Salvo improbabili sorprese, Giorgia Meloni ce l’ha dunque fatta….

La corsa ai sondaggi prima del divieto di diffonderne i risultati sino al giorno delle votazioni è stata mediaticamente vinta dalla emittente televisiva di Urbano Cairo con una rivelazione eseguita per suo conto dal telegiornale di Enrico Montana, quasi a ridosso di un’altra commissionata dal salotto di Lilli Gruber. E’ stata quindi una gara, alla fine, tutta interna a  la7. 

Il segretario del Pd Enrico Letta

Ve ne riferisco in modo molto sommario per obbligo, a questo punto, di legge. Si sono allungate le distanze fra il centrodestra e la maggiore coalizione concorrente, quella formata da Enrico Letta attorno al suo Pd. E all’interno del centrodestra fra i partiti di Giorgia Meloni e quelli  arrancanti di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi.  Il quale ultimo è ancora più a rischio di sorpasso anche da parte del cosiddetto quarto polo improvvisato da Carlo Calenda e Matteo Renzi per pescare voti appunto in quelle acque, oltre che nel bacino del Pd. Dove Enrico Letta -si sa- ha preferito lasciarsi abbandonare dai due concorrenti di centro con i quali si era già accordato piuttosto che abbandonare, a sua volta, verdi e rossi che pure non avevano mai accordato la fiducia al governo di Mario Draghi. In difesa del quale invece lo stesso Letta aveva rinunciato al cosiddetto “campo largo” con i grillini. Che alla fine avevano rotto con Draghi per diventare più competitivi a sinistra proprio col Pd, ma senza riuscire più di tanto nell’obiettivo perché l’ultimo sondaggio li dà in competizione con la Lega, piuttosto che col Nazareno lettiano. 

Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano

Questa situazione, che con minore sintesi non sono purtroppo riuscito a rappresentare, rafforza le ambizioni o aspettative di Giorgia Meloni a 15 giorni dal voto. E allarma naturalmente i suoi avversari, venuti particolarmente allo scoperto oggi sul Fatto Quotidiano con la rivelazione di un certo traffico svoltosi al Quirinale, e al massimo livello, nel mese di agosto. Si è riferito, in particolare di “due vertici segreti” fra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, con Mario Draghi messo sullo sfondo in un malizioso fotomontaggio, per preparare quel “clima unitario” post-elettorale non a caso auspicato negli ultimi giorni da Guido Crosetto. Il quale sta alla Meloni come Silvio Berlusconi si è proposto alla stessa Meloni e a Salvini: un padre rispetto ai figli. 

Chissà se tutto questo, peraltro, riuscirà alla fine a ridurre un altro rischio che incombe sul voto del 25 settembre: una sospettosa o sconcertata fuga degli elettori dalle urne, in linea con una tendenza che già a livello amministrativo ha  portato l’astensionismo allo stato consolidato di primo partito italiano. Ciò danneggerebbe ulteriormente la rappresentatività del Parlamento già compromessa da una riforma monca, che ne ha ridotto di un terzo i seggi a legge elettorale invariata -e che pasticcio di legge- e a regolamento anch’esso invariato alla Camera. 

Marzio Breda, il quirinalista del Corriere della Sera

Non per portare acqua al mulino del Fatto Quotidiano, dove i confini fra l’informazione e la partecipazione attiva alla lotta politica -diciamo così- sono quanto meno incerti, ma per una doverosa presa d’atto di cose realmente avvenute di recente, i “due vertici” al Quirinale rivelati dal giornale di Marco Travaglio spiegherebbero la dura reazione opposta da Mattarella allo “stupore”, riserve e quant’altro attribuitegli dal pur autorevole quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, sulla automaticità di un conferimento dell’incarico di presidente del Consiglio a Gorgia Meloni in caso di vittoria elettorale del centrodestra e sua personale.Quale andrebbe appunto delineandosi con gli ultimi sondaggi per la giovane leader della destra dichiaratamente conservatrice. Che sono ultimi naturalmente in senso relativo, perché di ultimo davvero ci sarà solo il verdetto delle urne.   

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Biden tirato goffamente per la giacca nella campagna elettorale italiana

Dal Dubbio
Titolo del Dubbio

Benedetta campagna elettorale -si fa molto per dire naturalmente- vicina ormai alla conclusione. Ma cominciata ben prima della sua recente apertura ufficiale, essendo stata tutta la diciottesima legislatura una campagna elettorale continua, a vari livelli, sviluppatasi per uscire progressivamente dalle maglie della vittoria a sorpresa, per quanto relativa, conseguita nel 2018 dai grillini. I quali si sono fortunatamente prestati via via a sperimentare ogni tipo di maggioranza pur di rimanere al potere. E  perdendo quindi per strada la loro identità, se mai in verità ne hanno avuta una che non fosse di semplice populismo, come si suol dire a carico anche di altri, e non a torto. “Avvocato del popolo” -ricordate?- si definì orgogliosamente Giuseppe Conte arrivando a Palazzo Chigi con i suoi vice presidenti del Consiglio Luigi Di Maio e Matteo Salvini. 

