Ma quanti Rieccoli in questa caldissima stagione elettorale…

Titolo del Foglio

Per carità, mettiamoci anche noi in fila nell’attesa dell’annuncio, salvo sorprese, dell’accordo per il terzo polo elettorale fra Carlo Calenda e Matteo Renzi, impegnati in un “negoziato poco politico e molto personale”, come ha titolato polemicamente Il Foglio. Dove sono evidentemente preoccupati dei danni che potrebbero derivarne anche al polo di Enrico Letta, preferito da Giuliano Ferrara. Il cui atteggiamento critico verso Calenda e l’ex “royal baby” del Cavaliere, battezzato laicamente dallo stesso Ferrara ai tempi del suo pur licenzioso berlusconismo, è british rispetto a quello di Marco Travaglio. Che sul Fatto Quotidiano è ricorso al solito fotomontaggio per proporre Calenda e Renzi in una riedizione della celebre coppia comica americana Stanlio e Ollio. Essa divertì in bianco e nero milioni di spettatori nel secolo scorso, sicuramente meno di quanti possano far ridere adesso i  promotori di un polo falso anche nella numerazione secondo Travaglio, essendo quarto dopo il terzo spettante per i sondaggi al pur solitario Giuseppe Conte. 

Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano

“Finora -ha raccontato il Fatto dei promotori delll’”ultima farsa” centrista- “si insultavano, ora si alleano perché Carlo non ha le firme e Matteo non ha i voti”. Il che, a dire la verità, un pò è anche vero, nonostante Calenda creda o mostri di credere di poter fare a meno delle firme bastando e avanzando il tratto personale col quale riuscì a farsi eleggere nel 2019 al Parlamento nelle liste del Pd.

Titolo del Riformista

Tuttavia, neppure nella variante un pò sfottente anch’essa del Riformista di Piero Sansonetti, che ha unito Calenda e Renzi nel none Renzenda, come la buonanima di Giampaolo Pansa a suo tempo fece con Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi chiamandoli Dalemoni; tuttavia, dicevo, mi colpisce di più nello scenario politico di queste ore la folla dei Rieccoci, chiamiamoli così. Uso il plurale dello storico Rieccolo dato da Indro Montanelli ad Amintore Fanfani per la capacità che aveva di risorgere, o rialzarsi, o tornare dopo ogni caduta o assenza, forzata o volontaria che fosse stata, nella sua Democrazia Cristiana. 

Rieccoli, in fondo, sono gli stessi Calenda e Renzi per la loro capacità di ricomparire politicamente, separati o uniti secondo le circostanze.  

Titolo di Libero
Silvio Berlusconi

Rieccolo è naturalmente, con la precedenza che gli spetta per l’anagrafe, Silvio Berlusconi. Che ha sempre qualche riserva da sciogliere e qualche altra da mantenere. Dopo averla smentita al telefono non ricordo neppure con chi, l’ex presidente del Consiglio ha appena annunciato  la sua candidatura al Senato. Ma non -o non ancora- alla sua presidenza per una più completa rivincita rispetto al voto di espulsione del 2013. Rieccolo sono riusciti a far diventare Carlo Cottarelli il segretario del Pd Enrico Letta e la +europea Emma Bonino candidandolo in diretta  al Parlamento. Dove l’economista nel 2018 avrebbe potuto affacciarsi addirittura da presidente del Consiglio se l’incarico ricevuto da Sergio Mattarella non gli fosse stato soffiato da Giuseppe Conte assistito da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. “Il perdente di successo”, lo ha definito Libero facendogli la cortesia di omettere anche l’altro soprannome che circola in giro: “Il Draghi dei poveri”. 

Intervista di Goffredo Bettini al Corriere della Sera

Rieccolo, infine, è in qualche modo anche Goffredo Bettini, l’uomo del Pd che sussurra ai cavalli anche di altre scuderie, tirato giù da qualche pisolino sul Corriere della Sera da Maria Teresa Meli. Che gli ha strappato una speranza, notoriamente l’ultima a morire. E’ quella di vedere l’”amico” Conte sopravvivere più o meno alla grande alle elezioni del 25 settembre, per quanto rifiutatosi di seguire i suoi ripetuti consigli di non fare la guerra a Draghi, sia pure non come Putin all’Ucraina. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

C’è un giudice a Verona, senza doversi spingere a Berlino….

