Chi ha ragione, dei due più diffusi giornali italiani, sul conto di Silvio Berlusconi e dei suoi rapporti, sentimenti, umori e quant’altro con l’alleato Matteo Salvini? Il Corriere della Sera quando in un titolo di prima pagina, e riferendo di un’intervista appena raccolta, gli fa dire che di Salvini si fida? O la Repubblica, che sempre in prima pagina, e riferendo ugualmente di Berlusconi, gli fa dire il contrario, che cioè di Salvini non si fida, finendo così per giustificare, se non addirittura condividere, la speranza che in un accordo col segretario leghista continua a nutrire l’aspirante grillino a Palazzo Chigi, Luigi Di Maio? Che è convinto di poter fare in un governo con i leghisti “grandi cose”.
Vai a capirlo chi ha ragione dei due maggiori giornali italiani quando scopri che potrebbero averla entrambi, avendo raccolto parole autentiche del Cavaliere. Di cui pertanto sei costretto a pensare che non sappia neppure lui cosa pensare esattamente del suo alleato. E te lo immagini alla fine alle prese con la solita margheritina per contare i petali del sì e del no. Magari, come sta facendo pure il presidente della Repubblica al Quirinale approfondendo “gli spunti di riflessione” riferitigli o raccolti o suggeritigli, non si è ben capito, dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati al termine della rapida esplorazione affidatale. Un’espoloraxione per “verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare -precisò bene il capo dello Stato- fra i partiti della coalizione di centrodestra e il movimento delle 5 stelle”.
La permanente fiducia di Berlusconi in Salvini è esplicita nella risposta fornita ad una domanda specifica di Marco Galluzzo, del Corriere, rivoltagli al suo ritorno ad Arcore dalle fatiche elettorali in Molise, dove si era consumato a distanza uno scontro fra lo stesso Cavaliere, che aveva liquidato i grillini come adatti solo a pulire “i cessi” di Mediaset, e il segretario leghista. Il quale si era lamentato dei troppi chiodi disseminati sulla strada di un’intesa di governo con l’unico partito da lui ritenuto compatibile col centrodestra a trazione leghista.
“Credo si riferisse ad altri, non a noi”, ha detto Berlusconi delle proteste di Salvini, forse pensando ai veti appena riproposti contro di lui e la sua Forza Italia da Luigi Di Maio sbandierando anche la sentenza appena emessa in primo grado dalla Corte d’Assise di Palermo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. Che, iniziata con i governi di Giuliano Amato e di Carlo Azeglio Ciampi, fra il 1992 e il 1993, sarebbe proseguita anche col primo governo Berlusconi, o addirittura in funzione del suo avvento sulle ceneri della cosiddetta prima Repubblica.
Se fosse vera, autentica la fiducia rinnovata a Salvini da Berlusconi nell’intervista al Corriere della Sera ci sarebbe da chiedersi che cosa fosse intervenuto nelle ore trascorse dalla serata galeotta di venerdì a Campobasso. Dove lo stesso Cavaliere cenando in un albergo con una ventina di persone, dopo avere appena chiuso la campagna elettorale di Forza Italia per le regionali molisane, aveva detto. “Di Salvini non mi sono mai fidato sino in fondo”. Parole che più commensali hanno riferito e che sono state raccolte su Repubblica da Tommaso Ciriàco.
Su Repubblica troviamo curiosamente, nel consueto appuntamento domenicale con i suoi lettori, un’ulteriore sviluppo delle riflessioni, previsioni, auspici e quant’altro del fondatore Eugenio Scalfari sulla crisi di governo.
Dopo avere immaginato o desiderato Di Maio a Palazzo Chigi con Paolo Gentiloni almeno ministro degli Esteri, se non anche vice presidente del Consiglio, Scalfari ha rivisto la conferma di Gentiloni alla guida del governo con Di Maio vice, giusto per farsi le ossa e succedergli, per esperienza e competenza, dopo un anno, non ho ben capito se con o senza un altro passaggio elettorale. “Questa, penso, è la soluzione che Mattarella sta meditando”, ha scritto Scalfari.
Per fortuna, o sfortuna, come preferite, lo stesso Scalfari ha onestamente avvertito, in un altro passaggio dell’articolo, che i suoi ultimi contatti “diretti” col presidente della Repubblica risalgono ad “alcuni mesi fa, in una fase meno agitata di quella attuale”.
Sergio Mattarella, evidentemente, nei rapporti con Scalfari è più cauto di Papa Francesco, e dei collaboratori in Vaticano che sono poi costretti a correggere, precisare e quant’altro le ricostruzioni delle auguste udienze personali che il fondatore di Repubblica usa fare a vantaggio dei lettori, ed anche della testata sofferente, come quasi tutte le altre del resto, nelle edicole.