Salvini difende Berlusconi da Di Maio ma cerca di silenziarlo

            Non passa giorno senza che Matteo Salvini respinga a parole il veto posto dal grillino Luigi Di Maio a Silvio Berlusconi come partecipe di una nuova maggioranza di governo. Che -ha spiegato l’esponente grillino al suo interlocutore leghista- ridurrebbe a una sola cifra, più vicina al 3 che al 9, la consistenza elettorale del movimento 5 stelle, salito invece il 4 marzo scorso al 32 per cento dei voti: una vetta che ha procurato le vertigini al movimento pur pentastellato.

            Ma al tempo stesso non passa giorno senza che Salvini, pagato il suo tributo di lealtà all’ingombrante alleato forzista, non cerchi di silenziare il Cavaliere. Al cui incontro conviviale di oggi si è preparato con una intervista al Corriere della Sera in cui si è praticamente prenotato come il portavoce del centrodestra prima, durante e dopo il secondo giro di consultazioni al Quirinale. Dove, su proposta prima di Giorgia Meloni e poi dello stesso Salvini, accettata da Berlusconi dopo qualche ora di riflessione, i tre partiti dell’alleanza elettorale del 4 marzo si presenteranno insieme, con una sola delegazione, diversamente dal primo giro.

            “Se il centrodestra deve parlare con una sola voce -ha detto Salvini al Corriere- questa voce deve essere chiara”. E non potrebbe che essere la sua, cioè quella del segretario leghista promosso dagli elettori al soglio potenziale di Palazzo Chigi col sorpasso eseguito sul partito di Berlusconi.

            Il Cavaliere quindi dovrebbe accontentarsi di stare accanto a Salvini davanti ai microfoni della Vetrata del Quirinale dove sfilano le delegazioni dei partiti dopo essere state ricevute dal capo dello Stato. O, se accontentato per ragioni quanto meno di età a parlare per conto della coalizione, dovrà farlo leggendo da quel foglio che porta sempre con sé diligentemente in queste occasioni una dichiarazione concordata parola per parola, virgola per virgola, punto per punto col suo alleato ora più forte. Il quale ha colto l’occasione offertagli dall’intervista al Corriere anche per ripetere all’amico di togliersi dalla testa l’idea, se non gli è ancora passata spontaneamente, di inseguire un governo di centrodestra sostenuto in qualche modo dal Pd.

            Col Pd Salvini lascia volentieri, per quanto si capisce dalle sue parole e dal suo atteggiamento, che parli o tenti di parlare il grillino Di Maio, un po’ pensando che lo sprovveduto non ricaverà un ragno dal buco, anche per la confusione che regna da quelle parti, e un po’ convinto che un governo di minoranza dei grillini sostenuto dal Pd, e magari anche dai pochi liberi e uguali di Pietro Grasso sopravvissuti alle elezioni, sia destinato a durare solo il poco tempo necessario alle elezioni anticipate. Dopo le quali a Di Maio e a Beppe Grillo non resterebbe che contare i voti perduti, non certamente guadagnati. E a lui, Salvini, non resterebbe invece che contare i voti sottratti proprio ai grillini. Che lo aiuterebbero peraltro ad aumentare nel centrodestra il vantaggio su Berlusconi, non a caso contrario allo scioglimento anticipato delle Camere. Per evitare il quale il segretario leghista pensa forse che alla fine  l’uomo di Arcore sia disposto ad accettare una partecipazione defilata ad una maggioranza con Di Maio. Dove magari, una volta recuperata la piena agibilità politica ora compromessa dalle sue vicende giudiziarie, il Cavaliere potrà giocare meglio la sua partita, avendo avuto l’accortezza, l’astuzia, la disinvoltura -chiamatela come volete- di rimanere in gioco.

            Diverso naturalmente è lo scenario della crisi auspicato, o sognato, a sinistra da Eugenio Scalfari nel suo appuntamento domenicale con i lettori di Repubblica. Ai quali ha espresso l’opinione “personale” -ha precisato, se mai qualcuno in redazione volesse dissentire- che Di Maio abbia fatto bene a sotterrare l’ascia di guerra col Pd proponendo intese di governo anche agli odiati renziani. Ma ancor meglio farebbe il giovane grillino, nel quale Scalfari intravede qualche somiglianza addirittura ad Enrico Berlinguer, sostenitore ben prima di lui della cosiddetta questione morale, a riconoscere gli inevitabili limiti della propria età e a farsi un po’ di esperienza come vice presidente del Consiglio di un Paolo Gentiloni incaricato da Sergio Mattarella di rimanere a Palazzo Chigi con un governo a partecipazione stellare.

            Beh, direi che Scalfari si è fatto prendere un po’ troppo la mano dalla fantasia. Che gli consente, a 94 anni compiuti il 6 aprile, di rimanere giovane. Auguri, don Eugenio.

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