In Russia si scappa da Putin, in Italia dalle urne di domenica prossima

Titolo di apertura del Fatto Quotidiano

Le immagini televisive e stampate non consentono fughe dalla realtà. E ridicolizzano i tentativi di ridurne la portata, come si sono avventurati al Fatto Quotidiano. E dove sennò?  Da quelle parti  la fuga dei russi da Putin -dopo il richiamo di trecentomila riservisti e la minaccia di usare la bomba atomica per difendere l’annessione “referendaria”, come la chiama lui, dei territori ucraini occupati militarmente, o di ciò che ne rimane dopo tante distruzioni e stragi- sono diventate in un sommarietto di apertura “prime reazioni negative”. E ciò sotto un titolo che grida “la paura di Biden”: il presidente degli Stati Uniti d’America, naturalmente. Di cui tuttavia si lamenta nel già citato sommarietto, associando Usa e Nato, la decisione di “rilanciare il riarmo”, per cui “si fa più forte il rischio nucleare”. Bisognerebbe che nella redazione di Marco Travaglio ci mettessero un pò più di coerenza, o un pò meno di incoerenza, nella titolazione per rispetto, non foss’altro, dei lettori. E’ strana la paura di Biden raccontata così.

Il titolo del Giornale
Dalla prima pagina del Corriere della Sera

“I voli esauriti: via da Mosca”, ha preferito riferire il Corriere della Sera. “In fuga da Putin” hanno titolato quasi all’unisono il Giornale e Libero. “Il pugno di Mosca”, ha sovrapposto il manifesto alla foto di un dimostrante alle prese con la polizia russa. 

La prima pagina del manifesto

Se in Russia si fugge da Putin, a dispetto degli avvertimenti che dal primo giorno dell’attacco all’Ucraina si è scritto e detto, scomodando anche un discendente del grandissimo Tolstoi, sulla popolarità del presidente-zar nel  “profondo” di un paese che pure sta affamando, e al quale non osa rivelare quanti morti gli abbia già procurato in terra ucraina semplicemente occultandoli nelle fosse comuni o incenerendoli; se in Russia, dicevo, si fugge da Putin, in Italia si scappa dalle urne ancora a tre giorni dal voto per il rinnovo delle Camere. Tanto è stata evidentemente confusa, pasticciata e altro ancora di negativo la pur breve  e inusualmente estiva campagna elettorale. 

Sergio Stajno di recente sulla Stampa

Nessun partito può dolersene e prendersela con gli indecisi. Lo raccomandava già qualche settimana fa il vecchio Sergio Stajno in una vignetta sulla Stampa perché a dar loro degli “stupidi” se ne compromette un eventuale ripensamento. “Sono la nostra speranza”, diceva da sinistra naturalmente, l’ultimo direttore -se non ricordo male- o uno degli ultimi dell’Unità, chiusa nel 2017 e umiliata di recente  con un procedimento giudiziario di bancarotta. Meritava altro, francamente, il quotidiano comunista fondato da Antonio Gramsci nel 1924, quasi un secolo fa.

Romano Prodi ieri sera a Otto e mezzo

Agli ancora indecisi ha pensato anche Romano Prodi ieri sera, collegato da casa col salotto televisivo di Lilli Gruber, per augurare ad Enrico Letta il miracolo capitato a lui nel 2006, quando da perdente come lo davano tutti i sondaggi gli riuscì di sconfiggere di nuovo Silvio Berlusconi, come dieci anni prima. Ma senza riuscire, come già era accaduto la volta precedente, a durare poi a Palazzo Chigi più di un anno e mezzo, all’incirca. 

La prima pagina del Fatto Quotidiano

Più ancora di Prodi ha scommesso sugli indecisi in questi pochissimi giorni di vigilia elettorale il già citato Fatto Quotidiano imbaldanzito da sondaggi riservati, e indiffondibili, che danno Giuseppe Conte in forte ripresa al Sud. Dove basterebbero una decina, meglio una quindicina di seggi sottratti al centrodestra al Senato non dico per evitarne la vittoria, ma almeno per ridurne la portata. E impedirgli di disporre nel nuovo Parlamento di una maggioranza così larga da potere da solo approvare una riforma costituzionale senza la verifica referendaria. “Conte rimonta al Sud e Meloni rischia grosso”, ha titolato il giornale di Travaglio ingigantendo forse un pò troppo le difficoltà della leader della destra italiana. La speranza, si sa, è sempre l’ultima a morire. 

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Verso la parità di genere al vertice delle istituzioni, almeno questo

Titolo del Dubbio

L’elezione di Silvana Sciarra alla presidenza della Corte Costituzionale apre, fra l’altro, la strada -al di là delle stesse intenzioni dei giudici della Consulta- ad una legislatura in cui potremmo avere una parità di genere al vertice delle istituzioni, o quanto meno avvicinarvici più di quanto sia mai avvenuto nella storia della Repubblica. 

