Quel sollievo neppure tanto nascosto per lo scioglimento anticipato delle Camere

Se non le avete già viste in televisione, vi prego di guardare bene, sui giornali che le hanno pubblicate, o navigando un pò in internet, le immagini dell’udienza di Sergio Mattarella a Mario Draghi per le ridimissioni del governo, propedeutiche allo scioglimento anticipato delle Camere elette nel 2018. E consumatesi attorno alla infausta “centralità” dei grillini. 

Titolo di Avvenire
Le dimissioni di Draghi al Quirinale

Il capo dello Stato e il presidente del Consiglio, andato da lui dopo la miserevole fiducina del Senato e gli onori militari resigli nel cortile del Quirinale, vi sembrano turbati, avviliti, nervosi e quant’altro? A me appaiono sollevati, se non addirittura felici. Nè l’uno né l’altro ce la facevano più a sopportare lo spettacolo di partiti -“rinviati a settembre”, ha giustamente titolato Avvenire pensando alle urne del 25- che stavano con un piede nella maggioranza di unità nazionale, promossa dal capo dello Stato un anno e mezzo fa, e l’altro fuori. 

Via, quanto poteva durare ancora quello spettacolo, diventato frenetico dopo la corposa scissione del MoVimento 5 Stelle consumata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio? Dietro alla quale Giuseppe Conte aveva visto e persino indicato la mano di Draghi intossicando ulteriormente i rapporti nella maggioranza e, più in generale, il dibattito politico. E’ stata persino igienica la decisione, a quel punto, di accorciare a due mesi una campagna elettorale che rischiava di durarne sei o addirittura nove, visto che qualche settimana fa si parlava di elezioni a maggio, stiracchiando il più possibile la durata di una legislatura già guadagnatasi non a torto la qualifica della “più pazza del mondo”.

Intervista di Berlusconi al Corriere della Sera

Sotto questo aspetto Silvio Berlusconi non ha torto a sostenere nelle numerose interviste rilasciate nelle ultime ore che Draghi fosse “stanco” -come aveva già detto di lui due anni fa Giuseppe Conte a Palazzo Chigi per esorcizzarne l’arrivo al suo posto- e non vedesse l’ora di staccare la spina alla legislatura. Dove Berlusconi ha torto -e torto marcio, come un dilettante della politica, e non ormai un professionista quale dovrebbe sentirsi dopo una trentina d’anni di mestiere- è nel diniego di avere contribuito alla stanchezza di Draghi e all’incidente che ha provocato la crisi. Egli avrebbe più prudentemente dovuto lasciarne la responsabilità tutta a Conte e ai grillini, che se l’erano assunta alla luce del sole. E’ ciò che gli stanno rimproverando in fondo quelli usciti o in via di uscita da Forza Italia: Andrea Cangini, Renato Brunetta, Mariastella Gelmini, in ordine rigorosamente alfabetico sino al momento in cui scrivo, appeso all’indecisione di Mara Carfagna. 

Mariastella Gelmini e Renato Brunetta

Invece il Cavaliere, incapace di trattenere la vocazione alla gestione proprietaria o aziendalista del suo partito, ha liquidato come “ingenerosi” i dissidenti e -nella foga polemica, per contrastarne le loro critiche- ha rivendicato non solo più esperienza ma anche “più intelligenza” rispetto a Matteo Salvini. Di cui invece ha soddisfatto in pieno l’interesse a partecipare alle pugnalate a Draghi al Senato, negandogli la fiducia, per fronteggiare la concorrenza elettorale di Giorgia Meloni all’interno del centrodestra. 

Vignetta della Stampa
Vignetta della Gazzetta del Mezzogiorno

Ora, volente o nolente, per quanti sforzi vorrà o potrà fare per sottrarvisi, Berlusconi è condannato a vivere la campagna elettorale come nella vignetta di Nico Pillinini sulla risorta Gazzetta del Mezzogiorno, dove lui con Conte e Salvini si alternano a schiaffeggiare Draghi di spalle chiedendogli chi è stato. O nella vignetta ancora più politica e calzante del vecchio Sergio Staino sulla Stampa che festeggia l’arrivo di Brunetta, Gelmini e Carfagna nel “nuovo ulivo” del Pd di Enrico Letta. Ah, Cavaliere, Cavaliere. 

Ripreso da http://www.graffidamato.com

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