Ve lo ricordate Pier Luigi Bersani, tra i pochi sopravvissuti politicamente alla scissione del Pd e alla debolezza di seguire in quell’avventura Massimo D’Alema? Neppure Maurizio Crozza gli dedica più attenzione nei suoi spettacoli, ai quali il primo a ridere era proprio l’allora segretario e poi ex del Pd, tanto si riconosceva nelle imitazioni che ne faceva il comico conterraneo di Beppe Grillo.
Ebbene, l’uomo di Bettola, dove il sessantaseienne Bersani nacque in un giorno- 29 settembre- che lo condanna a festeggiare il compleanno in contemporanea con l’ottantunenne Silvio Berlusconi, non proprio in cima alle sue preferenze politiche, si sta prendendo in questi giorni le sue belle rivincite. E’ troppo tardi purtroppo perché lui possa investirle in qualche altra avventura, ma deve pur essere una soddisfazione vedersi copiare lo spartito politico che lo umiliò, letteralmente, non più tardi di cinque anni fa, al decollo della diciassettesima legislatura.
Allora Bersani, uscito dalle urne col suo Pd e l’alleato Niki Vendola con una maggioranza solo alla Camera ma non al Senato, tra un boccale di birra e l’altro nei locali che frequentava nei dintorni di Montecitorio col pre-incarico in tasca appena ricevuto dall’ex compagno di partito Giorgio Napolitano, si inventò “il governo di minoranza e di combattimento”. Egli scommise sulla voglia o sull’interesse dei grillini di farglielo quanto meno nascere, questo curioso governo uscendo dall’aula al Senato. Dove l’astensione sulla fiducia valeva ancora come voto contrario, per cui bisognava disertare la votazione per aiutare il presidente del Consiglio.
I grillini presero Bersani impietosamente a pernacchie. Ma poiché l’uomo di Bettola non rinunciava all’idea di scommettere o persino di sfidare i parlamentari pentastellati, il buon Napolitano, nel frattempo rieletto presidente della Repubblica per incidenti, diciamo così, occorsi ad entrambi i candidati alla successione messi in pista dal Pd, chiamò al Quirinale l’ostinatissimo Bersani per ritirargli il pre-incarico. E indirizzare la crisi verso una soluzione diciamo così tradizionale, cioè verso un governo provvisto di una maggioranza ben definita e concordata, che risparmiasse peraltro al capo dello Stato l’ingrato compito di sciogliere le Camere elette da poco più di due mesi e rimandare gli elettori alle urne.
A Napolitano, che aveva già dovuto sciogliere le Camere anticipatamente nel 2008, non piaceva quello che il simpaticissimo Giovanni Sartori chiamava “rivotismo”, inteso come mania di ricorrere al voto ad ogni intoppo politico o parlamentare.
A distanza di cinque anni da quei fatti, gli stessi grillini che avevano spernacchiato Bersani ne hanno preso il posto chiedendo al Pd di aiutarli a fare il governo, con l’obiettivo di realizzare qualche legge condivisa, visto che il loro interlocutore privilegiato Matteo Salvini non vuole saperne di accordarsi con loro scaricando l’alleato di centrodestra Silvio Berlusconi. Con il quale -ha detto l’aspirante pentastellato a Palazzo Chigi, Luigi Di Maio- non ci sarebbe speranza di cambiamento in questo disgraziato Paese. Dove peraltro il pubblico ministero Nino Di Matteo è appena corso ad un convegno grillino a Ivrea per riproporre, fra gli applausi della platea, l’associazione fra Berlusconi, smanioso nel 1993 di entrare in politica e di vincere le elezioni del 1994, e una mafia disposta ad aiutarlo, secondo il pentito di turno, con qualcosa di più rumoroso e rovinoso dei fuochi di artificio: le stragi.
Ma la rivincita di Bersani non si esaurisce nello spettacolo di Di Maio che, sotterrata l’ascia di guerra, chiede al Pd, senza distinzione tra renziani e antirenziani, di fargli fare il governo. Anche Berlusconi si è messo a copiare l’ex segretario del Pd perseguendo un governo di minoranza di centrodestra che si presenti al Parlamento per chiedere l’appoggio a quei parlamentari, più che partiti, disposti -ha spiegato in televisione la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni- ad aiutarlo.
Ma questo gioco alla Bersani non piace per niente a Matteo Salvini, che pure è stato incoronato dagli elettori del centrodestra candidato a Palazzo Chigi. Egli ha confermato in un comizio la convinzione che un governo si possa fare solo d’intesa con i grillini, da negoziare ben bene, per quanto Berlusconi ricambi la loro ostilità giudicandoli invidiosi, rancorosi, pauperisti e quant’altro.
A rivolgersi o e a sperare nel Pd, Savini non ci pensa proprio, diversamente da Berlusconi. Il leader leghista considera i piddini alla stregua di funghi avvelenati, che lui non ha nessuna voglia di cercare nelle aule parlamentari come nei boschi.
Eppure Salvini ha detto e spiegato queste cose dopo avere preso il caffè e non so che altro ad Arcore in un vertice del centrodestra a conclusione dichiaratamente unitaria, con tanto di documento diffuso alle agenzie, come anticipo della partecipazione sempre unitaria del centrodestra al prossimo giro delle consultazioni al Quirinale. Dove credo che a Mattarella leggendo i giornali siano venuti oggi i sudori freddi.