
Silvio Berlusconi ha dunque deciso di cambiare ruolo in politica, o nel suo “teatrino”, come l’ha sempre chiamato, ben prima che ci si mettesse dentro, o vi scendesse dall’alto dei suoi affari e della popolarità guadagnatasi -bisogna dirlo- da solo, riversandone un po’ anche su altri, non tutti abbastanza grati. Alcuni, anzi, per niente.
Da protagonista del centrodestra improvvisato nell’ormai lontano 1994, fra le macerie della cosiddetta prima Repubblica e le prime ispezioni giudiziarie d’avvertimento nelle sue aziende; da promotore addirittura della fine della guerra fredda, alla quale avrebbe dovuto seguire un’alleanza politica e militare estesa dall’Atlantico agli Urali, per quanto il suo ministro della Difesa Antonio Martino nutrisse qualche dubbio già allora su Vladimir Putin; da allenatore di delfini tutti miseramente destinati a rivelarsi privi del quid necessario a crescere davvero, il quattro volte ex presidente del Consiglio tra seconda e terza Repubblica ha deciso di fare il regista. E di uno spettacolo davvero inedito: la nascita e la sopravvivenza -spera almeno l’interessata- del primo governo italiano a guida femminile: “la signora Meloni”, come lui la chiama da qualche tempo non so se con più ansia o più soddisfazione per averla aiutata a crescere anche con i dolci e le marmellate dei cuochi sparsi nelle sue ville.


Ne avrà da fare come regista il Cavaliere- “tra una minchiata e l’altra” rimproverategli dall’amico Giuliano Ferrara sul Foglio- con gli 86 anni che gli cadono oggi sulle spalle, per quanto assistito sempre da un folto gruppo di collaboratori e, sotto i soffitti della sua magione romana sull’Appia Antica, dallo spirito di Franco Zeffirelli. Che vi dimorò a lungo come ospite lasciandovi il segno. I voti di Forza Italia non sono più quelli di una volta. Da incassatore di voti è un po’ diventato erogatore, come dice Alessandra Ghisleri pure di Matteo Salvini. D’altronde, in un convoglio anche il fanalino numerico di coda è d’obbligo.
Pubblicato sul Dubbio
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