Putin spara razzi contro l’Ucraina e migranti contro l’Italia

Titolo della Stampa

Neppure una smentita del sottosegretario ai servizi segreti Franco Gabrielli, già capo della Polizia, ha fermato La Stampa nella campagna avviata contro Matteo Salvini. Che a fonti appunto dei servizi segreti sarebbe risultato in contatto con l’ambasciata russa a Roma non solo per organizzare il noto e saltato viaggio a Mosca, con tanto di biglietto già pagato dalla stessa ambasciata, e poi rimborsato dal leader leghista, ma anche per ricevere sollecitazioni a provocare la crisi del governo Draghi facendone uscire i ministri del Carroccio. La crisi poi è arrivata, ma senza l’uscita dei ministri leghisti, e in curioso concorso con i forzisti di Silvio Berlusconi e i grillini di Giuseppe Conte, sempre con i ministri rimasti al loro posto nel governo chiamato a questo punto a gestire le elezioni anticipate. Ma al Cremlino, si sa, hanno festeggiato lo stesso.

Titolo della Verità

La Stampa è sicura delle sue informazioni e ha continuato anche oggi a reclamare chiarimenti, accusata tuttavia dalla Verità di Maurizio Belpietro di averle rubato uno scoop di alcune settimane fa rivelatosi nel frattempo falso, visto che il giornale di destra difende Salvini. Beh, sono cose che accadono nei e fra i giornali. Sarà difficile liberarsi di questo pasticciato giallo in campagna elettorale sia nella versione di Avvenire, il giornale dei vescovi italiani che ha titolato “La Russia nelle urne”, sia nella versione del manifesto, che ha servito ai lettori “insalata russa”.

Dalla prima pagina di Repubblica
Titolo di Repubblica

Presi tutti da questo giallo, rischia di sfuggire o di passare in second’ordine una notizia certa, di cronaca, amplificata col titolo “l’arma dei migranti” dalla Repubblica. Che in una brevissima sintesi ha raccontato in prima pagina: “Una mano ha aperto il rubinetto umano della Cirenaica. Dalle coste della Libia sotto il controllo delle milizie del generale Haftar, supportate dai mercenari russi del Gruppo Wagner, stanno partendo molti più migranti rispetto a quanto rilevato nello stesso periodo degli ultimi due anni”. 

“Una mano”, ripeto, dice Repubblica. Quella di Putin si può presumere col riferimento dei “mercenari russi” che sostengono il generale Haftar, ma forniscono il loro contributo anche alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Possiamo quindi dire, senza volare tanto con la fantasia, che Putin cinicamente spara razzi contro l’Ucraina e migranti contro l’Italia di Draghi, che aiuta anche militarmente il paese aggredito e nel frattempo candidatosi all’ammissione all’Unione Europea. 

Matteo Salvini appena sbarbato

Questi migranti, che hanno fatto letteralmente scoppiare i centri italiani di accoglienza, sono provvidenziali per la campagna elettorale di Salvini. Il quale ne cavalca da sempre il disagio e la paura che portano con sé e diffondono fra gli italiani, ma questa volta ancora di più in funzione di contenimento dell’emorragia di voti procurata alla Lega da Giorgia Meloni. Che ormai da sola raccoglie più voti di forzisti e leghisti messi insieme ed ha prenotato in caso di vittoria del centrodestra Palazzo Chigi. Da dove magari rimanderà Salvini al Viminale, con tutte le sue tute  o giubbotti di Polizia, Vigili del Fuoco e quant’altro, ma continuerà a mandare armi all’Ucraina, come ha appena annunciato facendo andare di traverso a Putin anche i medicinali che trangugia per le sue misteriose malattie. 

Ammesso e non concesso che abbia fatto davvero ciò che La Stampa gli attribuisce, non si sa a questo punto fino a che punto sia convenuto a Putin spingere Salvini contro Draghi. Egli rischia di trovarsi fra poco più di due mesi a Palazzo Chigi una peggiore di Draghi, dal suo punto di vista. Una alla quale Salvini, nel frattempo sbarbatosi per avere perduto con Berlusconi una incauta scommessa contro le elezioni anticipate, potrà creare -presumo- meno problemi che al presidente del Consiglio ancora in carica per la cosiddetta ma per niente ordinaria amministrazione. Infatti stanno per partire dall’Italia altre forniture  militari per l’Ucraina. 

