Le furbizie di Silvio Berlusconi e l’ostinazione di Giorgia Meloni nel centrodestra

Titolo di Repubblica
Clemente Mastella al Corriere della Sera

Giorgia Meloni per mettersi in allarme e lanciare il “diktat” attribuitole da Repubblica nel titolo di apertura a sostegno, praticamente, della propria candidatura a Palazzo Chigi in caso di vittoria elettorale del centrodestra e di sorpasso dei suoi fratelli d’Italia sulla Lega e su Forza Italia, non aveva certamente bisogno dell’avvertimento lanciatole da Clemente Mastella. Che, per quanto oggi contenuto nella fascia tricolore di sindaco di Benevento, rimane il politico più navigato di quelli sopravvissuti alla cosiddetta prima Repubblica. “Giorgia, non ti illudere. Salvini e Berlusconi ti fregheranno comunque”, le ha detto in una intervista al Corriere della Sera

Parole di Berlusconi
Intervista di Berlusconi al Corriere della Sera

Anche Berlusconi, con ben altra evidenza naturalmente, si è fatto intervistare dal Corriere della Sera per dire, fra l’altro, testualmente: “Giorgia Meloni sarebbe un premier autorevole, con credenziali democratiche ineccepibili, di un governo credibile in Europa e leale con l’Occidente. Allo stesso modo lo sarebbero Matteo Salvini o un esponente di Forza Italia”: non necessariamente lui quindi, all’età che ha e pur con l’impegno confessato nella ricerca di autorevoli e validi esponenti dell’eventuale prossimo governo di centrodestra, come se dovesse provvedervi da presidente del Consiglio. 

Anche se Berlusconi fa un pò il finto tonto a dichiararsi “non appassionato” al problema del candidato del centrodestra, come neppure alla presidenza del Senato propostagli o offertagli da amici di cui ha apprezzato la considerazione che hanno per lui, rimane quanto meno sospetta la ritrosia, la resistenza, la contrarietà per ora -chiamatela come volete- a confermare la regola delle precedenti elezioni reclamata dalla giovane leader della destra. E’ la regola, peraltro condivisa ancora, almeno a parole, da Salvini che l’ottenne nel 2018, secondo la quale il partito che nel centrodestra vincente raccoglie più voti ha il diritto di prelazione su Palazzo Chigi, sempre che naturalmente la designazione sia accolta dal presidente della Repubblica. Al quale la Costituzione non ha ancora tolto il diritto di nominare il capo del governo e, su sua proposta, i ministri. 

Mario Draghi

Perché Berlusconi elude il problema? Perché o anche perché -ha detto lo stesso Cavaliere- neppure l’altra parte, cioè la coalizione che sta tentando di formare il segretario del Pd Enrico Letta, finalmente senza i grillini di cui ha scoperto la inaffidabilità, ha definito o indicato il suo candidato a Palazzo Chigi. Dove in effetti lo stesso Letta potrebbe essere interessato a tornare, dopo esserne stato allontanato bruscamente, a dir poco, nel 2014 dall’allora segretario del Pd Matteo Renzi. Ma dove Carlo Calenda, che alla nuova coalizione di centrosinistra, chiamiamola così, ha deciso di concorrere aprendone le porte anche a quanti sono usciti o stanno uscendo da Forza Italia, ha appena proposto di confermare Mario Draghi. 

E’ proprio l’incertezza, a dir poco, dell’altra parte di fronte al problema di chi dovrà fare il presidente del Consiglio che dovrebbe fare avvertire a Berlusconi l’opportunità di una indicazione da parte del centrodestra come garanzia  di maggiore serietà e chiarezza d’idee. O no? Lo chiedo tanto più di fronte alla coraggiosa posizione presa dal Cavaliere di fronte alla campagna “di fango” fascista che gli avversari del centrodestra hanno già avviato contro la Meloni, provvista invece secondo Berlusconi -ripeto- di “credenziali democratiche ineccepibili”, in Italia e all’estero.

Titolo ancora del Foglio
Titolo del Foglio

C’è qualcosa che obiettivamente non torna nel ragionamento del conte di Montecristo cui amichevolmente Berlusconi è stato paragonato sul Foglio da Giuliano Ferrara. Che ha confermato di voler votare per il Pd ma è anche pronto a festeggiare il ritorno di Berlusconi al Senato, questa volta come presidente -o vice di Mattarella in caso di impedimento- dopo l’ignobile cacciata nel 2013. 

Ripreso da http://www.policymakermag.it e http://www.startmag.it   

La necessità e urgenza di un Consiglio europeo di difesa comune

Titolo del Dubbio

In un saggio di geopolitica di una settantina di pagine pubblicato da Castelvecchi, giustamente elogiato nella prefazione da Romano Prodi perché “breve, intelligente e ben motivato”, Adolfo Battaglia e Stefano Silvestri hanno proposto un Consiglio Europeo di Sicurezza e Difesa come “risposta -dicono anche nel sottotitolo- a pericoli e declino” del vecchio continente, specie ora che è stato investito dalla guerra in Ucraina. Una guerra, in verità, non ancora scoppiata quando i due autori avevano persino terminato di scrivere il loro pamphlet, come deduco dalla data della prefazione di Prodi: il 2 gennaio scorso. Ma che Battaglia e Silvestri hanno fatto in tempo a inserire poi nelle loro motivazioni scrivendone all’inizio con tempestività giornalistica e dedicandole il titolo: “Guerra in Europa”.