Dalla prima pagina del Foglio di ieri
Titolo del Foglio di ieri

Persino Il Foglio -e per mano del suo direttore Claudio Cerasa, non ancora rassegnato forse, come il più realistico fondatore Giuliano Ferrara, a scommettere sulla capacità degli avversari del centrodestra ormai condotto da Giorgia Meloni di fare dopo le elezioni una sana e rigenerante opposizione- si è poco elegantemente aggrappato ad un evento come la scomparsa della regina Elisabetta II per spargere nubi sulla fase dichiaratamente conservatrice che si sta davvero avvicinando in Italia. E non solo nelle chiacchiere di chi vede da tempo conservatori dappertutto, anche a sinistra: per esempio, nel Pd di Enrico Letta. Ripeto: Enrico, non lo zio forzista Gianni, col quale è capitato anche a me di recente di scambiarlo scrivendo dell’uno e pensando familiarmente all’altro. 

Claudio Cerasa sul Foglio di ieri

Sentite l’incipit dell’editoriale di ieri di Cerasa: “Parlare di mondo anglosassone, oggi, senza parlare della regina Elisabetta può apparire fuori contesto, lontano dalla realtà, ma c’è una ragione ulteriore che, in queste ore, avvicina emotivamente il mondo anglosassone all’universo italiano. E quella ragione ha a che fare con un futuro che giorno dopo giorno somiglia sempre di più al volto di Giorgia Meloni, la prossima, possibile regina della politica italiana”. 

Già confessa di tremore dei polsi a immaginarsi a Palazzo Chigi, come va dicendo nei comizi e nelle interviste, la Meloni sarà sbiancata nel sentirsi indicare persino come “regina della politica italiana”. Che avrebbe tuttavia il torto, secondo quanto si capisce dal ragionamento di Cerasa, di sentire ormai superata l’”impresentabilità”, rimproveratale dagli avversari, scambiando il “mondo anglosassone” per la sola parte britannica. Dove una regina è appena morta dopo 70 anni sul trono cominciati e finiti con un conservatore allo storico numero 10 di Dowing Street: nel 1952 con Winston Churchill e ora con Liz Truss, appena nominata al posto del collega di partito Boris Johnson dalla stessa regina con quella mano destra livida delle sue ultime cure. 

  Giorgia Meloni- conservatrice anche lei, alla testa addirittura di una omonima formazione europea- è stata quindi invitata  da Cerasa a non pensare che possano bastarle le credenziali, diciamo così, britanniche. E meno male che il direttore del Foglio non ha evocato le simpatie per i nazisti attribuite a suo tempo allo zio allora regnante di Elisabetta, Edoardo VIII, poi dimessosi per amore della divorziata americana Wallis Simpson. 

Il presidente americano Joe Biden
Cerasa dal Foglio di ieri

A Giorgia Meloni mancherebbero ancora le credenziali del mondo anglosassone d’oltre Atlantico. Dove le chiavi della presentabilità dell’ex ragazza della Garbatella però sarebbero nelle mani non più dei conservatori repubblicani ormai sputtanati -diciamo così- da Donald Trump, ma in quelle dei democratici, rappresentati alla Casa Bianca dal presidente Joe Biden. Con i quali tuttavia -ha riconosciuto Cerasa- la leader della destra italiana sarebbe già riuscita a realizzare una “sorprendente simmetria” sul terreno dell’”atlantismo, odio per il puntinismo, distanza dalla Cina, vicinanza a Taiwan”. 

Sempre Cerasa dal Foglio di ieri

Sino a quando questo processo di simmetria, diciamo così, non sarà completato, nonostante la presentabilità acquisita -ripeto- nella Gran Bretagna della scomparsa Elisabetta e forse anche del subentrato Carlo III, il partito della Meloni continuerà ad essere “per i tedeschi un cugino alla lontana dell’Afi, per i francesi un cugino alla lontana della Le Pen, per gli spagnoli un cugino non alla lontana di Vox”. 

Tutto questo, magari, sarà pure vero.  Ma dobbiamo dirci francamente che conta, o dovrebbe contare alla fine soprattutto ciò che della Meloni, del suo partito e della sua “presentabilità” pensiamo noi italiani. E su questo terreno neppure al Foglio si riesce bene a capire che cosa ne pensino davvero. In particolare, se condividono o no l’allarme per la democrazia derivante da un’affermazione della Meloni lanciato da Enrico Letta, che non per questo ha perduto il voto pubblicamente annunciato e ribadito più volte da Giuliano Ferrara in persona. 

Pubblicato sul Dubbio

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