Le contromisure di Draghi, e Mattarella, per difendere il governo dalla crisi grillina

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Sul piano politico più delle nuove misure adottate dal Consiglio dei Ministri per fronteggiare il caro-bollette e tutte le altre difficoltà piovute sui ceti meno abbienti e sulle imprese per effetto anche della guerra in Ucraina scatenata da Putin, valgono le contromisure praticamente annunciate dal presidente Mario Draghi per mettere il governo al riparo soprattutto dalla destabilizzazione del MoVimento 5 Stelle. Il cui presidente Giuseppe Conte, obbligando di fatto Draghi ad anticipare il ritorno a Roma dal vertice della Nato a Madrid, dove l’Italia è stata rappresentato nella parte conclusiva dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ha preso per buone voci, indiscrezioni, scoop autentici o presunti del Fatto Quotidiano su pressioni esercitate dal presidente del Consiglio su Beppe Grillo per “farlo fuori”. E far fuori anche il movimento dal governo profittando della sua irrilevanza numerica in Parlamento dopo la scissione consumata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Vi sono, in verità, fibrillazioni anche leghiste nella maggioranza, nella illusione comune con Conte che un passaggio all’opposizione nella fase finale della legislatura possa ridurre i rischi di ulteriori, gravi perdite elettorali. Le contromisure di Draghi potrebbero valere pertanto anche per Salvini. 

Forte evidentemente di un incontro avuto  al rientro a Roma col presidente della Repubblica, col quale si presume che abbia concordato il modo di fronteggiare la destabilizzazione grillina, Draghi ha assicurato che in casa di uscita dei pentastellati dal governo o per passare all’opposizione o per appoggiarlo dall’esterno, egli non farà finta di nulla. Non lo farà per quanto i numeri parlamentari glielo permetterebbero, dopo che i gruppi parlamentari non sono più quelli di maggioranza relativa per l’esodo di Di Maio. e amici. Seguirebbero quindi necessariamente le dimissioni del presidente del Consiglio e degli altri ministri, cioè la crisi. Rimane troppo rilevante il ruolo del movimento capeggiato da Conte per farne a meno o solo per ridurne la partecipazione alla maggioranza con l’appoggio esterno.

Titolo del Giornale

Qui però finiscono le buone notizie, gli apprezzamenti, i riconoscimenti e quant’altro per Conte, che già avrebbe potuto o dovuto essere rasserenato dalle smentite opposte sia da Draghi sia da Grillo alle indiscrezioni, rivelazioni e quant’altro sulle pressioni dell’uno sull’altro contro il presidente del MoVimento 5 Stelle. E cominciano invece le brutte notizie, provenienti dallo stesso Draghi e dal segretario del Pd Enrico Letta parlando ieri alla direzione del suo partito. L’uno e l’altro hanno detto che questo in carica è “l’ultimo governo della legislatura”. L’apertura di una crisi porterebbe dritto allo scioglimento delle Camere e alle elezioni anticipate. Cadrebbe l’ipotesi delle elezioni praticamente ritardate a maggio dell’anno prossimo, nonostante la legislatura possa essere considerata ordinariamente conclusa a marzo. 

Giuseppe Conte

Già in agitazione per la riduzione un pò suicida dei seggi parlamentari e per il limite statutario e persino idenditario del limite dei due mandati, i deputati e senatori rimasti nel MoVimento di Conte, e del garante Grillo, si sentirebbero ancora di più in una tonnara se le elezioni fossero anticipate. E Conte si condannerebbe personalmente alla fine della sua avventura politica. 

Draghi sarà pure il “tecnico” riduttivamente descritto dal suo predecessore  rimproverandogli di essersi intromesso nelle vicende interne alle 5 Stelle, o a ciò che ne è rimasto, ma non è politicamente uno sprovveduto. Per niente, e per di più sostenuto con fermezza dal capo dello Stato, unico depositario del potere di scioglimento anticipato delle Camere. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

La fatale Madrid di Sandro Pertini e Mario Draghi a distanza di 42 anni

Titolo del Dubbio

Mario Draghi ha un pò rivissuto a Madrid l’esperienza di Sandro Pertini nel mese di maggio del 1980, sia pure con ruoli istituzionali diversi, ma sullo stesso sfondo di una possibile crisi di governo.

