Miserie e nobiltà del Pd romano fra le carezze e gli scoop velenosi del Foglio

Il sindaco di Roma Gualtieri con l’ormai ex capo di Gabinetto Ruberti

Si racconta con verosimile malizia nei corridoi della politica romana inusualmente frequentati in questo agosto di campagna elettorale  che il segretario del Pd Enrico Letta fosse tanto preso dall’inglese nel quale, intervistato da una tv americana, cercava di spiegare i pericoli di un’Italia governata da Giorgia Meloni, che avesse continuato a parlare in inglese al sindaco di Roma, l’amico e collega di partito Roberto Gualtieri, fatto chiamare per chiedergli la testa del capo di gabinetto Albino Ruberti. Immediatamente accordata, insieme al ritiro di un candidato alle elezioni politiche coinvolto in una storiaccia d’osteria e dintorni ripresa in video a giugno  nel Frusinate, o nella più nota Ciociaria. Dove il braccio destro di Gualtieri, fortunatamente disarmato ma ugualmente trattenuto da una commensale, voleva uccidere chi aveva alluso ad una sua pratica di affari o clientelismo elettorale. 

Titolo del Messaggero
Titolo del Corriere della Sera

Ridotta ad una colonna, come si dice in gergo tecnico, sulle prime pagine del milanese Corriere della Sera e del romanissimo Messaggero, la vicenda è approdata più vistosamente su altri giornali poco o meno inclini a sconti o piaceri al Pd e al suo segretario. 

Titolo di Libero

“Il caso Ruberti scuote il Pd”, ha titolato al centro pagina la Repubblica. In apertura invece Libero quasi con la pistola in mano che non aveva sul posto il povero Ruberti ha gridato: Ecco il metodo del Pd “In ginocchio o ti sparo”. Alla faccia  della “famosa superiorità morale” vantata dalla sinistra, e forse per questo stampata in rosso in mezzo a tanto nero.

Titolo del Giornale

Neppure il Giornale della famiglia Berlusconi ci è andato leggero. Oltre alla “superiorità (im)morale” stampata anch’essa in rosso per dileggio, esso ha fatto un pò di miscela con le cronache di giornata per annunciare che “a sinistra piacciono antisemiti e violenti”. 

Ma il bello, il curioso, il paradossale di questa storiaccia ve la devo ancora raccontare. Ed è semplicemente, banalmente questo: a diffondere per primo la notizia, a fare insomma lo scoop, possedendo e diffondendo il video della serata di osteria è stato Il Foglio. Sì, proprio il giornale diretto da Claudio Cerasa e fondato da Giuliano Ferrara, che personalmente non si fa scappare l’occasione di ripetere che questa volta voterà per il Pd di Enrico Letta.

Titolo del Foglio

Spiritosi come riescono spesso ad essere, pur non una certa tendenza alla spocchia, come dicono a Roma, al Foglio hanno rivendicato lo scoop con un titolo in blu che in qualche modo ha aggravato la vicenda dicendo: “In ginocchio o vi sparo” è la cosa meno grave. E sotto tre articoli, diciamo così, di approfondimento, spiegazione e quant’altro. 

Dalla prima pagina del Foglio
Dalla prima pagina del Foglio

Nel primo si racconta di “polizze, derby e preferenze” il cui conto non tornerebbe. Nel secondo si certifica in qualche modo “l’eternità di foresta del Pd romano”, dove parlano e ragionano come una ghenga irredimibile. Nel terzo, scritto personalmente da Giuliano Ferrara, c’è la solita, generosa, familiare assoluzione che rimette tutto a posto: il voto per il Pd di Enrico Letta e le vesti strappate. 

Giuliano Ferrara in persona
Dalla prima pagina del Foglio

Giuliano non me ne vorrà se riporto quasi integralmente le sue conclusioni, con un punto forse sottinteso di polemica col direttore sbarazzino dello scoop: “Sarei meno severo con tutte le trasgressioni che sono tanto più innocenti quanto più roboanti, inginocchiati, t’ammazzo, ma verrebbe preso come un comportamento cinico. Sotto elezioni, poi, l’impeccabilità è di rigore. Si sollecita grinta, ma in altro senso, per impiegarla in ben altre risse. Qualcuno dovrà pur domare l’Ama e i contatti contro l’inceneritore, e se vengono a mancare gli amministratori guappi, bè, saranno sostituiti da gente in polpe…….Per evitare di apparire corrivi, facciamo dunque i ginevrini, comportiamoci bene, anzi benissimo, e vedrete che i bus passeranno ogni tre minuti, sui marciapiedi si potrà fare il picnic, la corruttela sarà solo un ricordo, le nuove maniere l’eterno presente della città eterna”. Amen.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Mario Draghi se la ride, giustamente, sotto i baffi che non ha….

Titolo del Dubbio

Di questo Dmitrij Medvedev ancora al servizio di Vladimir Putin, che non sa più quali altri incarichi fargli ricoprire in Russia dopo averlo portato in alto come lui, non mi ha colpito tanto l’invito scontato dal suo punto di vista agli elettori “europei”, per non dire direttamente italiani, già chiamati alle urne per il 25 settembre, a battere i loro governi stupidi, idioti e quant’altro. Mi ha colpito di più l’arretratezza della società alla quale egli è abituato, e dalla quale lui stesso e i suoi amici non hanno saputo farla uscire, quando ci ha minacciati di lasciarci in inverno con “le stufe spente e i frigoriferi vuoti” a furia di negarci  i rifornimenti  energetici. 

