Di Sergio Lepri, l’ex direttore primatista- in tutto- dell’Ansa spentosi a 102 anni, voglio solo scrivere che, pur non avendo mai lavorato con lui, ne avevo una paura terribile: quella di procurarmi la sua disapprovazione, tanto lo stimavo come giornalista e come lettore. E’ una paura che mi venne quando egli stesso ebbe la cortesia di dirmi che aveva l’abitudine di seguirmi.
Ora che non c’è più, non mi sento più libero da quella paura. Mi sento piuttosto più debole, più esposto all’errore. Addio, direttore.
E’ nemesi storica, ormai, anche per Silvio Berlusconi, non solo per Beppe Grillo alle prese con i magistrati di Milano che lo accusano di traffico d’influenze, come un qualsiasi e volgare tangentista di una trentina d’anni fa colto più o meno con le mani nel sacco del finanziamento illegale dei partiti. Che era allora il reato attraverso il quale le Procure cercavano di arrivare alle accuse ancora più gravi di corruzione, concussione e altro.
L’editoriale del Giornale
L’editoriale di Libero
Ora Berlusconi, con le esitazioni sulla strada della rinuncia alla corsa al Quirinale, che danno ormai per scontata gli insospettabili Augusto Minzolini sul Giornale di famiglia e Alessandro Sallusti su Libero, il primo garantendo che l’ex presidente del Consiglio non perde di vista “l’interesse del Paese” e il secondo che “”non è un kamikaze”, sta alimentando quello che una volta definiva sprezzantemente “il teatrino della politica”. In cui ognuno sceglie la parte che preferisce cambiandola quando non gli piace o non gli conviene più.
Dalla prima pagina del Corriere della Sera
Sulla prima pagina del Corriere della Sera Francesco Verderami riferendo di ciò che dicono “le personalità più vicine” al Cavaliere, dallo stesso giornalista frequentate e intervistate con una certa amichevole abitudine, gli ha attribuito come “parole d’ordine”, pur in questa vigilia di resa, le parole “resistere, resistere, resistere”. Sono paradossalmente le stesse usate contro Berlusconi tanti anni fa dal Procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano ed ex capo della Procura di primo grado Francesco Saverio Borrelli.
Mattia Feltri sulla Stampa
Ma resistere, nel caso di Berlusconi di questi giorni o di queste ore, mentre scrivo, contro chi? Paradossalmente anche contro i suoi alleati di centrodestra. Che, insofferenti nell’attesa della sua rinuncia, incontrano in pubblico e in privato gli esponenti più diversi degli altri schieramenti ed elaborano piani quirinalizi che coprono ormai l’intero alfabeto, dalla A alla Z, come ha descritto nel modo al solito imperdibile Mattia Feltri sulla Stampa.
Titolo del Foglio
Titolo di Domani
Mentre crescono, secondo i casi, l’attivismo e la rassegnazione alla candidatura di Mario Draghi al Quirinale, come raccontano rispettivamente con i loro titoli Il Foglio e Domani, ai giornali d’area del centrodestra o comunque simpatizzanti del Cavaliere rimane la ben magra soddisfazione, secondo me, di unirsi al solito Marco Travaglio dell’altrettanto solito Fatto Quotidiano nella rappresentazione peggiore possibile del presidente del Consiglio in carica. Che pure, stando alle ultime notizie raccolte e raccontate da Vittorio Sgarbi, anche Berlusconi sarebbe ora tentato di preferire a tutte le altre soluzioni, compreso il cosiddetto Mattarella bis attribuitogli dallo stesso Sgarbi qualche giorno fa parlandone alla Stampa.
