genere, neutralizzati -ripeto- dalla  sola, esclusiva responsabilità dell’”estensore” dell’articolo del Corriere della Sera. 

Perché tanto puntiglio da parte del capo dello Stato. quasi uno strappo nella storia dei rapporti fra il Quirinale, ben prima dell’arrivo di Mattarella, e il giornalista accreditato del Corriere? Che da tempo fa testo -come si suol dire- a proposito di ciò che accade sul Colle più alto di Roma. 

Per rispondere a questa domanda non è forse un azzardo soffermarsi sulla parte conclusiva del “retroscena” attribuito a Marzio Breda. E’ quello in cui si leggeva domenica -come se il quirinalista stesse spiegando ai lettori le prerogative del presidente della Repubblica per giustificare il presunto “stupore” provocato dalla fiduciosa scalata della Meloni a Palazzo Chigi- dei “diversi fronti che Mattarella dovrà considerare procedendo alla nomina” del presidente del Consiglio dopo le elezioni, quasi a prescindere dai risultati. “C’è pure -aveva scritto testualmente Breda- la cornice geopolitica e delle alleanze nelle quali l’Italia è inserita, essendo il capo dello Stato garante dei trattati internazionali”. Ma rispetto a quale trattato internazionale dovrebbe essere particolarmente considerata in potenziale condizioni di incompatibilità, o di semplicemente problematica coerenza, la leader della destra italiana? Una questione quanto meno prematura, dopo la “precisazione” opposta dal Quirinale alla forse troppa invasiva curiosità accesa da Breda retroscenando.

Giorgia Meloni
Giuliano Ferrara sul Foglio immagina Putin appeso a un lampione di Mosca

Certo è comunque che nella sua corsa a Palazzo Chigi, a dispetto anche dello scetticismo che ogni tanto si lascia scappare l’alleato Salvini o di quello appena attribuito anche a Silvio Berlusconi da Francesco Verderami, un altro retroscenista del Corriere della Sera, Giorgia Meloni sta inanellando successi di tappa, chiamiamoli così. La “precisazione” del Quirinale segue di pochi giorni quel “qualsiasi governo” su cui Mario Draghi ha scommesso a Rimini per dirsi sicuro che l’Italia ce la farà ad uscire anche questa volta dalle difficoltà, per quanto care Putin stia rendendo le bollette del gas e della luce a imprese e famiglie con la sua guerra all’Ucraina. A proposito della quale uno che ha vissuto a Mosca la sua infanzia, Giuliano Ferrara, col padre corrispondente dell’Unità, ha appena scritto una delle solite conclusioni imperdibili dei suoi articoli sul Foglio: “Putin passerà l’inverno al caldo, e i sanzionati sembreremo noi. Eppure dopo una guerra persa e il suo gas bruciato nell’aria per mancanza di magazzini, e l’Occidente alla ricerca dell’autonomia energetica, saranno guai grossi per lui. Quelli che ora lo temono e lo blandiscono lo impiccheranno a uno di quei lampioni di Mosca che ricordo bambino”.

Pubblicato sul Dubbio

Quella diavolaccia di Giorgia Meloni crea scompiglio persino al Quirinale

Giorgia Meloni

“Troppa grazia, sant’Antonio”, potrebbe dire Giorgia Meloni, magari insospettendosi di quanto le sta accadendo intorno a favore di un approdo a Palazzo Chigi in caso di vittoria elettorale del centrodestra. Questa volta a trazione sua, della stessa Meloni, diversamente dagli anni in cui era Silvio Berlusconi il leader incontrastato dell’alleanza e dalla parentesi del 2018, quando fu la Lega di Matteo Salvini a sorpassare la Forza Italia dell’ex presidente del Consiglio. 

Dopo il discorso di Mario Draghi a Rimini, dove la pur non citata leader della destra nazionale si sentì giustamente accreditata dall’ottimismo col quale il presidente del Consiglio si era detto convinto che l’Italia ce l’avrebbe fatta dopo le elezioni “con qualsiasi governo”, la Meloni può ben intestarsi -anche se ha evitato opportunamente di farlo- un breve comunicato nel quale il presidente della Repubblica ha smentito il quirinalista  pur principe del giornalismo italiano. Che è Marzio Breda, del Corriere della Sera, spintosi ad attribuirgli “sorpresa” per ciò che la Meloni si aspetta dal capo dello Stato in caso di vittoria  elettorale.

