La Meloni perde la voce in piazza ma non la voglia di Palazzo Chigi

Una celebre foto di Guido Crosetto con Giorgia Meloni
Titolo della Stampa

Nell’attesa, speranza e quant’altro di un viaggio nella City di Londra per “rassicurare gli investitori”, come ha anticipato la Stampa attribuendone il progetto o l’organizzazione a Guido Crosetto, il “gigante” che la sollevò fra le braccia protettive alla fondazione dei movimento dei “fratelli d’Italia”, Giorgia Meloni ha cercato di rassicurare almeno il pubblico pugliese di Ceglie Messapica, nel Brindisino. Peraltro riuscendovi, secondo la cronaca del Corriere della Sera, strappando un applauso ogni due minuti, non si sa se anche nel passaggio in cui ha detto che si aspetta l’incarico di presidente del Consiglio dal capo dello Stato in caso di vittoria elettorale, messa peraltro nel conto adesso anche da Mario Draghi, pur da lei non citato, nella certezza che “qualsiasi” governo potrà aiutare l’Italia a farcela anche questa volta. “Speriamo che sia femmina”, diceva il titolo dell’intervista in piazza che ha lasciato la Meloni afona dopo 80 minuti di domande, risposte, saluti agli ospiti che via via arrivavano, fra i quali Antonio Tajani mandato sul posto da Silvio Berlusconi.

La vignetta di Altan su Repubblica
Titolo del Corriere della Sera

Giorgia, come ormai tutti i giornali titolano più o meno familiarmente, ha confessato che “le  tremano i polsi” ma non per questo si lascerà  paralizzare. Non è insomma della pasta di quegli  uomini oggi immaginati sulla prima pagina di Repubblica da Altan in preda alla paura di vincere  le elezioni, visto che sono “in arrivo fame, freddo, disoccupazione e tumulti”, con i più autorevoli giornali stranieri pronti a mandare in Italia i loro inviati a raccontarne, non bastando di certo i loro corrispondenti. Qualcuno di questi giornali sta già soffiando sul fuoco dando i numeri di una speculazione già in atto contro i titoli del nostro debito pubblico, che alcuni vorrebbero ulteriormente aumentare proprio in campagna elettorale per finanziare i soccorsi a imprese e famiglie per il caro-bollette. “Io non ci dormo la notte”, ha detto la leader della destra, speriamo -per lei- senza per questo accendere la luce e contribuire all’emergenza.  

Titolo del Foglio

Persino Giuliano Ferrara sul Foglio, pur non rinunciando alla scelta elettorale già annunciata a favore di Enrico Letta, ha cominciato a mettere davvero nel conto la vittoria della Meloni, prima e più ancora del centrodestra, e a studiare le ragioni della sconfitta del Pd. Da lui già avvertite per sommi gradi, come l’ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli in una intervista ieri a Libero, nella incapacità di questo partito di diventare davvero socialdemocratico, non condizionato dalla solita paura di avere nemici a sinistra. 

“Può darsi -ha scritto testualmente il fondatore del giornale ora diretto da Claudio Cerasa- che un tempo congruo di opposizione politica seria, diversa dalla famigerata accozzaglia anti berlusconiana il cui prezzo antipolitico e di subalternità alla magistratura militante ancora oggi si paga, possa risollevare un progetto identitario non scontato e non rinunciatario in quella parte del paese che è destinata a perdere la sfida elettorale secondo tutte le previsioni. La chiave può essere un riesame del laburismo e della socialdemocrazia”.

    Vasto programma, usava dire la buonanima del generale e presidente francese Charles De Gaulle di tutto ciò che gli appariva improbabile. 

Giorgia ringrazia il Draghi di Rimini. Enrico Letta non sta sereno

Titolo di Avvenire del 25 agosto
Titolo del Dubbio

Per quanto meno gridato di altri fra tutti i giornali italiani, e non certo paragonabile a quello di Piero Sansonetti sul Riformista ad esplicito favore di “Giorgia”, temo che sia stato il titolo di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, a mettere maggiormente in imbarazzo il segretario del Pd Enrico Letta a proposito del discorso applauditissimo del presidente del Consiglio al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Si sarò fatto, da buon fedele, il segno della croce. 

Mario Draghi a Rimini

Quel “Draghi: l’Italia ce la farà con qualsiasi governo” non era certo l’altra mattina il controcanto -nè certamente e onestamente poteva esserlo- della campagna elettorale del segretario del Pd-ex Dc, e non solo ex Pci, basata per scelta dello stesso interessato sulla contrapposizione non solo e non tanto al centrodestra quanto proprio a Giorgia Meloni. Con la quale non a caso Enrico Letta ha tentato il confronto televisivo diretto più ambito a ridosso delle urne, dolendosi della “bizantina” bocciatura dell’autorità di controllo, sensibile alle proteste degli altri concorrenti. 

