Il capo dello Stato raggiunge la sezione elettorale di Palermo alla quale è iscritto
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato naturalmente tra i primi a votare per il rinnovo delle Camere e dell’assemblea regionale siciliana nella sua Palermo, dove è nato 81 anni fa ed ha voluto conservare la residenza anche nel secondo mandato al vertice dello Stato. Egli ha voluto chiaramente dare il buon esempio nel momento in cui si è andati alle urne nel timore di una ulteriore crescita del fenomeno dell’astensionismo a causa di una legge elettorale che certamente non incentiva la partecipazione con lo strapotere che hanno voluto conservare i partiti nella gestione delle candidature. E di una campagna elettorale nella quale si sono inseguite più paure ed emozioni che ragionamenti.
Il grafico di Repubblica sull’affluenza alle urne fra il 1958 e il 2018
I grafici pubblicati dai giornali sulla continua diminuzione dell’affluenza elettorale nei sessant’anni trascorsi fra il 1958 e il 2018 sono semplicemente impietosi. Un’ulterore discesa aggraverebbe la crisi di rappresentanza cui ha contributo nella legislatura chiusa in anticipo la riforma della composizione delle Camere, ridotte di ben oltre 300 seggi fra Montecitorio e Senato, con parti di territorio destinate a rimanere penalizzate e con le competenze invariate, e ripetitive, dei due rami del Parlamento.
Sulla carta, molto sulla carta, di cui in fondo sono fatte le schede distribuite nelle 61.500 sezioni in cui si vota per il rinnovo anticipato delle Camere, ci sono circa 6.000 candidati a 600 seggi. Ma chi riuscirà o vorrà andare alle urne entro le 23 di questa sera fra i 51 milioni circa degli aventi diritto al voto non dovrà scomodarsi a scrivere nessuno di quei nomi. Sono tutti belli che stampati sulle schede, da soli -uno nei collegi uninominali per ogni partito o polo, o a gruppi negli altri, in cui però non c’è preferenza alcuna da esprimere. Pertanto i candidati vengono eletti nell’ordine in cui i rispettivi partiti li hanno nessi in lista. Un’orgia insomma per i partiti, dei quali si capisce bene l’interesse che tutti -proprio tutti, nessuno escluso, a cominciare da quelli che più hanno alzato la voce per protestare- non hanno avuto a cambiare questa maledetta legge elettorale. L’unica cosa che essi sono stati capaci di fare è stata quella di diminuire di un terzo i seggi parlamentari. Ma si vedrà fra poco -statemi a sentire- con quali altri effetti negativi essendosi nel frattempo dimenticati i partiti di aggiornare il regolamento della Camera, per garantirne il funzionamento nella nuova dimensione. O di modificare la Costituzione per aggiornare le maggioranze qualificate con le quali oggi vengono elette, per esempio, le cariche di cosiddetta garanzia: dai giudici costituzionali ai consiglieri superiori della magistratura e al presidente della Repubblica. Alla cui elezione, in particolare, continueranno a concorrere la cinquantina di delegati regionali stabiliti dalla Costituzione per un Parlamento di 635 fra senatori e deputati, non 400.
Sì, lo so. Il centrodestra che ha viaggiato in campagna elettorale col vento in poppa ha già prenotato la riforma per fare eleggere direttamente il presidente della Repubblica dal popolo. Ma non sarà una passeggiata. Vedrete anche questo, tanto più che anche all’interno del centrodestra e dintorni c’è la tentazione di fare eleggere alla fine direttamente dal popolo non il capo dello Stato ma il presidente del Consiglio dei Ministri: il cosiddetto sindaco d’Italia. Che non sarebbe certamente la stessa cosa.
La vignetta di Sergio Stajno sulla Stampa
La vignetta di Altan su Repubblica
Allo stato delle cose, con tutti i numeri che ho dato all’inizio, cui vanno aggiunti 180 mila scrutatori, la maggiore incertezza riguarda la percentuale finale degli astenuti. o di chi non avrà neppure saputo per chi astenersi, come ha scritto Francesco Tullio Altan nella sua dissacrante vignetta sulla prima pagina di Repubblica. Tutto, ma proprio tutto, e da tutti, è stato fatto -diciamo anche questo- per allontanare gli elettori dalle urne, sulla cui diserzione sentiremo naturalmente versare domani le solite lacrime di coccodrillo. Le prime sono giù arrivate stamane sul Fatto Quotidiano, dove non sono bastati i segni di una “rimonta” di Giuseppe Conte al Sud per addolcire la vittoria festeggiata dal centrodestra nei comizi di chiusura. “Addormentarsi -ha scritto leopardianamente Marco Travaglio nel suo editoriale- pensando che è fico astenersi perché tanto sono tutti uguali e, al risveglio, scoprire che era molto meglio se vincevano i diversi”.
Dall’interno del Fatto Quotidiano
Dall’editoriale del Fatto Quotidiano
Ma il secondo pensiero di Travaglio prima di addormentarsi è andato all’uomo che sembra avere preso il posto dell’odiato Silvio Berlusconi negli incubi notturni: il presidente del Consiglio uscente, ma non ancora uscito. “Addormentarsi pensando che Draghi in America è lo statista dell’anno e, al risveglio, scoprire che è lo stagista”, ha scritto. Ma, distratto dalla sua ossessione, ripeto, è sfuggito all’attenzione del direttore del Fatto Quotidiano un articolo non di congetture ma di cronaca sistemato all’interno con questo titolo: “Dossier e scadenze: il ruolo di Draghi nel cambio a Chigi”. Non proprio da “stagista” con le nuove forniture urgenti d’armi all’Ucraina, ma soprattutto con la preparazione della nuova legge di bilancio da presentare il 20 ottobre, prima che materialmente possa essere nato un nuovo governo.