E’ proprio vero che c’è una prima volta proprio per tutto. Per la campagna elettorale in estate, come si è visto con lo scioglimento anticipato delle Camere a luglio, e per una smentita del presidente della Repubblica al quirinalista più accreditato, incorso stavolta nell’interlocutore sbagliato, diciamo così.

La corrispondenza siglata di Marzio Breda dal Colle
Dal Corriere della Sera di domenica, pagina 8

Va detto -non per solidarietà professionale e stima personale ma per l’evidenza dei fatti- che lo stesso Breda deve avere colto qualcosa di diverso dal solito nello scrivere la sua corrispondenza dal Quirinale, non solo pubblicata senza alcun richiamo in prima pagina ma da lui solo siglata, non firmata per esteso. Una corrispondenza, a pagina 8 del Corriere della Sera di domenica, in cui si riferiva appunto di una “sorpresa” sul Colle per il carattere scontato che la Meloni aveva praticamente attribuito ad un suo approdo a Palazzo Chigi in caso di vittoria, non considerando  -fra l’altro- la difesa dei “trattati internazionali”   cui è preposto il presidente della Repubblica. Trattati evidentemente minacciati da una Meloni a alla guida del governo. 

Il comunicato del Quirinale di ieri

Pur con la cortesia di non citare direttamente la corrispondenza di Breda, il capo dello Stato ha fatto definire dal suo ufficio stampa “del tutto privi di fondamento articoli che presumono di interpretare o addirittura di dar notizia di reazioni o “sentimenti” del Quirinale su quanto espresso nel confronto elettorale”. E la Meloni aveva parlato della sua possibile promozione a Palazzo Chigi appunto in una intervista-comizio in una piazza pugliese.  “Questi articoli -ha insistito Mattarella con la nota affidata al suo ufficio stampa- riflettono inevitabilmente le opinioni dell’estensore”. Punto e basta. Nessuna reazione da parte del Corriere della Sera e del suo quirinalista, che hanno quindi incassato e basta, pure loro. 

L’editoriale di Libero
Titolo di Libero

Chi ha voluto mettere la lama nella piaga, diciamo così, è stato invece il quotidiano Libero riferendo di “intrighi al Colle” da cui Breda si sarebbe lasciato coinvolgere facendo “infuriare” Mattarella e provocandone la reazione contro “i suoi” collaboratori. Più diplomatico, con riconoscimenti alla professionalità di Breda, ma non meno velenoso politicamente è stato il commento del direttore di Libero Alessandro Sallusti. Che ha scritto di un Quirinale per niente “casa di vetro”, piuttosto “luogo di intrighi e complotti”, come altri della politica a Roma, ma situato più in alto di tutti anche fisicamente. 

Persino questo, senza neppure volerlo, sembra dunque essere riuscita a fare Giorgia Meloni nella sua scalata a Palazzo Chigi: creare scompiglio fra consiglieri e quant’altro del presidente della Repubblica. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Cento anni fa a Milano, di agosto. La storia usata come un manganello contro la Meloni

Titolo di Repubblica
Titolo del manifesto

La dannata attualità costringe anche la Repubblica di carta ad occuparsi della “bolletta bollente”, per dirla col manifesto, che il governo Draghi è chiamato a raffreddare trovando una decina di miliardi di euro senza aumentare il debito pubblico. E magari lasciandosi indicare le coperture dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini, consultato intanto da solerti cronisti e convinto che basti spremere di più col fisco “le aziende energetiche, farmaceutiche e bancarie”, arricchitesi troppo negli ultimi tempi. 

Sempre dalla prima pagina di Repubblica
Dalla prima pagina di Repubblica

Resta tuttavia la Storia, con la maiuscola, a mobilitare in questa campagna elettorale la Repubblica –sempre quella di carta- contro “il cantiere sovranista” riproposto in prima pagina con un’immaginetta di Giorgia Meloni: “la predestinata”, come la chiama Concita De Gregorio lamentandone “gli illusionismi”, senza lasciarsi incantare, distrarre e quant’altro da segnali di sofferenza provenienti dall’interno dello stesso centrodestra. Dove, per esempio, Matteo Salvini ha appena ricordato alla sua pur alleata aspirante a Palazzo Chigi che le scelte del capo dello Stato, quando si tratterà di nominare dopo le elezioni il nuovo presidente del Consiglio, potrebbero rivelarsi meno scontate, o più discrezionali, del previsto o sperato dai cosiddetti fratelli d’Italia. 

