Ci sono due titoli di giornale, entrambi di prima pagina, che danno bene l’idea della ciccia, diciamo così, della crisi di governo dividendo l’attenzione fra gli sviluppi del dibattito politico nel quale sono impegnati i partiti con i loro leader, veri o presunti che siano, e le consultazioni del presidente della Repubblica al Quirinale.
Il primo titolo è quello del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, che non si dà pace dello stato di sequestro in cui si troverebbe il reggente del Pd, Maurizio Martina, sotto il ferreo controllo delle guardie dell’ex segretario Matteo Renzi. Il quale ha inchiodato il partito, col peso che continua ad avere nell’assemblea nazionale, nella direzione e nei gruppi parlamentari, all’opposizione al progetto di governo del movimento delle 5 stelle, per cui -protesta il giornale vigilante sui grillini- “spinge Di Maio nelle braccia di Salvini”.
Ma il peggio è nella parte finale del titolo, dove si afferma in modo categorico e indignato che il leader leghista, per quanto premiato dagli elettori col sorpasso su Forza Italia all’interno della coalizione di centrodestra, “resta incollato a B”. Cioè a Berlusconi, contro il quale invece Di Maio pratica e reclama un ostracismo politico e morale, per quanto al Quirinale gli abbiano dato ancora dell’onorevole nel calendario delle consultazioni, alle quali l’ex presidente del Consiglio è stato convocato con le due donne promosse capigruppo parlamentari.
Che Berlusconi sia l’ossessione del Fatto Quotidiano è noto. Che i grillini condividano questa ossessione è altrettanto noto. Che però siano disposti a sacrificare a questo incubo anche l’occasione, che potrebbe essere l’unica, offerta loro dagli elettori di essere protagonisti di governo, e non solo di opposizione, un po’ sorprende chi è abituato a considerare il realismo necessario alla politica non meno del consenso, e dei voti.
I due vincitori delle elezioni, entrambi condannati per questo a governare secondo lo schema applicato da Aldo Moro ai risultati elettorali del pur lontano 1976, sono il movimento delle 5 stelle e la coalizione del centro destra. Rompendo la quale, come pretendono Di Maio e Travaglio, il segretario leghista finirebbe di essere uno dei due vincitori e diventerebbe, col suo 18 per cento dei voti, un po’ più della metà del suo eventuale alleato leghista al governo. Ne diventerebbe cioè una specie di attendente. Non ci vuole molto, francamente, a capirlo.
L’altro titolo spia di questa crisi di governo nelle mani del capo dello Stato è quello del Corriere della Sera in cui si riferiscono sommariamente notizie, indiscrezioni e quant’altro del navigatissimo quirinalista Marzio Breda sugli elementi di conoscenza e di giudizio che Sergio Mattarella intende raccogliere fra il primo, il secondo e forse anche un terzo giro di consultazioni per regolarsi su chi chiamare a formare un governo con qualche possibilità concreta di disporre di una maggioranza parlamentare insieme sufficiente e realistica.
Questa maggioranza dovrà risultare sufficiente sul piano dei numeri, mancando i quali diventerebbero inevitabili le elezioni anticipate, e realistica sul piano dei conti economici e -si legge nel titolo del Corriere della Sera- della “fedeltà ai vincoli europei”. Che purtroppo non sembra proprio siano in cima ai pensieri né dei grillini né dei leghisti, specie se scollati questi ultimi, come vorrebbe Travaglio, da B, con o senza il punto abbreviativo.