Com’è facile perdere la testa d’estate anche in politica….

Titolo del Foglio
Titolo del manifesto

    La situazione in cui si trova Enrico Letta per quel “rompicampo” di Carlo Calenda, come lo chiama il manifesto, è ben rappresentata sul Corriere della Sera dalla vignetta di Emilio Giannelli. Che non ha immaginato il segretario del Pd nella clinica neurologica o nel pantano proposti tra titoli e titoletti dal Foglio, ma in uno studio di oculista. Dove le lettere della sinistra, per quanto ridotte rispetto a quelle del centro un pò per esigenze dello stesso segretario tigrato del Pd e un pò per le esigenze di Calenda, appunto, sono rimaste ancora ben leggibili. Troppo per quel “rompicampo”, ripeto, dell’ex ministro  allarmato, indispettito e quant’altro dall’attenzione che Enrico Letta continua a riservare non solo e non tanto al verde Angelo Bonelli, che ha almeno espresso una preferenza per il Pd rispetto alle 5 stelle di Giuseppe Conte, quanto per il rosso Nicola Fratoianni. 

Sempre dalla prima pagina di Repubblica
Titolo di Repubblica

Non so se, al punto in cui sono arrivate le cose, e con quel richiamo alle “previsioni negative” dell’agenzia internazionale Moody’s  per “l’incertezza” politica dell’Italia chiamata alle urne, sia più un auspicio o una notizia quel vistoso titolo di Repubblica che attribuisce al segretario del Pd la tentazione di sbottare in questa minaccia a chi gli sta creando troppi problemi: “accordo o andiamo da soli”. Ma per  fare che cosa se non perdere di sicuro a vantaggio del centrodestra, come lo stesso Letta aveva ammesso prima di avviare le trattative e di annunciare l’accordo stipulato con Calenda? Vai a saperlo. 

Giorgia Meloni alla tv americana

Certo, ciò che accade a sinistra o nel centrosinistra della tabella o dello schermo dell’ottico che visita il segretario tigrato del Pd è manna per il centrodestra. Dove la sensazione o speranza di vincere è tale da far compiere imprudenze ad una Giorgia Meloni che annuncia ad una tv americana di essere quasi ad un palmo da Palazzo Chigi e ad un Matteo Salvini che l’incalza anche in quella direzione, non accontentandosi più di un ritorno al Viminale.

Più ancora del termometro delle ambizioni resta tuttavia alto quello più concreto della calura stagionale, con i conseguenti rischi fisici. Stiamo del resto provando per la prima volta una campagna elettorale d’estate. E di quale estate, senza uno straccio di generale Agosto su cui potere scommettere, come si faceva quando  in questa stagione interveniva al massino una crisi di governo sullo sfondo di qualche soluzione “balneare”.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

L’involontaria e tuttavia assordante campagna elettorale di Mario Draghi

Titolo del manifesto di ieri
Titolo del Dubbio

Non per fare le pulci ai colleghi del manifesto, che peraltro ammiro per l’arguzia con la quale sanno abitualmente rappresentare in due parole sparate in prima pagina situazioni davvero ingarbugliate, ma mi chiedo perché abbiano voluto indicare  come “indisponibile per il dopo” un Mario Draghi che non mi è apparso francamente tale nella conferenza stampa sul nuovo decreto legge di aiuti per 17 miliardi di euro, senza un centesimo in più di debito pubblico, a famiglie e imprese in difficoltà. 

Le parole di Draghi

Lo stesso manifesto ha citato a supporto della pretesa indisponibilità ciò che il presidente del Consiglio ha opposto ad un giornalista sospettoso di una sua volontaria  “ipoteca sulla guida del prossimo esecutivo” con l’azione di amministrazione per niente ordinaria che sta svolgendo in questa estate eccezionalmente elettorale e calda: “Sulla mia disponibilità a rifare il premier non rispondo. Quello che penso l’ho già detto altre volte”. 