Marzio Breda sul Corriere della Sera
Titolo del Corriere della Sera

In un “retroscena” sul Corriere della Sera  anche Marzio Breda ha avvertito che “per il Quirinale non esistono automatismi sull’incarico”. Egli ha spiegato, in particolare, che “tra i diversi fronti che Mattarella dovrà considerare procedendo alla nomina c’è pure la  cornice geopolitica e delle alleanze nelle quali l’Italia è inserita, essendo il capo dello Stato garante dei trattati internazionali”. Che peraltro contribuirono nel 2018 a  provocare il rifiuto proprio di Mattarella di nominare ministro dell’Economia un professore come Paolo Savona, propostogli da Conte ma da lui considerato troppo poco convinto della moneta unica europea. 

Titolo di Repubblica

Ma, al di là persino dei trattati internazionali evocati, a torto o a ragione, dal quirinalista del Corriere della Sera, e che la leader della destra italiana non contesta più, tanto da scavalcare in atlantismo, per esempio, partiti che ne sembravano fanatici, è la Storia -ripeto, con la maiuscola- che potrebbe giocare contro la Meloni alimentando la paura che suscita il fascismo nel centenario della sua affermazione. E così l’ex direttore di Repubblica, il produttivissimo Ezio Mauro, in tre pagine dell’ottava puntata della rievocazione della “marcia su Roma” dell’ottobre 1922 si occupa oggi dell’agosto di quell’anno, che sta per finire anche in questo nostro 2022. Un agosto nel quale “le camice nere prendono Milano”, racconta in un presente che vorrebbe essere di paura il mio amico Ezio. In effetti in quel mese a Milano accadde veramente di tutto nello scenario nero: assalto al giornale socialista Avanti, violenze per strada e assalto a Palazzo Marino, la sede del Comune. 

Dalla prima pagina del Corriere della Sera

Forse non sufficientemente ferrato negli studi storici come ritiene invece di essere in materia giuridica -debbono avere pensato a Repubblica- l’ex presidente del Consiglio e ora presidente solo del più modesto e malandato MoVimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha appena cercato di spiegare al Corriere della Sera che “lo spauracchio del fascismo non ti fa vincere”. Lo “spauracchio”, ripeto, anche senza il permesso della titolatissima Repubblica. 

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La Meloni perde la voce in piazza ma non la voglia di Palazzo Chigi

Una celebre foto di Guido Crosetto con Giorgia Meloni
Titolo della Stampa

Nell’attesa, speranza e quant’altro di un viaggio nella City di Londra per “rassicurare gli investitori”, come ha anticipato la Stampa attribuendone il progetto o l’organizzazione a Guido Crosetto, il “gigante” che la sollevò fra le braccia protettive alla fondazione dei movimento dei “fratelli d’Italia”, Giorgia Meloni ha cercato di rassicurare almeno il pubblico pugliese di Ceglie Messapica, nel Brindisino. Peraltro riuscendovi, secondo la cronaca del Corriere della Sera, strappando un applauso ogni due minuti, non si sa se anche nel passaggio in cui ha detto che si aspetta l’incarico di presidente del Consiglio dal capo dello Stato in caso di vittoria elettorale, messa peraltro nel conto adesso anche da Mario Draghi, pur da lei non citato, nella certezza che “qualsiasi” governo potrà aiutare l’Italia a farcela anche questa volta. “Speriamo che sia femmina”, diceva il titolo dell’intervista in piazza che ha lasciato la Meloni afona dopo 80 minuti di domande, risposte, saluti agli ospiti che via via arrivavano, fra i quali Antonio Tajani mandato sul posto da Silvio Berlusconi.

