La fiducia al governo Draghi c’è, ma più apparente che reale per il caos grillino

Titolo di Avvenire

Quei 410 sì e 49 no della Camera sono certamente la conferma della fiducia al governo, che l’aveva posta sulla conversione in legge del decreto degli aiuti in tempi di difficoltà economiche per tanti. Ma è una fiducia sulla carta, o sul tabellone elettronico di Montecitorio. E’ una fiducia neppure “a tempo”, come l’ha definita Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, ma apparente. Data peraltro con molte assenze non solo fra i grillini, ma anche fra leghisti e forzisti. 

Della volontà di  questi ultimi  di sostenere il governo di cui fanno parte è francamente difficile dubitare, ma degli altri sì: soprattutto dei grillini, 13 deputati dei quali si sono messi in missione, forse anche per coprire decentemente il loro dissenso, ma 15 non hanno neppure avvertito questo scrupolo, orgogliosi -temo- di essere “ingiustificati”, come si dice in termini d’aula e di verbali. 

Mattia Feltri sulla Stampa

Il MoVimento 5 Stelle, o ciò che ne resta dopo i sessanta fra deputati e senatori che hanno seguito nella scissione il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, è stato diviso sulla Stampa da Mattia Feltri in ben cinque correnti, delle quali quattro ben definibili: governisti, barricaderos, mediatori, attendisti. A capo di ciascuna di esse il mio amico Mattia ha messo, non a torto, Giuseppe Conte per le posizioni ondivaghe che assume ogni volta che parla, anche rispondendo incidentalmente ai cronisti che lo inseguono sapendo di poter portare a casa qualche dichiarazione appetitosa per chi scrive di politica sui giornali, in particolare del perenne stato di pre-crisi in cui si trova da qualche tempo il governo Draghi. E ancor più rischia di trovarsi dopo che il segretario del Pd Enrico Letta si è prestato nelle ultime ore al sospetto che sia disponibile ad un secondo governo Draghi per portare a termine regolarmente la legislatura, senza uno scioglimento anticipato ed elezioni politiche già nella prossima stagione autunnale. Che sarebbero, peraltro, le prime nella storia della Repubblica, essendosi generalmente votato in primavera.

Sempre dal Fatto Quotidiano
Il ring del Fatto Quotidiano

Gli umori più malmostosi fra i grillini nei riguardi di Draghi sono notoriamente espressi dal Fatto Quotidiano, che oggi presenta il presidente del Consiglio e il suo predecessore con i guantoni.  Non bastando il ring, il giornale di Marco Travaglio ha preannunciato al Senato per giovedì prossimo un “D day”, una riedizione cioè dello storico sbarco in Normandia nella seconda guerra mondiale. Quel giorno i grillini dovranno decidere se negare esplicitamente la fiducia al governo sul decreto aiuti, nel frattempo passato alla Camera anche col voto conclusivo, o negarla assentandosi tutti dall’aula: cosa che Conte non ha sinora esclusa, limitandosi a dire che saprà in qualsiasi modo sorprendere con le sue direttive.

Putin

Adesso di guerra in Europa, diversamente dai tempi dello sbarco in Normandia, abbiamo quella in Ucraina, scatenata da un Putin che ha appena opposto sfacciatamente alle tante attese di apertura di un serio negoziato di pace l’avvertimento che non siamo neppure all’inizio della sua avventura nell’odiato paese limitrofo. Per fortuna da qualche giorno, evidentemente informato degli umori a Mosca, non foss’altro leggendo i reportage dalla Russia -sempre sul Fatto Quotidiano– dell’ex deputato grillino Alessandro Di Battista, l’ex presidente del Consiglio ha smesso di mettere in croce Draghi per gli aiuti militari italiani all’Ucraina, contestati sotto le cinque stelle perché praticamente subordinati ad una politica dettata dalla Casa Bianca. 

Boris Johnson

Non si può tuttavia escludere che Conte torni a sollevare anche questo problema, visto che fra i grillini le improvvise pre-dimissioni del primo ministro inglese Boris Johnson con la rinuncia alla guida del partito dei conservatori sono state avvertite come un possibile, auspicabile colpo alla linea dura contro Putin. Oltre che come un incoraggiamento a perseguire la caduta di Draghi in Italia senza dover mettere nel conto le elezioni anticipate, visto che in Gran Bretagna non sono per niente scontate.  

Ripreso dalle Rassegne Stampa del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati

 

La crisi pirandelliana di Giuseppe Conte alla guida delle 5 Stelle

Luigi Pirandello
Titolo del Dubbio

Se la lettura -o rilettura- di Dante è diventata obbligatoria per Beppe Grillo, che ne ha appena ripassato la Divina Commedia, in particolare l’Inferno, per salire a origini e somiglianze dei tradimenti subiti come fondatore e garante del MoVimento 5 Stelle, ma un pò anche dei suoi, compiuti fra battute, risate, precisazioni, smentite, sfuriate e via sceneggiando, la lettura -o rilettura- di Luigi Pirandello è diventata obbligatoria per Giuseppe Conte.

