Umberto Bossi, non potendo certamente contestare il successo elettorale della Lega in edizione assai diversa dalla sua, ha potuto togliersi solo una soddisfazione, in polemica con chi ha dovuto raccogliere il partito nello stato penoso in cui lui praticamente gliel’aveva lasciato, e ha saputo portarlo così avanti da sorpassare all’interno della coalizione di centrodestra Forza Italia. Egli ha mandato a dire a Matteo Salvini con un po’ di intervistine in carta vetrata che le sorti delle sue ambizioni presidenziali, mirate verso Palazzo Chigi, rimangono pur sempre nelle mani di Silvio Berlusconi. Di cui Bossi è notoriamente più amico ed estimatore del segretario leghista.
Il monito del vecchio fondatore della Lega, diventata nel frattempo qualcosa di molto diverso, e non solo per quel “Nord” tolto dal nome del movimento, è arrivato a Salvini con la notizia, diffusa un po’ da tutti i giornali, di una missione affidata da Berlusconi al solito Gianni Letta di sondare come un anfibio, sopra e sott’acqua, se e quante possibilità esistano davvero nel malmesso Pd di aiutare la nascita di un governo di centrodestra, al di là dei rifiuti di facciata già arrivati. E che si possono considerare obbligati, almeno in questa fase, per il dovere degli interessati di non indebolire tatticamente il no annunciato anche ai grillini.
La notizia della missione di Berlusconi a Gianni Letta non può essere piaciuta a Salvini per motivi di forma e di sostanza. Per moti di forma, o di buona educazione, perché l’annuncio è arrivato dopo che lo stesso Salvini, ora impegnato a presentarsi come “leader del centrodestra”, e non solo della Lega, si era assunto il compito di contattare il Pd. Una leadership o si accetta, e si rispetta, o no.
I motivi di sostanza per i quali Salvini non può avere accettato di buon grado la notizia della missione di Gianni Letta stanno nel timore comprensibilmente avvertito che Berlusconi non aspetti altro che di poter dire che un’intesa col Pd potrebbe essere trovata solo se il segretario leghista rinunciasse a Palazzo Chigi. E ciò a favore di un altro esponente di centrodestra, persino del suo stesso partito. Che per Salvini sarebbe una soluzione ancora peggiore.
Si profilano pertanto altri temporali, dopo quelli alternatisi durante la campagna elettorale, nella coalizione che pure è uscita dalle urne formalmente vincente, avendo largamente sorpassato l’altra, di centrosinistra, raccoltasi attorno al Pd di Matteo Renzi. Tanto vincente che, essendo meno distante dei grillini, che pure da soli hanno preso più voti, dalla maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, ha rivendicato all’unisono, senza distinzione tra forzisti e leghisti, il diritto di ottenere dal capo dello Stato il primo incarico per tentare nella nuova legislatura la formazione del governo.
Il fatto è che Berlusconi notoriamente non ha ancora digerito il sorpasso elettorale della Lega su Forza Italia, e tutto ciò che ne consegue: compresa la speranza appena espressa da Salvini ai parlamentari leghisti eletti di vederne presto crescere i gruppi parlamentari, naturalmente per arrivi dall’esterno. Un esterno -scusate il bisticcio delle parole- anche interno alla coalizione di centrodestra: un incubo per l’ex presidente del Consiglio e il suo missionario anfibio.