La vignetta di Altan su Repubblica
Titolo del Corriere della Sera

Giorgia, come ormai tutti i giornali titolano più o meno familiarmente, ha confessato che “le  tremano i polsi” ma non per questo si lascerà  paralizzare. Non è insomma della pasta di quegli  uomini oggi immaginati sulla prima pagina di Repubblica da Altan in preda alla paura di vincere  le elezioni, visto che sono “in arrivo fame, freddo, disoccupazione e tumulti”, con i più autorevoli giornali stranieri pronti a mandare in Italia i loro inviati a raccontarne, non bastando di certo i loro corrispondenti. Qualcuno di questi giornali sta già soffiando sul fuoco dando i numeri di una speculazione già in atto contro i titoli del nostro debito pubblico, che alcuni vorrebbero ulteriormente aumentare proprio in campagna elettorale per finanziare i soccorsi a imprese e famiglie per il caro-bollette. “Io non ci dormo la notte”, ha detto la leader della destra, speriamo -per lei- senza per questo accendere la luce e contribuire all’emergenza.  

Titolo del Foglio

Persino Giuliano Ferrara sul Foglio, pur non rinunciando alla scelta elettorale già annunciata a favore di Enrico Letta, ha cominciato a mettere davvero nel conto la vittoria della Meloni, prima e più ancora del centrodestra, e a studiare le ragioni della sconfitta del Pd. Da lui già avvertite per sommi gradi, come l’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli in una intervista ieri a Libero, nella incapacità di questo partito di diventare davvero socialdemocratico, non condizionato dalla solita paura di avere nemici a sinistra. 

“Può darsi -ha scritto testualmente il fondatore del giornale ora diretto da Claudio Cerasa- che un tempo congruo di opposizione politica seria, diversa dalla famigerata accozzaglia anti berlusconiana il cui prezzo antipolitico e di subalternità alla magistratura militante ancora oggi si paga, possa risollevare un progetto identitario non scontato e non rinunciatario in quella parte del paese che è destinata a perdere la sfida elettorale secondo tutte le previsioni. La chiave può essere un riesame del laburismo e della socialdemocrazia”.

    Vasto programma, usava dire la buonanima del generale e presidente francese Charles De Gaulle di tutto ciò che gli appariva improbabile. 

Giorgia ringrazia il Draghi di Rimini. Enrico Letta non sta sereno

Titolo di Avvenire del 25 agosto
Titolo del Dubbio

Per quanto meno gridato di altri fra tutti i giornali italiani, e non certo paragonabile a quello di Piero Sansonetti sul Riformista ad esplicito favore di “Giorgia”, temo che sia stato il titolo di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, a mettere maggiormente in imbarazzo il segretario del Pd Enrico Letta a proposito del discorso applauditissimo del presidente del Consiglio al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Si sarò fatto, da buon fedele, il segno della croce. 

Mario Draghi a Rimini

Quel “Draghi: l’Italia ce la farà con qualsiasi governo” non era certo l’altra mattina il controcanto -nè certamente e onestamente poteva esserlo- della campagna elettorale del segretario del Pd-ex Dc, e non solo ex Pci, basata per scelta dello stesso interessato sulla contrapposizione non solo e non tanto al centrodestra quanto proprio a Giorgia Meloni. Con la quale non a caso Enrico Letta ha tentato il confronto televisivo diretto più ambito a ridosso delle urne, dolendosi della “bizantina” bocciatura dell’autorità di controllo, sensibile alle proteste degli altri concorrenti. 

Giorgia Meloni

Il giornale dei vescovi italiani che, pur  non menzionandola, ripeto, estendeva di fatto anche alla Meloni la fiduciosa attesa del suo successore da parte del presidente del Consiglio ha contraddetto un Letta impegnato a fermare un’avversaria dalla quale teme scombussolamenti anche sul piano delicatissimo della politica estera per i suoi rapporti -per esempio- coll’ungherese Orban, che tanto piace o fa comodo a Putin. 

La politica estera ha assunto nella campagna elettorale una centralità, un’importanza, chiamatela come volte, via via crescente, al di là o a dispetto dei tanti fuochi sui temi economici, sociali, climatici, dalle “pillole” quotidiane di Silvio Berlusconi alle sparate e ai numeri di Matteo Salvini, dalle bertinottate di Giuseppe Conte ai coriandoli di Luigi De Magistris e alle fatwa di un Carlo Calenda alleato davvero con Matteo Renzi. I più giovani hanno la fortuna di non poterlo ricordare, ma a volte ai più anziani, ma proprio anziani, sembra rivivere o riascoltare parole e temi della campagna elettorale del 1948: quando qualcuno, nell’immaginazione della propaganda, poteva rischiare di essere visto nell’urna da Stalin come stavolta da Putin, anche lui alloggiato al Cremlino. Allora l’adolescente Silvio Berlusconi incollava sui muri di Milano i manifesti elettorali della Dc rischiando le botte degli attacchini comunisti, che devono essergli anche per questo rimasti sul gozzo, anche ora che non ci sono più, o non si chiamano più così. 