Titolo di Libero
Angelo Panebianco su Corriere della Sera
“Draghi prepara la grande fuga dal governo”, ha titolato Libero su sfondo azzurro un pò scuro, sbertucciando nelle cronache le trattative più o meno in corso dietro le quinte su chi dovrà sostituirlo a Palazzo Chigi e con quali nuovi ministri politici al posto di qualcuno almeno dei tecnici nominati l’anno scorso. Eppure è difficile dare torto ad Angelo Panebianco, che nell’editoriale odierno del Corriere della Sera si è chiesto “perché alcuni auspicano e altri (a occhio, molti di più) che, una volta eletto il presidente della Repubblica, il governo Draghi lasci il posto -con o senza elezioni anticipate- a un altro governo questa volta totalmente controllato dai partiti?”. “All’apparenza -ha insistito impietosamente il professore- non ci sarebbe niente di male: non è forse la regola in democrazia?”. In realtà, siamo sempre alle prese col teatrino della politica una volta lamentato da Berlusconi, prima che, intabarrato in quello strano cappotto scuro di dimensioni da nomenclatura una volta sovietica, vi partecipasse pure lui anche per il resto, e non solo per la corsa al Quirinale.
La nemesi generalmente vista e indicata nelle indagini dei magistrati di Milano a carico di Beppe Grillo per traffico d’influenze -che evoca niente e tutto, anche nuove versioni o edizioni della vecchia Tangentopoli fatta esplodere proprio a Milano trent’anni fa- é diventata “storica” nel commento del direttore Augusto Minzolini sul Giornale considerando la coincidenza col ventiduesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Alla demonizzazione della cui immagine, già negli anni della sua maggiore forza politica, Grillo in effetti contribuì da comico con sparate e insinuazioni delle sue.
Furono i segni premonitori di quella dannazione della politica che si sarebbe poi sviluppata nel giustizialismo, nella fine della cosiddetta prima Repubblica e in quell’infatuazione -diciamo la verità- che rese possibile molti anni dopo, nella cosiddetta seconda Repubblica, la trasfigurazione dello stesso Grillo nel vendicatore di tutte le nefandezze, nel rigeneratore della politica e nel protagonista di una mezza rivoluzione: mezza, solo perché il successo elettorale dei pentastellati nel 2018 non fu completo.
Il movimento grillino per governare dovette rassegnarsi a “sporcarsi le mani”, diciamo così, con gli altri partiti, quasi tutti nell’arco di pochissimi anni, acquisendone i vizi peggiori, come martedì sera, ospite di Giovanni Floris in televisione, diceva sconsolato l’ormai fuoriuscito Alessandro Di Battista con l’aria dell’eroe o dell’angelo tradito.
Non si è ancora arrivati, nel processo di evoluzione o di contaminazione di ciò che resta dei grillini, nei sondaggi nazionali e nelle amministrazioni locali, alle scuse tipo quelle formulate pubblicamente dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio dopo l’assoluzione di un sindaco del Pd che egli aveva personalmente attaccato in piazza sollecitandone dimissioni e quant’altro. Ma chissà, non è detto che non vi si giunga, prima o poi, fra la disperazione del già ricordato Di Battista.
Intanto da buon garantista, spingendomi dove stavolta penso che non si sentirà di arrivare neppure Silvio Berlusconi nella sua ostinata ma declinante corsa al Quirinale, e nella conseguente ricerca di consensi fra tanti parlamentari sciolti e sbandati, auguro a Grillo di uscire dalle sue disavventure giudiziarie meglio del mio compianto amico Bettino Craxi. Di cui ho sentito l’altra sera, riproposta dall’omonima Fondazione, la lunga e toccante intervista televisiva del 25 ottobre 1996 alla televisione tedesca di Stato, conclusasi in lacrime, contro la “falsa rivoluzione” di Mani pulite e dintorni.
Auguro davvero a Grillo di riuscire a difendere la semisecolare amicizia -dicono i suoi sostenitori- col generoso armatore Vincenzo Onorato dalle accuse e dai sospetti che ad essa avrebbe sacrificato il ruolo di rivoluzionario e moralizzatore assunto in piazza mandando a “fanculo” nel 2009 tutti i partiti. Ma ciò dopo avere inutilmente tentato di iscriversi al Pd e di scalarne il vertice appena lasciato da Walter Veltroni.