I 15 apostoli di Giuseppe Conte, più i familiari degli incandidabili

Roberto Scarpinato
Conte al direttore della Stampa

Fra i dodici apostoli di Gesù Cristo riuscì notoriamente a infilarsi, o infiltrarsi, Giuda Iscariota, che lo tradì per trenta denari. Giuseppe Conte -non chiamatemi blasfemo, per favore- è stato più coraggioso con la sua “piccola squadra di quindici persone”, come lui stesso l’ha chiamata parlandone col direttore della Stampa Massimo Giannini. Quindici persone blindate nelle liste bloccate “che potrebbero garantirci -ha detto- l’efficacia della nostra azione come Cafiero De Rhao, Roberto Scarpinato, Sergio Costa, Livio De Santoli”. Sono i quattro preferiti, par di capire, due dei quali  -i primi da lui citati, non credo a caso- assunti in politica, diciamo così, alla fine della loro carriera giudiziaria. Che essi potranno continuare -temo- in altro modo condizionando sui temi della giustizia le scelte di ciò che resterà dopo le elezioni del 25 settembre del MoVimento 5 Stelle, uscito dalle urne del 2018 addirittura come il più votato e rappresentato in Parlamento. 

Le prospettive, anche per la giustizia come piace ai grillini, sono per fortuna alquanto diverse questa volta: forse ancora a due cifre, come lo stesso Conte ha detto nella sua intervista a Giannini, ma ben lontane da quel 33 per cento irripetibilmente conquistato quasi cinque anni fa. E tradottosi, fra l’altro, nel passaggio di Alfonso Bonafede al Ministero della Giustizia. 

Non credo che gioveranno alle ambizioni di Conte le candidature dei parenti -fra mogli, mariti, fratelli- dei parlamentari non ricandidati per il famoso limite dei due mandati rispettato per il rifiuto del “garante” Grillo di concedere deroghe. Un movimento che doveva rivoluzionare il Paese e aprire il Parlamento come una “scatola di tonno”, o sardine, e si riduce ad un’associazione un pò familistica non è francamente il massimo. 

Conte ancora al direttore della Stampa
Titolo del Foglio

Può darsi, per carità, che sia esagerata la rappresentazione che ne fa oggi Il Foglio in prima pagina raccontando di un “Conte pigliatutto”, che “si blinda e medita la rottura con Grillo. Che tace e non farà campagna per il movimento”. Invece, interrogato proprio sui suoi rapporti con Grillo, l’ex presidente del Consiglio ha assicurato, sempre al direttore della Stampa, che sono “molto buoni”. “In passato -ha ammesso- c’è stato un momento di vero scontro e di visioni diverse. Poi c’è stata una composizione, si è trovato un equilibrio e ora riusciamo a collaborare”. “Ci sentiamo costantemente”, ha addirittura rivelato. 

Una quiete quasi leopardiana dopo la tempesta, insomma: una quiete però durante la quale Grillo ha impedito a Conte, fra l’altro, di intestarsi il movimento mettendo il proprio nome nel simbolo. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

L’aiuto inconsapevole di Berlusconi alla ricandidatura di Casini col Pd

Titolo del Dubbio

Ecco un altro paradosso, scherzo e quant’altro di questa campagna elettorale un pò pazza, e non solo inedita nella sua versione estiva, come tutta la legislatura dalla cui interruzione è nata. Con la sua gaffe -a dir poco- sulle “doverose” dimissioni di Sergio Mattarella prima del compimento del mandato in corso se dovesse essere approvata la riforma presidenzialista della Costituzione proposta dal centrodestra Silvio Berlusconi ha aiutato Pier Ferdinando Casini a ottenere dal Pd la ricandidatura al Senato come una specie di guardiano della Costituzione minacciata, assaltata e via discorrendo dall’ex presidente del Consiglio. 