E’ proprio basandosi sul lascito draghiano di politica estera, di cui il presidente uscente del Consiglio parla sempre con una forza pari alla sobrietà, con una nettezza che non si presta mai agli equivoci o alle doppie letture tanto frequenti nella politica italiana, che Dario Di Vico sul Corriere della Sera  ha voluto in qualche modo dissipare  i dubbi, le paure e quant’altro espresse il giorno prima, sullo stesso giornale, dall’ex direttore Paolo Mieli allarmato, in particolare, dal “clima” romano avvertito a Mosca con compiacimento da Dmitrij Suslov. 

L’editoriale del Corriere della Sera del 25 agosto

Stante la “legacy pesante” di Draghi e nella convinzione, sospetto -come preferite- della vittoria elettorale della Meloni accreditata dai sondaggi, Di Vico si e ci ha chiesto: “E’ credibile che una maggioranza di centro-destra possa operare un’inversione a U e posizionare il nostro Paese, se non a fianco della Russia, quantomeno in una posizione di finta neutralità rompendo l’accordo tra i partner europei? E che la stessa maggioranza possa anche nel delicato campo della dipendenza energetica cancellare quanto deciso dal governo attuale in materia di diversificazione degli approvvigionamenti e di varo dei nuovi rigassificatori?”. Che pure sembrano non piacere anche ad alcuni fratelli d’Italia, e non solo ai grillini. 

Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 25 agosto

“La risposta è no”, ha scritto Di Vico. Che così, senza aspettare “gli scienziati della politica” invocati in apertura del suo intervento per spiegargli “l’ossimoro” di Rimini- dove i ciellini avevano applaudito tanto Mario Draghi quanto il giorno prima Giorgia Meloni, reduce da un’opposizione a tutti i governi succedutisi nella legislatura finalmente interrotta- si è risposto da solo anche su quel versante. Il pubblico di Rimini ha chiaramente avvertito la continuità d’azione fra Draghi e “chiunque”, anche a destra, gli dovesse succedere per via delle “scelte obbligate” di politica estera, adottate dallo stesso Di Vico come titolo al suo editoriale.

Stefano Rolli sul Secolo XIX di ieri

Enrico Letta, pur consolato poi dall’abbraccio con Prodi in una manifestazione elettorale a Bologna, si è forse davvero girato nel letto da un’atra parte, come lo ha impietosamente immaginato il vignettista Stefano Rolli sulla prima pagina del Secolo XIX di ieri. Ma gli basterà per uscire dalle difficoltà in cui obiettivamente si trova? O si è messo, come qualcuno già borbotta nel suo partito dietro una unità, al solito, di facciata in campagna elettorale. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it il 27 agosto

Quel femminicidio di troppo ordinaria amministrazione finito sulla scrivania di Cartabia

Titolo del manifesto
Titolo di Repubblica

Tra gli affari -pensate un pò- di “ordinaria amministrazione”, in realtà straordinarissima, con i quali le circostanze hanno messo alla prova il governo di Mario Draghi, praticamente dimissionato dai partiti insofferenti della sua autorevolezza non  negoziato con loro in ogni ora o minuto del giorno, non ci sono  solo quelli della guerra in Ucraina e dintorni, compreso lo spionaggio russo in Italia appena riproposto da Repubblica, e del “gasrotto”, come il manifesto ha riassunto con la solita brillantezza la questione degli approvvigionamenti energetici. Che  si  sono aggravati, direttamente o indirettamente anche per il conflitto voluto da Putin, e tradotti per tante imprese e famiglie in bollette che ne compromettono la sopravvivenza. 