Giuseppe Conte a piedi

Draghi quando Giuseppe Conte aprì la vertenza della “forte discontinuità” e del “cambio di passo”, dopo averlo peraltro sospettato di avere tramato contro di lui alla guida delle 5 Stelle con telefonate a Beppe Grillo e con l’assecondamento della scissione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, disse di non essere disponibile a fare un altro governo in questa legislatura. Che in effetti è finita in anticipo, sia pure breve, come effetto di questa sola indisponibilità, non altro, confermata col no opposto alla richiesta formalizzata al Senato dalle componenti forzista e leghista della maggioranza di scaricare i grillini. O i “grillozzi”, come li chiama con allegria e indulgenza Giuliano Ferrara sul Foglio. 

Titolo del Giornale di ieri, opposto al manifesto

Sì, è vero. Draghi ha anche detto, in un altro passaggio preparatorio della crisi, di augurare alla democrazia nella prossima legislatura la formazione di un governo non anomalo come quello capitatogli di formare nel 2021 su incarico del presidente della Repubblica per l’accavallarsi di emergenze di vario tipo: un governo magari presieduto da un eletto dai cittadini al Parlamento, diversamente da lui che non è né deputato, né senatore. Nè egli è stato tentato dall’idea di lasciarsi candidare al Senato o alla Camera da qualche partito in corsa, neppure fra quelli che più apprezzano e scommettono sulla sua cosiddetta “agenda”. Che, a scanso di equivoci, lo stesso Draghi ha tenuto a negare che esista, al di là di quella nella quale la segretaria, o il segretario, scrive i suoi appuntamenti quotidiani. Lui bada solo a fare ciò che si è impegnato a realizzare nella convinzione di non compromettere la  propria “credibilità”. Che fino a quando è presidente del Consiglio -direi, per nostra fortuna- è anche la credibilità internazionale dell’Italia su ogni piano, compreso quello della nuova emergenza costituita dalla guerra in Ucraina. 

Titolo di Libero di ieri, più simile al manifesto

Ma se neppure dopo le elezioni del 25 settembre; se neppure nelle nuove Camere di 400 deputati e 200 senatori eletti, contro i 620 e i 315 uscenti, i partiti e relativi gruppi parlamentari, non per questo ridottisi anch’essi di numero, anzi aumentati ulteriormente, riuscissero a indicare al capo dello Stato e a realizzare nelle aule e commissioni di Palazzo Madama e Montecitorio una maggioranza, o solo uno straccio di essa per provare ad usarlo, chi può seriamente garantire la indisponibilità di Draghi ad una nuova esperienza a Palazzo Chigi? Magari scommettendo, come fece a suo tempo Giuseppe Conte, sulla sua stanchezza fisica. Che non aveva peraltro impedito allo stesso Conte -altra gaffe, data la evidente impraticabilità dell’ipotesi di lavoro- di tentare il trasferimento di Draghi da Francoforte a Bruxelles, dalla presidenza della Banca Centrale Europea a quella della commissione  esecutiva dell’Unione. 

I progetti di Berlusconi per Draghi dalla Verità di ieri

Stanco o non stanco che sia realmente, e non venga solo immaginato alla fine di una giornata o di un incarico, e anche a costo di incorrere nel sarcasmo del Travaglio di turno, con annessi e connessi assalti umani e politici, Draghi rimane il “nonno a disposizione” delle istituzioni per le sue competenze e la sua credibilità internazionale, e non solo dei suoi nipoti, descrittosi nella prima conferenza stampa di fine anno tenuta come presidente del Consiglio, nel 2021. Essa probabilmente gli costò davvero dopo qualche settimana il Quirinale, sbarratogli dal solito Conte anche quella volta col concorso di  un Berlusconi messosi ostinatamente e inutilmente in corsa col sostegno formale del centrodestra. Ma non è per niente detto che la storia si ripeta, sia pure sotto la storica forma di farsa, anche perché diversi sono i palazzi, diverse le circostanze, diverso il peso di Conte. Che il 25 settembre rischierà di perdere anche la presidenza di quel che sarà rimasto del movimento  lasciatogli a briglia così stretta dal solito, imprevedibile Beppe Grillo. Nel cui album delle figurine il conte rosso potrebbe finire come uno zombie di supplemento. 

Pubblicato sul Dubbio

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