Ripreso da http://www.policymakermag.it e http://www.startmag.it

L’amministrazione per niente ordinaria del governo Draghi nell’emergenza anche elettorale

Titolo del Dubbio

Non si è dovuto aspettare molto, neppure l’apertura formale della campagna elettorale con la presentazione delle liste e la definizione quindi concreta delle alleanze più o meno “tecniche”, come dice il segretario del Pd Enrico Letta parlando delle sue, per vedere gli effetti concreti, sociali e  anche politici, della decisione di Sergio Mattarella di lasciare il governo di Mario Draghi al suo posto sciogliendo anticipatamente le Camere. Al suo posto -precisò di fatto il capo dello Stato- per un’amministrazione “ordinaria” di nome ma per niente di fatto in tempi che ordinari non sono, con tutte le emergenze che ci assediano. 

Draghi, continuando a governare davvero, pur non candidato a niente nel nuovo Parlamento, dove altri se le stanno dando e dicendo di santa ragione dietro e davanti alle quinte per contendersi seggi ridotti e cariche, è rimasto il convitato, o addirittura il protagonista di pietra di questa stagione elettorale, per la prima volta d’estate nella storia della Repubblica. Egli continua ad essere una risorsa per i partiti, direi a loro dispetto, visto che molti di essi hanno cercato di liberarsene anzitempo con una crisi pazza quanto l’intera legislatura finita nei suoi marosi. 

La guerra in Ucraina

Sul piano internazionale, il più congeniale per il presidente del Consiglio a causa della sua notorietà e autorevolezza ben oltre i confini italiani, gli eventi stanno dando ragione alla linea da lui adottata all’apertura della feroce guerra d’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La linea cioè del sostegno anche militare all’Ucraina per proteggerla, e proteggere con essa l’intera Europa, dal nuovo imperialismo di marca zarista dell’ex o post- sovietico Putin. Che forse ha festeggiato con troppo anticipo l’incidente politico, diciamo così, occorso a Draghi, senza rendersi conto che al novanta per cento delle probabilità la sua linea di contrasto alla Russia continuerà anche senza di lui, e per il rimante dieci per cento ancora con lui a Palazzo Chigi. 

I giochi di Putin col gas, il cui prezzo è salito alle stelle, hanno reso ancora più attuale e stringente il problema posto da Draghi in un’Europa per un bel pò parzialmente riluttante di prendere anche su questo aspetto il toro per le corna. 

Ma passiamo ai problemi interni occupandoci del nuovo decreto legge in arrivo  per gli aiuti su cui si è appena svolto con i sindacati un confronto a tutto vantaggio di quel Draghi scambiato da Giuseppe Conte per quello che sotto le cinque stelle avevano sempre ritenuto che fosse, una specie di Dracula, prima che Grillo in persona, incontrandolo e parlandogli, lo scoprisse per quello che è: un uomo di governo avveduto nel momento del pericolo.

Giuseppe Conte

Pur nell’avarizia del suo linguaggio da sindacalista quando deve riconoscere qualcosa alla controparte di turno, il “rosso” Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil col quale Conte si era messo in concorrenza nelle scorse settimane reclamando “discontinuità” e “cambio di passo” in un documento sventolato  sul tavolo del presidente del Consiglio, ha detto dell’incontro avuto col governo a Palazzo Chigi che esso “ha prodotto alcune prime risposte nella direzione da noi richiesto. Credo che la strada sia giusta. Valuteremo l’entità”, ha aggiunto.

Maurizio Landini alla Stampa di ieri

Più generosi o espliciti sono stati i segretari generali della Cisl, Luigi Sbarra, e della Uil, Pierpaolo Bombardieri. “La valutazione -ha detto quest’ultimo- è positiva. Il governo si è impegnato con noi a fare interventi strutturali sulla decontribuzione per aumentare il netto in busta paga dei lavoratori dipendenti e ad anticipare la rivalutazione delle pensioni prevista per gennaio. Era quello che avevamo chiesto. Stop ai bonus, ma interventi strutturali”.

Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini

Landini, in verità, non ancora dimagrito  abbastanza, ha preferito continuare a tenersi in esercitazione con dimostrazioni di piazza annunciandone di nuove per l’8 e il 9 ottobre a prescindere, neppure lui sa esattamente contro chi perché in quei giorni il Parlamento eletto il 25 settembre non si sarà ancora insediato. Ma difficilmente Conte credo che gli potrà fare compagnia con quel che avrà raccolto nelle urne a capo del “terzo polo” -“giusto”, “incomodo” e quant’altro-  anticipato in questi giorni fra una telefonata e l’altra a Beppe Grillo. Che reclama altre vittime da sacrificare al suo passato di fondatore e al suo presente di garante del MoVimento 5 Stelle, dove uno deve continuare a valere uno e nessuno deve potere scommettere su deroghe al divieto di più di due mandati. Un divieto, anzi, che deve diventare legge dello Stato perché tutti i partiti diventino come il movimento grillino, cioè un mezzo manicomio. Dove il primo che si alza si mette in testa una padella e recita da re, anzi da imperatore. 

Pubblicato sul Dubbio

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