L’Ansa sulla lettera di Enrico Letta al Corriere della Sera per la candidatura di Casini

Sentite che cosa ha scritto Enrico Letta all’edizione bolognese del Corriere della Sera, rivolgendosi praticamente agli insofferenti organi locali del partito, prima di riunire la direzione nazionale per varare appunto le candidature nel giorno di un Ferragosto di fuoco, col sangue metaforicamente grondante sulle pareti come accadeva alla direzione della Dc in analoghe circostanze elettorali, o quando si dovevano varare le lunghe liste dei sottosegretari ad ogni cambio di governo. “E’ possibile, non probabile ma possibile, che nella prossima legislatura -ha scritto Enrico Letta rinverdendo le polemiche sulla sortita di Berlusconi- che nella prossima legislatura si tenti un assalto alla Costituzione da parte della destra”, in “un disegno nefasto, da sventare”, per quanto Berlusconi abbia cercato di precisare, ridimensionare e altro le sue parole, e persino i suoi alleati ne abbiano prese le distanze. “Credo in questo senso che la voce di Casini -ha scritto ancora il segretario del Pd , consapevole dei sacrifici già imposti a tante aspirazioni dalla riduzione dei seggi parlamentari- potrebbe dare un contributo importante e utile ad allargare il sostegno intorno a noi e a rendere più efficace il nostro compito a tutela della Costituzione….contro ogni torsione presidenzialista”. 

E così al buon Casini, un veterano ormai del Parlamento, pur a soli 66 anni compiuti e portati peraltro magnificamente, Berlusconi ha finito per dare una mano inconsapevolmente riparatrice alla non felice sorpresa fattagli nell’ultima corsa al Quirinale. Allora l’ex presidente del Consiglio prima si candidò personalmente, poi “rinunciò” rendendosi conto che i numeri erano diversi da quelli originariamente immaginati, poi  ancora scartò l’ipotesi di appoggiare Casini, avvertito da molti nel centrodestra come un “traditore”, infine si unì ai sostenitori della conferma di Mattarella.  

Ignazio La Russa al Corriere della Sera del 13 agosto su Berlusconi

Fra gli effetti dello scivolone -ripeto- di Berlusconi compiuto prospettando le dimissioni del presidente in carica nel caso di approvazione di una sua elezione diretta, da parte del popolo e non del Parlamento, quello della mano a Casini a sua insaputa per un ritorno al Senato sarà importante, per carità ,per lo stesso Casini sul piano personale ma meno rilevante, sul piano politico, di altri.  Fra i quali eccelle, a mio avviso, l’apertura difensiva fatta da Giorgia Meloni a percorsi alternativi a quello da lei proposto per approdare al presidenzialismo: in particolare, ricorrendo non alla revisione prevista dall’articolo 138 della Costituzione ma ad un’Assemblea Costituente. Che sarebbe più indicata, anche se non è imposta dalla carta costituzionale, per una revisione così incisiva e complessa come l’elezione diretta del presidente della Repubblica, produttrice in pratica di un altro sistema istituzionale e comportante la ridefinizione compensativa di tanti altri articoli diversi dall’ottantatreesimo: quello che affida appunto l’elezione del capo dello Stato al Parlamento “in seduta comune dei suoi membri e con la partecipazione di “tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze”, salvo per la Valle d’Aosta” avente “un solo delegato”. Una parte, questa dell’articolo 83 della Costituzione, che avrebbe dovuto essere modificata in contemporanea con la nuova composizione delle Camere imposta dai grillini ai loro alleati di turno, prima di destra e poi di sinistra. Con un terzo in meno dei seggi elettivi del Parlamento la rappresentanza delle regioni con tre delegati ciascuna, eccetto la Valle d’Aosta, è di uno sbilanciamento, direi, sfacciato.  

Ma questa è solo una delle eredità del MoVimento attorno al quale è ruotata la legislatura fortunatamente interrotta, almeno sotto questo profilo, al netto degli altri danni procurati dalla crisi del governo presieduto dall’italiano più autorevole nel mondo, senza offesa per Mattarella. Cui spetta d’altronde il merito di avere chiamato Mario Draghi in servizio come presidente del Consiglio quando il ricorso anticipato alle urne gli apparve impraticabile per la pandemia e le emergenze connesse. 

Pubblicato sul Dubbio

                 

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