Giorgia Meloni

Se Giorgia Meloni, risparmiandosi altri errori negli ultimissimi giorni di questa campagna elettorale dopo quelli su cui tornerò più avanti, riuscirà a diventare la prima donna alla guida di un governo in Italia potrà fare coppia almeno per un anno con la presidente Sciarra per una parità di genere ai vertici istituzionali, appunto, escludendo il capo dello Stato e immaginando due uomini alle presidenze delle Camere. 

Dario Franceschini

Se poi anche in Parlamento dovesse farcela una donna a tornare alla presidenza del Senato o della Camera, la parità di genere sarebbe completa, includendo anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Avremmo tre donne e tre uomini, tra Quirinale, la dirimpettaia Consulta, Palazzo Chigi e Camera o Senato. Non oso neppure ipotizzare un 4 a 3 a vantaggio delle donne, non foss’altro per non fare un torto al povero Dario Franceschini, che mi dicono punti a Montecitorio anche in caso di sconfitta del suo Pd alle elezioni scommettendo sul buon gusto del centrodestra di lasciare alle opposizioni almeno una delle presidenze delle Camere. 

Almeno sul piano -ripeto- della parità di genere la legislatura potrebbe quindi partire col piede giusto. Ma ce la farà, come anticipavo all’inizio, la Meloni a non compromettere una vittoria che anche lei avverte a portata di mano nella corsa a Palazzo Chigi? Me lo chiedo perché la giovane leader della destra italiana -“conservatrice” come le spetta di essere riconosciuta per il nome della formazione europea che presiede, o “post-fascista” come preferiscono definirla gli avversari che ha in Italia e all’estero, dove qualcuno le dà addirittura della fascista vera e propria- si è un pò lasciata prendere la mano negli ultimi tempi. 

Silvio Berlusconi

Per non risalire a quella “pacchia” gridata in piazza a Milano contro francesi, tedeschi e olandesi che farebbero i propri comodi nell’Unione Europea ai danni di un’Italia passiva; o a quel voto congiunto con i leghisti al Parlamento di Strasburgo a favore dell’Ungheria di Viktor Orbàn a rischio di sanzioni comunitarie per l’illiberalismo che pratica nel suo paese ritenendosi unto da Dio e dagli elettori; per non risalire, dicevo, a questi due brutti precedenti, che hanno indotto Silvio Berlusconi a minacciare di  non fare entrare nel suo governo i forzisti, o di farli uscire affondandolo, ho trovato francamente sbagliato l’appello che la Meloni ha fatto per una vittoria dei franchisti di Vox in Spagna sulla scia della sua in Italia. 

Dal manifesto di ieri

Benedetta “Giorgia”, come ormai la chiamano un pò tutti i giornali anche se il suo cognome è ancora più corto per i titolisti, perché abbassa tanto la guardia su un versante che è già così scivoloso a casa sua, e nostra? Mi pareva sinceramente che potesse bastare quel comizio, o comiziaccio recente a vene gonfie sul collo in Andalusia. Dovrebbe pur ricordare di essere nata dopo il franchismo, oltre che dopo il fascismo. 

Dalla Stampa di ieri

Per ultimo, se non si spazientisce contro un vecchio cronista politico, la signora Meloni, come ogni tanto la chiama anche il suo alleato e “padre” metaforico Berlusconi, ho trovato un’autentica autorete la sua invettiva contro la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per i fischi e anche qualche gazzarra tentata contro i suoi comizi dai soliti dissidenti in una competizione democratica. 

Immagini da Palermo

Senza volere essere malizioso a tal punto da sospettare di eccesso voluto di zelo da parte di una ministra già nel mirino  dell’alleato e concorrente della Meloni nel centrodestra che è Matteo Salvini, suo predecessore al Viminale, non mi sembrano proprio un successo per la candidata a Palazzo Chigi le manganellate e simili della Polizia nel suo comizio a Palermo. Dio mio, signora, si e ci risparmi repliche in questi ultimi 3 -dico tre in lettere- giorni di campagna elettorale. Che poi sarebbero due considerando che già sabato non si potrà più comiziare, provocare ed essere provocati. 

Enrico Letta al Giornale di ieri

D’altronde -e chiudo- anche il segretario del Pd Enrico Letta, forse per rimediare a quello che considero l’incidente di Berlino, dove egli è andato a farsi sponsorizzare per una minore sconfitta possibile dai socialdemocratici impegnati a denunciare il pericolo del “post-fascismo” in Italia, le ha steso in qualche modo la mano rilasciando un’intervista al Giornale della famiglia Berlusconi titolata tra virgolette, cioè con le sue parole. così: “Governa chi vince, anche se è la Meloni”. Forse una telefonata di ringraziamento sarebbe dovuta a Letta nipote da quella che pure il segretario del Nazareno ha preferito in questa campagna elettorale come la principale, se non unica antagonista.

Publicato sul Dubbio

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