Giorgia Meloni

Il giornale dei vescovi italiani che, pur  non menzionandola, ripeto, estendeva di fatto anche alla Meloni la fiduciosa attesa del suo successore da parte del presidente del Consiglio ha contraddetto un Letta impegnato a fermare un’avversaria dalla quale teme scombussolamenti anche sul piano delicatissimo della politica estera per i suoi rapporti -per esempio- coll’ungherese Orban, che tanto piace o fa comodo a Putin. 

La politica estera ha assunto nella campagna elettorale una centralità, un’importanza, chiamatela come volte, via via crescente, al di là o a dispetto dei tanti fuochi sui temi economici, sociali, climatici, dalle “pillole” quotidiane di Silvio Berlusconi alle sparate e ai numeri di Matteo Salvini, dalle bertinottate di Giuseppe Conte ai coriandoli di Luigi De Magistris e alle fatwa di un Carlo Calenda alleato davvero con Matteo Renzi. I più giovani hanno la fortuna di non poterlo ricordare, ma a volte ai più anziani, ma proprio anziani, sembra rivivere o riascoltare parole e temi della campagna elettorale del 1948: quando qualcuno, nell’immaginazione della propaganda, poteva rischiare di essere visto nell’urna da Stalin come stavolta da Putin, anche lui alloggiato al Cremlino. Allora l’adolescente Silvio Berlusconi incollava sui muri di Milano i manifesti elettorali della Dc rischiando le botte degli attacchini comunisti, che devono essergli anche per questo rimasti sul gozzo, anche ora che non ci sono più, o non si chiamano più così. 

E’ proprio basandosi sul lascito draghiano di politica estera, di cui il presidente uscente del Consiglio parla sempre con una forza pari alla sobrietà, con una nettezza che non si presta mai agli equivoci o alle doppie letture tanto frequenti nella politica italiana, che Dario Di Vico sul Corriere della Sera  ha voluto in qualche modo dissipare  i dubbi, le paure e quant’altro espresse il giorno prima, sullo stesso giornale, dall’ex direttore Paolo Mieli allarmato, in particolare, dal “clima” romano avvertito a Mosca con compiacimento da Dmitrij Suslov. 

L’editoriale del Corriere della Sera del 25 agosto

Stante la “legacy pesante” di Draghi e nella convinzione, sospetto -come preferite- della vittoria elettorale della Meloni accreditata dai sondaggi, Di Vico si e ci ha chiesto: “E’ credibile che una maggioranza di centro-destra possa operare un’inversione a U e posizionare il nostro Paese, se non a fianco della Russia, quantomeno in una posizione di finta neutralità rompendo l’accordo tra i partner europei? E che la stessa maggioranza possa anche nel delicato campo della dipendenza energetica cancellare quanto deciso dal governo attuale in materia di diversificazione degli approvvigionamenti e di varo dei nuovi rigassificatori?”. Che pure sembrano non piacere anche ad alcuni fratelli d’Italia, e non solo ai grillini. 

Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 25 agosto

“La risposta è no”, ha scritto Di Vico. Che così, senza aspettare “gli scienziati della politica” invocati in apertura del suo intervento per spiegargli “l’ossimoro” di Rimini- dove i ciellini avevano applaudito tanto Mario Draghi quanto il giorno prima Giorgia Meloni, reduce da un’opposizione a tutti i governi succedutisi nella legislatura finalmente interrotta- si è risposto da solo anche su quel versante. Il pubblico di Rimini ha chiaramente avvertito la continuità d’azione fra Draghi e “chiunque”, anche a destra, gli dovesse succedere per via delle “scelte obbligate” di politica estera, adottate dallo stesso Di Vico come titolo al suo editoriale.

Stefano Rolli sul Secolo XIX di ieri

Enrico Letta, pur consolato poi dall’abbraccio con Prodi in una manifestazione elettorale a Bologna, si è forse davvero girato nel letto da un’atra parte, come lo ha impietosamente immaginato il vignettista Stefano Rolli sulla prima pagina del Secolo XIX di ieri. Ma gli basterà per uscire dalle difficoltà in cui obiettivamente si trova? O si è messo, come qualcuno già borbotta nel suo partito dietro una unità, al solito, di facciata in campagna elettorale. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it il 27 agosto

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