Nel ruolo di ex avvocato del popolo, ex presidente del Consiglio e da circa un anno tormentatisissimo e contestato presidente del movimento grillino, o di quel che n’è rimasto dopo le espulsioni o gli abbandoni più o meno individuali, e infine la scissione di Luigi Di Maio e una sessantina di parlamentari al seguito, Conte può ben riconoscersi nel protagonista del romanzo fra i più famosi, se non il più famoso, dello scrittore siciliano: “Uno, nessuno, centomila”. Egli è quasi una reincarnazione del Vitangelo Moscarda in crisi di identità perché visto dagli altri diversamente da come si vede lui. 

Titolo della Stampa di oggi
Il titolo del Giornale di ieri

Uscito dall’incontro con Draghi senza annunciare la rottura che qualcuno temeva e altri speravano, ma con la richiesta di un “forte segno di discontinuità”, come un protagonista o attore qualsiasi della cosiddetta e odiata Prima Repubblica, il povero ex presidente del Consiglio pensava forse di avere svolto al meglio la funzione di equilibrista: dell’uomo costretto dalle circostanze a camminare sul classico filo sospeso nell’aria. Ma Draghi -non so se più per ingenuità o inesperienza politica o per astuzia iperpolitica, altro che tecnica- lo ha descritto “collaborativo” scatenando un altro, l’ennesimo temporale, o terremoto, nel già bagnato o terremotato movimento delle 5 Stelle. I cui parlamentari con i nervi a fior di pelle hanno sentito puzza di bruciato e hanno cominciato a mettere anche l’altro piede fuori dal governo e forse anche dalla maggioranza: l’altro rispetto a quello già avvertito o segnalato dallo stesso Conte parlando in maniche di camicia con un cronista del Fatto Quotidiano ammesso nel suo ufficio. Che ne ha riferito poi in un articolo corretto -presumo- nella titolazione dal direttore in prima pagina con l’annuncio  di una “comunità 5 Stelle già fuori”, del tutto, a dispetto di un Conte in odore, o puzza, di “Sor Tentenna” o “Re dei penultimatum”, una volta incoronato così, tra il serio e faceto, proprio da Grillo.

Se e come potrà finire questa storia, questa rincorsa -sempre per stare alla rappresentazione di Travaglio- fra un Draghi che vorrebbe cacciarlo fuori e un Conte che potrebbe, o dovrebbe, precederlo facendo uscire i suoi ministri dal governo e cercando di cacciare l’intruso Draghi da Palazzo Chigi, è francamente difficile dire o prevedere. 

Titolo del Foglio di oggi
Il titolo di Libero di ieri

Da qualche giorno c’è chi scrive e persino scommette su Sergio Mattarella non ancora deciso o rassegnato alle elezioni anticipate in caso di crisi, e quindi tentato da un Draghi bis -evidentemente a dispetto dello stesso Draghi, che se n’è detto contrario- per fare terminare la legislatura alla scadenza ordinaria di marzo dell’anno prossimo. A meno che -si deve presumere- ad una crisi non concorra anche la Lega di Matteo Salvini, in competizione con Conte, perché in questo caso è francamente impossibile pensare ad un Mattarella ancora renitente allo scioglimento anticipato di Camere. Che, francamente, ritengo abbiano già vissuto troppo per la dovizia di spettacoli politici offerti agli elettori italiani e alle famose “Cancellerie” estere. Camere – permettetemi di aggiungere- sopravvissute a se stesse solo per le emergenze via via accavallatesi e condizioni di impedimento elettorale come quelle spiegate un anno e mezzo fa da Mattarella in persona in una diretta televisiva dal Quirinale distintasi per drammaticità e trasparenza. Fu la diretta sfociata nella convocazione di Draghi e nella formazione del suo governo. O -come Travaglio, sempre lui, scrisse con inchiostro giallo- nel “Conticidio”.

Non so voi, ma io sinceramente non mi strapperei i capelli, che fortunatamente conservo quasi integri a più di ottant’anni, se in autunno o già in agosto -a dispetto dell’omonimo generale sempre ai bordi della politica estiva per sedare rivolte e colpi di testa- la situazione dovesse precipitare e Mattarella fosse costretto a ciò che è riuscito sinora a risparmiarsi: una sforbiciata alla legislatura, dopo quella ai seggi parlamentari autolesionisticamente apportata dai grillini con la complicità di altri che vi erano contrari sino a un momento prima di cedere. Come il compianto socialista Fernando Santi diceva del segretario del suo partito Francesco De Martino nei rapporti, alternativamente, con la Dc e col Pci. 

Pubblicato sul Dubbio

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