
Per carità, ci sarà pure un tantino di ottimismo da dovere di ospitalità nel titolo di Repubblica all’intervista al presidente dell’Ucraina Kelensky sul “fallimento” della “guerra lampo di Putin” alla sua terra. Dove i russi avevano programmato una “operazione speciale” -come la chiamano a rischio di manette per chi parla di guerra- anche per la sua breve durata. Ma oltre che sul terreno battuto dalle truppe, dalle bombe, dai missili e dai mercenari, non mi pare che arrivino direttamente da Mosca notizie molto consolanti per il capo che sembrava imbattibile almeno fra i suoi. Alcuni dei quali lo stanno invece abbandonando, e neppure silenziosamente come mosche fuori stagione al Cremlino.


Ci vuole molto poco senso dell’umorismo -come hanno invece dimostrato di averne il manifesto, col suo titolo sul “Rublicone”, o il vignettista Stefano Rolli sul Secolo XIX con “l’abitudine” che ci vorrebbe imporre Putin di adottare la sua moneta- per vendersi come una genialità, dai danni incalcolabili per l’Occidente, la decisione annunciata da Mosca di far pagare in rubli, e non in dollari o in euro, tutte le forniture russe, a cominciare naturalmente da quelle di gas.

“Putin ci frega sul rublo e aggira le sanzioni” ha titolato trionfalmente il solito Fatto Quotidiano, che non è il solo, a dire la verità, ma in una certa inquietante compagnia, ad aspettarsi dal Cremlino notizie, decisioni, iniziative che, ridicolizzando Zelensky, ne pieghino rapidamente le resistenze e riducano finalmente le perdite della sua gente, per la quale evidentemente egli ha ben poco riguardo. L’ho sentito declamare ieri sera in un salotto televisivo con aria persino insofferente da uno come Vittorio Feltri, molto apprezzato invece come “patriota”, e perciò candidato recentemente anche al Consiglio Comunale di Milano, dalla giovane leader della destra italiana Giorgia Meloni.

Potrebbe essere girato anche al mio amico Vittorio, ancora avvolto nel suo elegante gessato, il telegramma inviato ai lettori da Gianrico Carofiglio dalla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, pensando appunto alla guerra in Ucraina, con la riproduzione di una felicissima frase attribuita ad Einstein: “quelli che dicono che è impossibile non dovrebbero disturbare quelli che ce la stanno facendo”.
Quando Putin non riuscirà neppure a stampare tutti i rubli dei quali i suoi clienti avranno bisogno per pagargli anche le spese di guerra, oltre che le forniture commerciali ed energetiche, che cosa si inventeranno nel giornale di Marco Travaglio per continuare a scriverne come di un capo, ripeto, imbattibile? Che sembra ben compreso e temuto peraltro da un uomo per il quale Travaglio stravede ancora, avendolo scambiato per il migliore presidente del Consiglio capitato all’Italia dopo Cavour, cioè Giuseppe Conte.

Quest’ultimo ha trascorso ieri un’intera giornata tra Palazzo Madama e il suo ufficio privato per spingere i senatori delle sue 5 Stelle contro l’aumento delle spese militari deciso dal governo e già votato alla Camera. Sentite con quanta fatica anche letteraria, oltre che politica, il presidente del MoVimento ha esposto alla fine delle consultazioni il pensiero suo e dei suoi: “Non potremmo assecondare un voto che individuasse come prioritario l’incremento delle spese militari a carico del nostro bilancio. In questo caso il MoVimento non potrebbe fare altro che votare contro”. Sarebbe allora la crisi, o quanto meno il ritiro dei grillini dal governo e dalla maggioranza? “Ognuno farà le sue scelte”, ha risposto il redivivo ex presidente del Consiglio, visto che Travaglio ne ha già raccontato -ricordate?- “il Conticidio”.
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