Mentre il Papa lavava umilmente i piedi ai detenuti onorando i riti quaresimali, il ministro uscente dei beni culturali Dario Franceschini cercava di togliere dai piedi del suo partito, il Pd, le scarpe e le calze del pur ex segretario Matteo Renzi. E ciò per farlo camminare a piedi scalzi sulla strada del soccorso al progetto del governo grillino impantanatosi nella palude del centrodestra. Dove il leghista Matteo Salvini resiste oltre le previsioni dell’aspirante premier delle 5 stelle, Luigi Di Maio, ai veti personali e politici contro il coinvolgimento dell’odiatissimo Silvio Berlusconi. Che è un alleato ancora utile al Carroccio.
Franceschini, già insofferente verso Renzi quando ne era ancora segretario, pur avendolo aiutato cinque anni fa nella scalata al vertice del partito, ha colto l’occasione offertagli da un’assemblea dei deputati piddini per reclamare una verifica, diciamo così, della linea del partito prima dell’incontro di Mattarella con i suoi rappresentanti nelle consultazioni della settimana prossima al Quirinale. E’ una verifica che, non bastando evidentemente le decisioni già assunte dalla direzione, dove la scelta renziana di opposizione sia a grillini sia ai leghisti dispone di una larga maggioranza, Franceschini immagina più facile in un’assemblea congiunta dei deputati e senatori del Pd. Alla quale, almeno sino ad ora, non sembra però disponibile il segretario temporaneo Maurizio Martina, convinto come il coordinatore Lorenzo Guerini che un riesame della situazione politica potrà essere programmato solo dopo, e non prima delle consultazioni del capo dello Stato.
Con la solita, felice immaginazione che lo distingue dalla ormai lontana fondazione il Manifesto, quotidiano ancora orgogliosamente comunista, ha tradotto col titolo-copertina della sua prima pagina nell’Uomo di Pasqua l’uovo che Franceschini, spalleggiato pubblicamente dal collega di governo Andrea Orlando, ha cercato di rifilare a Renzi e, più in generale, al Pd con la sua sorpresa politicamente perfida incorporata.
Più sbrigativamente ed esplicitamente, e più interessato alla questione per il ruolo un po’ di garante e di sorvegliante del movimento delle 5 stelle che condivide con Beppe Grillo sul terreno mediatico, il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio ha trionfalmente annunciato in apertura del giornale una clamorosa “Rivolta anti-Renzi” esplosa nel Pd. Dove gli ha fatto un po’ da spalla sulla prima pagina di Repubblica il politologo Piero Ignazi denunciando “la bufala delle dimissioni” di Renzi, che continua a dettarne o condizionarne la linea di opposizione, responsabile a parole ma pregiudiziale nella sostanza, a qualsiasi combinazione di governo comprensiva di grillini o leghisti, peggio ancora se insieme.
E’ da settimane che Travaglio diffida Di Maio dal perseguire intese di governo col centrodestra, o solo con la Lega, preannunciandogli sciagure elettorali, e lo esorta a cercare invece accordi col più debole e forse anche omogeneo Pd. Cui tuttavia Di Maio ha continuato a riservare schiaffi più che altro, avendolo appena escluso anche a Montecitorio, oltre che al Senato, dagli uffici dei questori. Che hanno particolare rilevanza nella gestione delle Camere.
Liturgicamente di passione per i credenti, questa settimana lo è per il Pd sul piano politico, in una Quaresima cominciata con i risultati elettorali del 4 marzo, che lo hanno “respinto all’opposizione”, secondo le parole pronunciate all’esordio della nuova legislatura nel discorso pronunciato nell’aula di Palazzo Madama dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano in veste di senatore anziano, e perciò di presidente temporaneo dell’assemblea, prima che le subentrasse Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che intanto ha colto l’occasione offertale da un’intervista del Corriere della Sera per lamentare la pratica dei veti in politica, con chiara allusione a quello posto dai grillini contro il suo partito e il suo leader, Berlusconi.
Non è per niente detto che la settimana di Passione sia destinata a finire per il Pd con la Resurrezione in arrivo nelle chiese, e negli animi dei fedeli. E non sia invece condannato dalle circostanze, il Pd, a soffrire le pene dell’inferno dell’opposizione, pur “rigeneratrice” nella convinzione dei renziani. Un inferno curiosamente soppresso sul piano anche religioso da Eugenio Scalfari nel riferire il pensiero appena raccolto in una udienza privata dal Papa, che però si è sentito frainteso e lo ha fatto smentire.