Adolfo Battaglia

“Anche se moltissime cose sono cambiate -hanno osservato, anzi esordito l’ex ministro repubblicano dell’Industria e l’ex sottosegretario alla Difesa, fra gli anni rispettivamente della mai abbastanza rimpianta Prima Repubblica e i primi della seconda- l’Europa ha vissuto una volta di più l’esperienza dei carri armati russi inviati a ricondurre all”ordine” un Paese al quale Mosca riconosce “una sovranità limitata dai propri interessi”. “In questo caso l’Ucraina, un tempo -hanno ricordato gli autori- l’Ungheria, la Polonia o la Cecoslovacchia”, in una sinistra continuità fra la Russia sovietica e quella post-sovietica di Putin sulle tracce non più di Stalin e successori ma, ancor prima di loro, di Pietro il Grande. 

Stefano Silvestri

“Questa volta -si legge nel pamphlet- l’intervento è stato accompagnato da tali intimidazioni e violazioni del diritto internazionale da ricordare ad alcuni, sebbene la Storia non si ripeta mai, la buia stagione della Conferenza di Monaco, che nel 1938 segnò l’inizio dell’aggressione hitleriana all’Europa”. E poi, osservo più modestamente  io, c’è ancora chi contesta gli aiuti militari dei paesi europei e degli alleati atlantici all’Ucraina così ferocemente aggredita dalla Russia. 

La formazione di un Consiglio Europeo di Sicurezza e di Difesa è proposto nel saggio di Battaglia e Silvestri “fra un certo numero di nazioni, fortemente integrato, strettamente collegato alla Nato e all’Ue, ma esterno e indipendente da ambedue”. “E con l’introduzione dell’indispensabile principio del voto a maggioranza, accompagnato forse dalla “valvola di sicurezza” già individuata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: un possibile diritto di veto che rappresenterebbe un “bilanciamento” utile tanto per motivi politici quanto per ragioni giuridiche di possibili obiezioni costituzionali”.

Un’immagine emblematica della solidarietà europea all’Ucraina aggredita dalla Russia: il viaggio di Draghi, Macron e Scholz a Kiev

Questa soluzione, pur essendo “una formula di compromesso” rispetto ad altre più stringenti ed immediate ma di difficile realizzazione, “avrebbe il vantaggio di stabilire subito la volontà comune di raggiungere un obiettivo ambizioso”, senza peraltro limitarsi a “condurre insieme alcune operazioni militari”, ma procedendo “anche a forme di integrazione degli strumenti, riducendo drasticamente le attuali duplicazioni nazionali a vantaggio di comandi e organizzazioni multinazionali”. “E’ illusorio -spiegano gli autori- porsi oggi l’obiettivo difforme di armate europee perfettamente integrate in un’unica realtà, ma dovrebbe essere possibile integrare il loro funzionamento e le loro programmazioni”.

Un Consiglio Europeo di Sicurezza e di Difesa risponde anche alla necessità di non proseguire nella situazione attuale da alcuni riconducibile persino allo “schema ben noto nella difesa europea di “ognuno per sé e gli Usa per tutti”, che ha caratterizzato la Nato negli anni della Guerra Fredda, ma che oggi sembra essere definitivamente condannato a entrare in crisi”. Uno schema peraltro che consente la degenerazione delle polemiche, nel caso della vicenda dell’Ucraina, sino alla rappresentazione di guerre “per procura”. Tale sarebbe quella che Zelensky condurrebbe, secondo gli avversari e critici, per conto degli americani, sulla pelle del proprio Paese.

La strada verso una comune difesa, come quella già percorsa della moneta unica, consentirebbe all’Europa di uscire anche dal cono d’ombra lamentato da Prodi in una sua autobiografia dell’anno scorso, e ricordato con una certa condivisione da Battaglia e Silvestri a proposito delle sue conferenze e lezioni in Cina e negli Stati Uniti. “Nel periodo iniziale del mio insegnamento – aveva ricordato Prodi, ex presidente, non dimentichiamolo, della Commissione Europea, e non solo del Consiglio dei Ministri italiano- tanto gli studenti cinesi quanto quelli americani mi chiedevano con insistenza di tenere lezioni sull’Unione Europea. Col passare del tempo l’Europa ha interessato sempre meno i miei studenti dell’Est e dell’Ovest. Oggi, poco o nulla”. 

La strada verso una comune difesa europea e il progresso dell’economia nell’Unione, che egli ha vantato “a differenza dei due autorevoli autori” del saggio, potrebbero far tornare “gli studenti cinesi e americani”, come li ha chiamati nella prefazione Romano Prodi, a “dedicare almeno un minimo di attenzione al vecchio continente”. 

Pubblicato sul Dubbio

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