Quel “Salvini a un passo dal vendersi a Grillo” gridato su tutta la prima pagina del Giornale di famiglia rappresenta come meglio non potrebbe lo stato d’animo col quale Silvio Berlusconi segue lo sviluppo dei rapporti fra il suo principale alleato elettorale, che lo ha sorpassato nel voto del 4 marzo, e il candidato di facciata del movimento delle 5 Stelle a Palazzo Chigi. Che potrebbe pure fare un passo indietro o di lato e concordare con Salvini un terzo uomo alla guida del nuovo governo, a condizione che il partito di Berlusconi non ne faccia parte, se non di soppiatto, con qualche tecnico d’area o cosette simili. A condizione, cioè, di un parricidio politico da parte del leader leghista.
Eppure Berlusconi, dopo averci peraltro riflettuto sopra per qualche ora, ha accettato la proposta prima di Giorgia Meloni e poi dello stesso Salvini di salire insieme al Quirinale nel secondo giro di consultazioni per la soluzione della crisi. Immagino la curiosità e persino l’imbarazzo del presidente della Repubblica, col rischio di dovere svolgere una paradossale opera di mediazione fra i tre maggiori esponenti del centrodestra perché al termine dell’udienza con lui non litighino fra di loro anche davanti ai microfoni e alle telecamere della Vetrata.
A far salire la temperatura nel centrodestra, pur uscito dalle urne col maggior numero dei voti, superiore quindi anche a quelli raccolti e vantati dal solitario movimento dei grillini, è stato un dettaglio -in apparenza- delle intese che hanno costantemente segnato dall’insediamento delle nuove Camere i rapporti fra Di Maio e Salvini, o viceversa, per la spartizione delle cariche parlamentari.
Il dettaglio -sempre in apparenza- consiste nella scelta del leghista Nicola Molteni a presidente della commissione speciale della Camera che sostituirà per pareri e quant’altro le commissioni permanenti, da definire dopo gli eventuali accordi di governo, quando cioè si conosceranno componenti e confini della maggioranza e dell’opposizione, o delle opposizioni. Al vertice dell’analoga commissione provvisoria del Senato è stato insediato un grillino.
I forzisti, curiosamente, non hanno gradito a Montecitorio la scelta di Molteni non perché avessero un loro candidato, discriminato quindi da Di Maio e Salvini nell’ottica dell’ostracismo al partito di Berlusconi, che comunque ha portato a casa la presidenza del Senato e un bel po’ di vice presidenti, questori e segretari dei due rami del Parlamento. No. La sorpresa che ha insospettito, irritato e altro ancora i forzisti, sino a fare sparare quel titolo sulla prima pagina del Giornale, è stata una sostituzione di candidato alla presidenza della commissione speciale della Camera all’interno della Lega. E’ una sostituzione che avrebbe dovuto e dovrebbe essere faccenda appunto della Lega soltanto, ma che evidentemente tale non è per le solite doppie e triple partite che si giocano dietro le quinte.
Al posto di Molteni i forzisti si aspettavano, in particolare, che fosse scelto il suo collega di partito Giancarlo Giorgetti, peraltro già pieno di incarichi e di missioni in questo avvio di legislatura, cugino del banchiere Massimo Ponzellini e soprattutto uomo di grandissima fiducia di Salvini. Ma che gliene importa di Giorgetti ai forzisti? Pare che gliene importi molto perché essi avrebbero preferito vederlo impegnato con la commissione speciale piuttosto che libero, come si sospetta ora da quelle parti, di giocare altre partite alle quali vorrebbe destinarlo Salvini: compresa la candidatura alla guida di un governo in cui la rinuncia dei grillini a Palazzo Chigi potrebbe essere compensata con qualcosa che soddisfi il loro antiberlusconismo.
Non a caso, d’altronde, Giorgetti è l’esponente leghista che ha già fatto saltare i nervi ai forzisti due volte dall’inizio di questa diciottesima legislatura. Una volta quando ha liquidato come un cinema o un film finito quello di un centrodestra proiettato, come avrebbe voluto e tuttora vorrebbe Berlusconi, più verso il Pd che verso il movimento di Grillo. L’altra volta quando ha detto, sempre Giorgetti, che sarebbe bello se Berlusconi spiazzasse l’ostilità dei grillini assecondandoli nel proposito di una più stringente legge contro i conflitti d’interesse: materia alla quale il Cavaliere è naturalmente e notoriamente suscettibilissimo.
Comunque, al netto di questi e di tanti altri ben più consistenti problemi, come il teatro di guerra che in questa crisi di governo lambisce l’Italia, a dir poco, per la vicenda siriana, Mattarella merita tutti gli auguri e la comprensione per la fatica del secondo giro delle consultazioni. Buon lavoro, presidente.