Enrico Letta incoraggiato di nuovo a stare sereno, stavolta come segretario del Pd

Il ministro della Cultura Dario Franceschini

Enrico, stai sereno. Enrico Letta, sempre lui, come nel 2013, quando era a Palazzo Chigi e Matteo Renzi, appena arrivato alla segreteria del Pd, lo assicurava sulle finalità di un’operazione di sostanziale verifica della maggioranza appena avviata. Stavolta l’ex presidente del Consiglio è lui il segretario del Pd. E a dirgli di stare praticamente sereno è il ministro della Cultura Dario Franceschini, ormai noto nel partito non solo per la consistenza ma anche per la mobilità della sua corrente. 

Franceschini alla Stampa

Intervistato dalla Stampa, egli ha contestato che i big e i ministri del Pd non si facciano vedere in questa campagna elettorale alquanto difficile per quella ventina di punti che distanziano il centrodestra dall’unica coalizione -parola della Corte di Cassazione- che sia stata allestita per contrastare quella di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, in ordine sondaggistico, diciamo così. “Ma della Lega -ha ribattuto Franceschini- chi si vede oltre a Salvini?  E dei fratelli d’Italia chi si vede oltre alla Meloni? E’ giusto che la visibilità massima la abbia Enrico, che ha il nostro massimo impegno in campagna elettorale tutti i santi giorni”. 

Ma se, oltre a mancare l’obiettivo della vittoria sul centrodestra mancasse anche quello, che in effetti si va via allontanando, di uscire dalle urne come il segretario del partito più votato, Enrico Letta potrà stare sereno lo stesso? “Non vacillerà comunque”, ha risposto Franceschini spiegando: “Letta lo abbiamo chiamato tutti in un momento difficile per il partito. E’ venuto e lo sta guidando con efficacia, in modo collegiale. Ogni scelta, giusta o sbagliata che sia, la stiamo facendo tutti insieme. C’è stato raramente nella storia del Pd un momento di unità sostanziale come questo”.

Giusta o sbagliata anche la decisione di non perdonare a Giuseppe Conte la fiducia negata a Draghi e di escluderlo dall’alleanza dei cosiddetti progressisti? “Con i grillini -ha risposto il ministro- abbiamo avuto un problema enorme sulla caduta del governo Draghi. Abbiamo distanze sui contenuti, specie ora che stanno esasperando i toni”. “Ma loro non sono la destra di Meloni e Salvini”, ha aggiunto Franceschini di fatto aprendo alla possibilità di un recupero dell’alleanza dopo le elezioni auspicato, per esempio, nel Pd da Goffredo Bettini: l’uomo che già ai tempi del Pci aveva preso l’abitudine di sussurrare ai cavalli della scuderia. 

E’ proprio sulla strada di un simile recupero   però che dopo le elezioni il segretario del Pd potrebbe scoprire, come nel 2014 a Palazzo Chigi, il carattere molto relativo della serenità garantitagli a parole. Certo, non finirà a servire in pizzeria, come lo hanno appena ripreso in campagna elettorale con spirito solidaristico.  

Ripreso da http://www.startmag.it  e http://www.policymakermag.it

L’Italia bipolare con le ali della Cassazione. Il resto è frattaglia, al singolare

Titolo del Dubbio

Scritto, anzi certificato dalla Corte di Cassazione, in particolare dal suo “ufficio elettorale” -e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, quella vera e non di carta fondata nel 1976 dal compianto Eugenio Scalfari-  dovremmo darlo per vero, attendibile e quant’altro. 

Oltre che una Repubblica parlamentare, aspettando quella presidenziale promessaci all’ingrosso dal centrodestra, salvo decidere se ad essere eletto direttamente dal popolo dovrà essere il capo dello Stato o il capo del governo, o entrambi unificati nella stessa persona, l’Italia è un paese politicamente bipolare. Due poli e non di più, intesi come coalizioni di più partiti miranti allo stesso obiettivo, che sarebbe quello di prevalere l’uno sull’altro e governare poi il Paese.

Calenda e Renzi alla presentazione del loro terzo non polo

E tutti gli altri, non pochi, che hanno depositato simboli e liste promettendo ancora di più, magari di sfasciare poi le due coalizioni, scomporre il quadro e ricomporlo  in maniera diversa? Il povero Aldo Moro sapeva farlo come un mago con le correnti della Democrazia Cristiana nella prima, odiata Repubblica. Poi, morto lui, e anche da un bel pò, una quindicina d’anni, provvidero a  rovesciarla come un calzino i magistrati di rito ambrosiano. 

Titolo di Repubblica di oggi…non autorizzato dalla Cassazione

Niente. Gli altri sono solo dei “singoli”, sempre secondo la certificazione della Corte di Cassazione. Sono comparse alle quali è bollito un pò il cervello, come accadde nel 2018 ai grillini, che a loro volta riuscirono tuttavia a far bollire il cervello a tutta intera la diciottesima legislatura, ruotata sino al mese scorso attorno alla loro “centralità”. Ora che da soli sono riusciti a ridimensionarsi e  sembrano meno in grado di nuocere, o di disturbare la quiete del bipolarismo, tutto potrebbe scorrere più liscio. 

Sarebbe bello se fosse vero, come una volta il compianto Gaetano Scardocchia raccontò di avere sentito in aereo Giancarlo Pajetta commentare, sfogliandolo, un giornale nato con la presunzione di dettare la linea alla sinistra. Non ne faccio il nome per non infierire.

Dalla rassegna stampa del Senato

Sarebbe bello, ripeto, ma non lo è. L’Italia rimane un Paese -il più meraviglioso del mondo, per carità, come la sua Costituzione- dannatamente, intrinsecamente condannato al bipolarismo inteso come una diplopia degenerata: una visione doppia di tutto ciò che vi è capitato ed è destinato a capitare in futuro. E’ più forte di noi. In questi giorni, per esempio, di celebrazioni dei 40 anni trascorsi -quarant’anni, in lettere- dall’esecuzione mafiosa del generale dei Carabinieri e prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa e dell’ancor giovane seconda moglie, ho potuto leggere un bilancio bipolare, diciamo così, del cognato medico Paolo Setti Carraro. Che in una intervista alla Stampa si è doluto della sconfitta di uno Stato dove “si è scelto di convivere con la criminalità”. E in un’altra al Quotidiano Nazionale costituito dal Giorno, dal Resto del Carlino e dalla Nazione, in ordine geograficamente decrescente, dal nord al sud, ha potuto e voluto dire l’opposto, cioè che “la mafia non ha vinto”. 

Pubblicato sul Dubbio

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