Sandro Pertini

L’allora presidente della Repubblica, in visita di Stato nella capitale spagnola, dovette smentire parole a torto o a ragione attribuitegli   contro Francesco Cossiga. Che era finito -diversamente ora da Draghi, per carità- sotto tiro alla commissione inquirente per i procedimenti d’accusa davanti alla Corte Costituzionale per la vicenda di un figlio terrorista, Marco, dell’allora vice segretario della Dc Carlo Donat-Cattin. 

Francesco Cossiga e Carlo Donat-Cattin

Sospettato dalla magistratura di Torino di avere fornito al suo collega di partito notizie utili alla latitanza del figlio, ricercato per l’assassinio del giudice Emilio Alessandrini compiuto a Milano l’anno prima per la formazione di Prima Linea, il presidente del Consiglio Cossiga rischiava l’incriminazione per favoreggiamento. 

Parlandone a Madrid, appunto, col portavoce Antonio Ghirelli, che si sentì a torto o a ragione autorizzato a riferirne ai giornalisti al seguito nella visita di Stato, Pertini espresse la convinzione che Cossiga dovesse dimettersi se la commissione inquirente non lo avesse  discolpato con la maggioranza prescritta per chiudere lì il caso, senza la possibilità di promuovere -come invece sarebbe accaduto- un passaggio in aula, a Camere riunite congiuntamente.

Nella lotta al terrorismo Pertini, cui era capitato il triste primato di funerali delle vittime a cui partecipare come capo dello Stato, era durissimo: di una durezza che lo aveva del resto portato al Quirinale nel 1978, dopo il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, e le dimissioni di Giovanni Leone da presidente della Repubblica sei mesi prima della scadenza del mandato. Per quella sua posizione egli era stato preferito dal Pci al suo compagno di partito Giuliano Vassalli.

Flaminio Piccoli

Flaminio Piccoli, allora capogruppo della Dc alla Camera, si era lasciato andare nella buvette di Montecitorio ad un assenso poco cortese, diciamo così, per Pertini prevedendone, a più di 80 anni compiuti, una presidenza breve, destinata invece allo svolgimento completo. Nel frattempo diventato segretario del partito, Piccoli reagì sprezzantemente alle dimissioni di Cossiga ventilate da Pertini. Piuttosto -disse il capo dello scudo crociato- sarebbe il caso di attendersi le dimissioni del presidente della Repubblica. 

Per quanto combattivo, Pertini replicò da Madrid smentendo di avere mai prospettato la rinuncia di Cossiga. E per rafforzare la sua smentita licenziò in tronco il portavoce Ghirelli, in soccorso del quale intervennero inutilmente i giornalisti al seguito non solo per solidarietà con un collega, ma nella convinzione che egli avesse fatto semplicemente il suo lavoro. Cosa, questa, avvertita pienamente dal presidente della Repubblica, che rispose all’appello, mentre usciva dall’albergo, confermando il licenziamento col pollice rovesciato. 

Cossiga poi -lo ricordo ai più giovani o meno anziani, come preferite- scampò alla Corte Costituzionale con un voto d’aula a Montecitorio voluto personalmente dal pur cugino Enrico Berlinguer, segretario del Pci. Ma meno di un anno dopo avrebbe ugualmente perduto Palazzo Chigi, sostituito dal collega di partito Arnaldo Forlani. 

Draghi per fortuna non ha dovuto licenziare nessuno a Madrid. Ha soltanto dovuto smentire le telefonate a Beppe Grillo attribuitegli da interlocutori dello stesso Grillo  contro Giuseppe Conte per “farlo fuori” da presidente del MoVimento 5 Stelle. O di quel che ne resta dopo la scissione di Luigi Di Maio. Una smentita, quella di Draghi, alla quale il primo a non credere è stato proprio Conte, nonostante una prima telefonata già avuta col presidente del Consiglio. Conte, anzi, ha rilanciato la polemica rafforzandola con una udienza al Quirinale. 

La vignetta del Secolo XIX
Paola Taverna, vice presidente del Senato

L’unico a rimetterci il posto, almeno sinora, è stato un collaboratore della vice presidente pentastellata del Senato Paola Taverna. La quale lo ha licenziato attribuendogli un post velenosissimo contro Grillo  -“mi ha ucciso”e “il partito non è di tua proprietà”- comparso sul suo sito internet, nella presunzione che il garante avesse sostanzialmente ceduto alle presunte pressioni del presidente del Consiglio contro Conte. Che in una vignetta sul Secolo XIX è adesso finito appeso nel vuoto alle braccia di Grillo, al posto di Draghi come lo stesso Conte forse avrebbe voluto e vorrebbe.  

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 3 luglio

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