Dmitrij Medvedev

Da tempo in Italia, caro il signor Medvedev, non ci scaldiamo più davanti alle vecchie, antiquate stufe. E i frigoriferi abbiamo imparato a spegnerli, risparmiando, se vuoti. A meno che Medvedev non volesse riferirsi alla capacità che hanno i russi, come hanno dimostrato in Ucraina bloccandone a lungo le esportazioni di grano, di affamare il prossimo. Tanto, la fame in Russia è sopravvissuta a tutti i regimi che si sono alternati, con o senza la falce, con o senza il martello., al di là naturalmente delle mura del Cremlino e delle dacie della nomenclatura di turno.

Dio mio, quanta fatica è stata sprecata nelle ore successive alla sortita di Medvedev nei palazzi della politica italiana per indignarsi delle sue parole, o fingere l’indignazione e sollecitare quella degli avversari o concorrenti, come hanno fatto, per esempio, il segretario del Pd parlando del centrodestra e il centrodestra parlando della sinistra alla quale Enrico Letta non ha saputo rinunciare, o il ministro degli Esteri Luigi Di Maio del suo ex partito. Che da qualche settimana lui chiama “il partito di Conte”: l’ex presidente del Consiglio che alla fine ha capito di non potersi sottrarre concedendo due aggettivi alla “intromissione” russa nella campagna elettorale italiana: “inopportuna” e “pericolosa”. Mamma mia, che paura debbono aver fatto non dico a Medvedevd, se mai gliene arriverà un’eco, ma ai solerti funzionari dell’ambasciata russa in Italia: magari quegli stessi che, secondo rivelazioni fatte da Di Maio, erano stati consultati nei mesi scorsi su una risoluzione  parlamentare progettata dai senatori pentastellati per marcare le distanze dal governo, quindi dallo stesso Di Maio in quanto titolare della Farnesina, sulla guerra in Ucraina e sugli aiuti militari a Kiev. Una compromissione persino peggiore di quella giustamente contestata, per carità, a Matteo Salvini per quella smania di volare a Mosca con un biglietto aereo acquistato direttamente dall’ambasciata russa, per quanto rimborsato -di nuovo, per carità- dopo la rinuncia al progetto in cosiddetta zona Cesarini.

Dalla prima pagina di Repubblica

Vogliamo dire la verità davvero in questa storia delle intromissioni, interferenze e quant’altro della Russia nella campagna elettorale italiana senza partecipare alla fiera delle ovvietà e attendersi chissà che cosa dal Copasir, il comitato parlamentare della sicurezza della Repubblica automobilitatosi con una dichiarazione del presidente di destra Adolfo Urso? Io francamente tutto questo scandalo non lo vedo nelle imprecazioni di Medvedev. E’ il minimo che ci si possa aspettare da uno come lui in questo passaggio indubbiamente difficile per tutti noi europei, e più in generale occidentali, ma ancor più drammatico -credo- per i russi a causa della imprudenza con la quale  il loro governo, o regime, ha buttato giù la maschera di una politica internazionale aggressiva. Che nella migliore delle ipotesi, per loro, li porterà  a rimorchio dei cinesi. Nei cui riguardi i sovietici erano un pò più prudenti di Putin, e Medvedev. 

La vignetta di Stefano Rolli sul Secolo XIX

Ogni parola, ogni gesto russo contro Draghi non può che giovare al presidente ancora in carica del Consiglio dei Ministri, sia pure per i cosiddetti affari correnti di un tempo di emergenze. Un presidente del Consiglio che ha voluto tenersi estraneo alla campagna elettorale sino a diffidare, praticamente, il Ministero dell’Interno dall’ammettere un simbolo depositato a sua insaputa per rappresentare gli “Italiani con Draghi”. Ma egli continua ad essere il convitato o persino protagonista di pietra di questa eccezionale campagna elettorale anche per stagione e durata. Per la sua conferma, a dispetto di tutti i sondaggi favorevoli alla prima donna nella storia d’Italia che è arrivata realisticamente ad aspirare a Palazzo Chigi, cioè Giorgia Meloni, si batte ormai sempre più a visto aperto l’unica, vera novità di questa corsa, peraltro anticipata, alle urne: il cosiddetto terzo polo, che ha già compiuto il miracolo di mettere o rimettere insieme Carlo Calenda e Matteo Renzi. 

“Il nostro obiettivo -ha appena dichiarato Calenda- è chiaro e semplice. Uno: andare avanti con l’agenda Draghi. Due: andare avanti con il metodo Draghi, quello del buon senso e del buon governo. E la capacità di dire dei sì e dei no in modo netto. E possibilmente avere Draghi come presidente del Consiglio”. A dispetto anche di Medvedev, oltre che di quanti in Italia o non gli hanno mai dato la fiducia in Parlamento o gliel’hanno ritirata. 

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