Titolo del Dubbio
Il giudice d sorveglianza Vincenzo Semeraro

Grazie a Vincenzo Semeraro, il magistrato di 63 anni che ha commosso tutta Italia per quella lettera di confessato fallimento di fronte al suicidio della giovane detenuta Donatella Hodo affidata alla sua “sorveglianza”, possiamo risparmiarci una volta tanto il richiamo storico e letterario al giudice di Berlino su cui aveva scommesso il mugnaio prussiano del 1700 per sottrarsi alle angherie dell’imperatore. Non abbiamo dovuto andare a Berlino, ma a Verona per trovare il nostro onestissimo giudice Semeraro. Che impastando codici e sentimenti ha restituito dignità e sacralità, direi, ad una funzione da troppo tempo esposta, per colpa di una minoranza non necessariamente ma spesso politicizzata, più alla diffidenza che alla fiducia, più alla paura che al rispetto.

Il giudice Semeraro al Corriere della Sera

Il giudice Vincenzo Semeraro ha avuto il coraggio e l’umiltà al tempo stesso quasi di incolparsi, dopo il suicidio di una detenuta di  ventisette anni di cui sei trascorsi in carcere sotto la sua vigilanza per garantire, fra l’altro, il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione. Che dice: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un articolo impossibile da rispettare o applicare, per quanta fatica e umanità possa metterci un giudice di sorveglianza come Semeraro, in un sistema in cui “le strutture detentive -egli ha detto in una intervista al Corriere della Sera successiva alla missiva letta ai funerali di Donatella- non sono a misura di donna”. “Le detenute -ha spiegato- vanno approcciate in modo totalmente diverso,  hanno un’emotività che non ha nulla a che fare con quella maschile. Vanno seguite -ha spiegato- in modo specifico e del tutto peculiare. Per Donatella ciò non è avvenuto”, semplicemente e dannatamente, pur essendo il giudice riuscito a tentarne il recupero in una comunità dalla quale la giovane era scappata, e lui fosse in procinto di affidarla ai servizi pubblici per le tossicodipendenze, con tutte le loro procedure e i loro tempi.

Il giudice Semeraro su Donatella Hodo, uccisasi in carcere

Donatella -ha raccontato il giudice come se ne avesse di fronte la fotografia- aveva vicissitudini pesanti, come macigni. Per andare avanti si era costruita una corazza. Voleva sembrare forte, in realtà svelava una sensibilità estrema. Era fragile come un cristallo”. A proteggere il quale non sono riusciti né la famiglia né lo Stato, né il padre né il giudice, incontratisi in privato dopo i funerali.

“Ci siamo abbracciati, piangevamo entrambi. Tutti e due -ha raccontato il magistrato- ci sentiamo in colpa, io come giudice, lui come genitore. Ciascuno ha detto all’altro di farsi forza. E’ stato toccante. Ma il momento più lacerante è stato quando il papà di Donatella mi ha ringraziato, perché sua figlia gli parlava di me come di un secondo padre. Da brividi”.

Dal Corriere della Sera di ieri

Sì, da brividi. Che vorrei attraversassero anche la schiena di tanti politici pensando, ciascuno per sé o per il proprio partito in questa campagna elettorale piena, come al solito, di troppe promesse, di troppe dimenticanze e di troppe astuzie, a tutto quello che non si è fatto neppure nella legislatura appena sciolta per rendere davvero e finalmente umana la Giustizia, con la maiuscola. E per fare corrispondere i fatti alle parole della Costituzione, sia nelle carceri sia nei tribunali, dove il garantismo -vorrei ricordare andando anche oltre il dramma di Donatella- suona spesso come una parolaccia, o quasi. 

Pubblicato sul Dubbio

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