L’assassino Giovanni Padovani
La vittima Alessandra Matteuzzi

Tra questi affari, ripeto, di solo apparente o scandalosamente ordinaria amministrazione, per la facilità con la quale alcuni di essi si ripetono, c’è l’ennesimo femminicidio che si poteva evitare ed è stato invece commesso davanti al portone di casa della vittima Alessandra Matteuzzi, da tempo minacciata dal suo ex compagno Giovanni Padovani e rimasta senza sorveglianza, a Bologna, dopo una documentata denuncia presentata ai Carabinieri il 29 luglio. L’assassino quindi ha avuto tranquillamente a disposizione più di una ventina di giorni per eseguire un delitto non certo improvvisato, o provocato da un diverbio, visto che l’uomo ha risposto alle suppliche della donna a “non farlo” prendendola a martellate e bastonate appena scesa dall’auto, nell’atrio del palazzo d’abitazione  dove lui era andato ad aspettarla. 

Il capo della Procura di Bologna -di cui non faccio il nome, peraltro con  una storia professionale  e familiare meritatamente importante e apprezzabile, perché a questo punto è più importante il fatto, o il fenomeno, come preferite- ha reagito come peggio francamente non ci si poteva aspettare  alle critiche di stampa e di strada levatesi subito dopo il delitto. E -presumo- alla richiesta di chiarimenti avanzata ufficialmente dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia in procinto di ordinare un’ispezione quanto meno opportuna.

Il magistrato ha detto, pur smentito clamorosamente dall’accaduto, che non era emersa dalle indagini “una situazione di rischio concreto di violenza”, non superiore alla solita “condotta di stalkeraggio molesto” da parte -aggiungo io- di un troppo giovane energumeno invaghito di una troppo avvenente, e meno giovane, donna che non voleva più saperne di lui, avendo imparato a conoscerlo. In più -ha spiegato il magistrato- le indagini, pur nei tempi ordinari di legge, erano state ritardate dal fatto che alcuni testimoni erano in ferie. 

Oddio -mi e vi chiedo- con tutti i femminicidi che avvengono quotidianamente in Italia, con tutta l’urgenza, la tempestività e quant’altro di misure protettive che ne emergono continuamente, non si potevano quanto meno interrompere le ferie di questi testimoni, magari facendoli raggiungere da qualche agente della polizia giudiziaria per raccoglierne le parole? Credo, o spero, che una domanda del genere -se non proprio questa- se la sia posta anche la ministra della Giustizia predisponendosi, come anticipato dalle cronache, all’iniziativa dell’ispezione. E a conclusioni -mi auguro- che accorcino le distanze tanto cresciute da molti, troppi anni fra ciò che fa la magistratura nei suoi uffici e ciò che si aspetta, fuori, il popolo in nome del quale è amministrata la Giustizia, possibilmente con la maiuscola. 

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Tutti i miracoli di Mario Draghi, prima e dopo il bagno di consenso a Rimini

La vignetta di Stefano Rolli

Il miracolo di Mario Draghi non è naturalmente quello attribuitogli dal simpatico Stefano Rolli sul Secolo XIX facendolo camminare con un accenno di aureola sulle acque di Rimini, prima o dopo avere parlato al raduno annuale dei ciellini mandandoli in visibilio. Come accadde del resto già due anni fa, quando l’ex capo della Banca Centrale Europea non era ancora presidente del Consiglio ma stava per diventarlo, a dispetto di Giuseppe Conte che lo immaginava sfinito a casa, dopo le fatiche a Francoforte, e per niente interessato a succedergli a Palazzo Chigi.

Il solito MarcoTravaglio
L’editoriale del Fatto Quotidiano

  E’ un entusiasmo, quello dei ciellini, che Marco Travaglio -pur provenendo da quelle parti, se non ricordo male la sua storia professionale cominciata a Torino guadagnandosi l’attenzione del Giornale ancora di Indro Montanelli- ha tradotto in vocazione all’”adulazione”, ma anche alla “fatturazione” per gli affari che la loro comunità farebbe col governo di turno.  Per fortuna -ha scritto il direttore del Fatto Quotidiano appendendosi alla stampella di un Flaiano cattivissimo con i giornalisti- i ciellini non hanno la lingua di carta vetrata perché ne rimarrebbero privi a furia di leccare “i culi dei potenti”. 

Titolo della Verità di Maurizio Belpietro
Titolo del Fatto Quotidiano

Il miracolo di Draghi, o fra i vari che gli possono essere attribuiti, è di essere riuscito a mettere d’accordo contro di lui -sin dal primo momento, in verità- due giornali che più diversi o opposti non dovrebbero essere all’anagrafe politica come Il Fatto Quotidiano, appunto, e La Verità di Maurizio Belpietro. I cui titoli oggi cantano la stessa musica: “Draghi si loda da solo, ma non la conta giusta”, il primo, e “Draghi si fa il monumento”, il secondo rimproverandogli di avere detto che va  “tutto benissimo” e chiedendosi con altrettanta ironia: “Come abbiamo potuto non accorgercene?”. 

