Giuliano Ferrara, che forse conosce Silvio Berlusconi meglio di ogni altro della cerchia di Arcore, anche di quelli di più antica data e frequentazione dell’ultraottantenne signore della Brianza, ha tradotto sul suo Foglio in una “alleanza M5S-centrodestra con Flick garante” a Palazzo Chigi “la necessità di un governo dei vincitori” maturata all’improvviso nella testa, ma forse anche nelle viscere, dell’ex presidente del Consiglio. E riportata dagli altri giornali ricorrendo alla formula del “sì di Berlusconi al governo con le 5 stelle”, come ha fatto Repubblica in un vistoso titolo di prima pagina. Ma La Stampa si è avventurata un po’ sulla strada del Foglio sparando l’annuncio, sempre in prima pagina, che “Di Maio e Salvini cercano un premier” di compromesso fra le loro ambizioni dirette e personali, per quanto confortate elettoralmente dal primo posto guadagnatosi dai grillini nella graduatoria dei partiti e dal sorpasso della Lega su Forza Italia.
La vittima, diciamo così, di questa improvvisa giravolta di Berlusconi, vedremo se reale o finta, se convinta, rassegnata di fronte alla estrema mobilità del suo alleato leghista o adombrata solo per vederne gli effetti mediatici e d’altro tipo, sarebbe il Pd. Che è penosamente diviso fra l’orgogliosa opposizione sostenuta dall’ormai ex segretario Matteo Renzi, ora semplice “senatore di Firenze”, come lui stesso chiede di essere considerato, e la smania di altri, forse più numerosi, di infilarsi in una nuova maggioranza. Essi contano magari su un appello al solito senso di responsabilità rivolto, ad un certo punto del lungo percorso della crisi, dall’ex collega di partito e ora presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ben altra, si sa, era prima delle elezioni la speranza di Berlusconi, al netto della certezza ostentata di vincerle alla grande, evitando il sorpasso leghista e conquistando la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, salvo qualcuno da assicurarsi tra l’insediamento delle nuove Camere e la formazione del governo. L’ex presidente del Consiglio contava, in particolare, sulla ripresa dei rapporti, se mai si fossero davvero interrotti, con Renzi: il famoso “royal baby” berlusconiano coniato in tipografia dal fondatore del Foglio, forse sorpreso e contrariato ancor più di Berlusconi del destino cinico e baro -come usava dire ai suoi tempi Giuseppe Saragat commentando le proprie delusioni elettorali- riservato dalle urne al protagonista indiscusso della scorsa legislatura.
Anche in politica tuttavia bisogna stare attenti a non fare i conti senza l’oste. Le reazioni da osservare con più attenzione allo scenario attribuito, a torto o a ragione, a Berlusconi sono quelle dei pentastellati, abituati dal loro “garante” ed “elevato” Beppe Grillo per lungo tempo a liquidare Berlusconi per “lo psiconano”. Sul quale una senatrice del movimento meno di cinque anni fa voleva vomitare addosso nell’aula di Palazzo Madama mentre a scrutinio palese, fortemente voluto dal presidente dell’assemblea Pietro Grasso, stava per essere decisa la decadenza dell’allora Cavaliere dal Senato. Egli era stato da poco condannato in via definitiva per frode fiscale cadendo, fra l’altro, con effetto retroattivo anche nei rigori della controversa legge Severino.
Il popolo grillino, non potendogli prevedibilmente bastare la “garanzia” di un presidente del Consiglio come Giovanni Flick, evocato da Giuliano Ferrara per il credito che l’ex guardasigilli di Romano Prodi e presidente emerito della Corte Costituzionale si è guadagnato, fra l’altro, presso la sindaca a 5 stelle di Roma ricevendone proposte di consulenza e altro, sarebbe probabilmente chiamato a pronunciarsi a tempo debito col solito clic. Che non sorprenderebbe di certo Berlusconi, cui potrebbe fare persino comodo un no da usare poi con Salvini per diffidarlo da tentazioni di accordi a due con Di Maio.
Davide Casaleggio -la sesta stella, praticamente, del movimento grillino- ha appena vantato su un giornale americano i pregi di quella che lui chiama “democrazia digitale”. E tale potrà essere -digitale- la terza Repubblica “dei cittadini” annunciata o promessa da Luigi Di Maio agli elettori che lo avevano appena votato il 4 marzo.