Titolo del Fatto, rigorosamente in giallo
Titolo del Giornale

Una certa sintonia si trova anche tra il giornale di Travaglio e quello della famiglia Berlusconi diretto dal buon Augusto Minzolini, “sorpreso” di scoprire che “Draghi resta in campo” in questa campagna elettorale alla quale in effetti non partecipa, limitandosi a invitare tutti a votare, ma di cui è un pò il convitato o persino il protagonista di pietra. In campo per che cosa? Ma per il Quirinale naturalmente, spiega Il Fatto Quotidiano temendo forse che la prossima volta, chissà quando, visto che mancano più di sei anni alla scadenza del secondo mandato di Sergio Mattarella, possa farcela. E forse con l’appoggio  non del solo leghista Giancarlo Giorgetti, come a gennaio scorso, ma di tutto il centrodestra oggi grato dell’appoggio elettorale che ne avrebbe appena ricevuto. 

Alessandro Sallusti su Libero
Titolo del Riformista

Non è stato solo il Riformista di Piero Sansonetti a tradurre in “Italia ce la farai anche se vince Giorgia…” l’ottimismo della previsione di Draghi che ce la faremo, appunto, con “chiunque” vincerà le elezioni, quindi anche col centrodestra già favorito nei sondaggi. “Letta, Calenda e soci -ha commentato con sollievo Alessandro Sallusti su Libero- se ne facciano una ragione: Mario Draghi non è cosa loro, non scenderà in campo in questo finale di stagione, comunque non in una metà campo”. “Chi sta provando ad arruolarlo senza chiedergli il permesso rimarrà a bocca asciutta”, ha concluso il direttore di Libero senza paura di smentirsi, avendo appena cercato di arruolare appunto nel centrodestra il presidente del Consiglio forzandone l’ottimismo, diciamo così, patriottico espresso a Rimini, e tanto piaciuto al pubblico. 

Giorgia Meloni
Dario Di Vico sul Corriere della Sera

Dario Di Vico sul Corriere della Sera ha definito “un ossimoro” quello di Rimini, dove hanno raccolto applausi a scena aperta tanto Draghi quanto, prima di lui, l’oppositrice di sempre Giorgia Meloni. E ha chiesto agli “scienziati della politica” di spiegargli perché. Provo a spiegarglielo io, che non sono certamente uno scienziato: per la convergenza sulla politica estera, a tutela della serietà, attendibilità e sicurezza dell’Italia dopo la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Quello che Putin si aspetta e non otterrà dalle elezioni in Italia

Titolo del Dubbio

Nella sua doppia e fortunata professione di giornalista e di storico – con la precedenza al giornalismo dovutagli per essere stato non una ma due volte direttore del Corriere della Sera- il mio amico Paolo Mieli mi è sembrato un pò in apprensione per la scommessa che ha praticamente fatto sulla campagna elettorale italiana, parlandone proprio col suo giornale, Dmitrij Suslov. Che dirà poco forse ai più giovani, anche nella veste ricordata da Mieli di direttore del Centro russo di studi europei e di uomo vicino al Cremlino. Ma che ai meno giovani fa forse più impressione per l’omonimia o la familiarità -non lo so neppure io- con Michail Andreevic  Suslov: il famoso e temutissimo custode dell’ideologia comunista ai tempi, in particolare, di Leonid Breznev. 

Egli morì in tempo, nel 1982, per risparmiarsi il trauma, vissuto invece da Putin,  della caduta per implosione dell’Unione Sovietica, ma anche per lasciare un ricordo temo poco felice in parecchi, importanti comunisti italiani che erano incorsi, o avevano solo corso il rischio di finire sotto la sua osservazione, a Mosca, subendo ritardi di carriera, quanto meno.

Paolo Mieli sul Corriere della Sera diieri

Del Suslov, fortunatamente, dei soli nostri giorni ha colpito Mieli la previsione che “il nuovo governo italiano aggiusterà l’approccio alla guerra e ai rapporti con Mosca”. Alla guerra, cioè, in Ucraina ancora lontana da ogni soluzione, militare o diplomatica che si voglia immaginare. 

Ancora Paolo Mieli sul Corriere della Sera di ieri

Pur rincuorato a suo modo dalla convergenza atlantista fra il segretario del Pd Enrico Letta e la leader della destra Giorgia Meloni, che tengono ad essere, e non solo ad apparire, i principali o veri antagonisti di questa campagna elettorale, al di là anche degli schieramenti che hanno alle spalle, Paolo teme che Suslov abbia colto “alcuni segnali che sono nell’aria” a favore degli interessi o delle attese del Cremlino. 

La vignetta del Secolo XIX su Salvini e Putin

D’altronde, proprio mentre Mieli scriveva il suo editoriale, al raduno ciellino di Rimini, caduto quest’anno nel mezzo della prima campagna elettorale d’estate in Italia,   Matteo Salvini raggiungeva il palco del dibattito di giornata, per parteciparvi con l’alleata Giorgia Meloni e gli avversari Enrico Letta e Luigi Di Maio, sbuffando a parole e a gesti contro le sanzioni alla Russia per l’aggressione all’Ucraina.

Il centrodestra, si sa, ha le sue “anime” come religiosamente si chiamavano le correnti nella Dc, altrettanto il cosiddetto centrosinistra, lo stesso polo centrista fresco d’anagrafe e persino quel monolite cui Giuseppe Conte vorrebbe ora fare assomigliare il suo MoVimento 5 Stelle bruciando ponti e ponticelli sopravvissuti alla prima onda d’urto contro il Pd. 

Eppure quel “clima che piace a Mosca”, tanto avvertito da Mieli da essere diventato il titolo del suo editoriale, penso che sia un pò esagerato, come affrettati mi sono sembrati tutti i brindisi, metaforici ed effettivi, levatisi al Cremlino all’annuncio delle dimissioni di Mario Draghi da presidente del Consiglio. E ripetuti anche dopo quello assai meno festoso dello stesso Draghi rimasto al suo posto, con tutti i ministri, per la gestione dei cosiddetti “affari correnti”. Fra i quali ci sono fatti e parole in un contesto di “emergenze” che il capo dello Stato ha voluto sottolineare sciogliendo le Camere ma confermando il governo. 

Berlusconi in Crimea con Putin nel 2015

Tra i fatti, per citarne solo uno, c’è il perdurante aiuto militare anche italiano all’Ucraina. Tra le parole ci metterei quelle appena pronunciate dal presidente del Consiglio Draghi nel collegamento con la Conferenza per la Crimea che si è svolta nel trentunesimo anniversario della proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina e nel sesto mese della guerra russa d’invasione: una Crimea, a proposito, che anche il presidente turco Erdogan ritiene spetti ancora all’Ucraina. E la cui annessione da parte russa fu invece festeggiata nel 2015 sul posto da Silvio Berlusconi, per fortuna non più presidente del Consiglio italiano. 

“L’Italia -ha rinfrescato la memoria Draghi- ha costantemente condannato l’annessione illegale della Crimea e la graduale militarizzazione della penisola da parte di Mosca. Siamo profondamente preoccupati per il peggioramento della situazione dei diritti umani nella penisola e siamo al fianco della comunità tatara di Crimea contro la violenza e l’ingiustizia di cui soffre. La lotta per la Crimea fa parte della lotta per la liberazione dell’Ucraina”, colpita “lo scorso febbraio -ha tenuto a ricordare  ancora Draghi- con attacchi lanciati” proprio dalla Crimea, che continua ad essere usata “per esercitare pressioni militari su altre aree, in particolare sulle città portuali di Mykolav e Odessa”. “La comunità internazionale -ha concluso Draghi- non può girarsi dall’altra parte”.

Mario Draghi a Rimini fra i ciellini

Contemporaneamente -e non credo proprio a caso- dopo avere definito “scellerata” la guerra perdurante in Ucraina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha revocato altre dieci onorificenze italiane a russi. Parole e fatti insieme, questa volta. L’Italia insomma, pur tra difficoltà esterne e interne, anche questa volta “ce la farà”, come ha detto ieri Draghi a Rimini accolto con entusiasmo dai ciellini.

Pubblicato sul Dubbio 

Ripreso da http://www.startmag.it il 27 agosto

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