Il piccolo compromesso di Villa Grande: candidatura frenata di Berlusconi al Colle

Titolo del Foglio

Dalla Villa Grande, con tutte le maiuscole volute dal proprietario, è uscito un piccolo e paradossale compromesso sulla candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale. Finalmente ufficializzata dal centrodestra, come se Matteo Salvini e Giorgia Meloni fossero stanchi di essere sospettati di non volerla, o di non volerla con la necessaria convinzione, essa è stata frenata dallo stesso Berlusconi con una riserva che conferma da sola i perduranti sospetti del Cavaliere. Che deve continuare a fare i conti col suo stesso schieramento, e non solo con gli avversari politici che hanno replicato alla sua candidatura pur frenata definendola “irricevibile”. 

Questa edizione della corsa al Quirinale continua ad essere la più anomala di tutte, a parte quella del 1992, irripetibile -spero-per la drammaticità della strage di Capaci, che interruppe la ricerca di una soluzione ordinaria della successione a Francesco Cossiga e restrinse la partita ad una scelta di emergenza istituzionale, più emotiva che politica, fra i presidenti delle Camere. La spuntò il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, preferito peraltro più dai socialisti e dai comunisti, per non parlare di Marco Pannella, che dal proprio partito ancora scioccato dal naufragio della candidatura del suo segretario Arnaldo Forlani. I socialisti preferirono il presidente della Camera per la fiducia personale a torto riposta in lui da Bettino Craxi in persona, che se ne sarebbe poi pentito scrivendogli lettere senza risposta contro la demolizione giudiziaria della cosiddetta prima Repubblica e sua personale. I comunisti, o post-comunisti come già volevano essere chiamati dopo la caduta del muro di Berlino, lo preferirono per il posto che l’elezione di Scalfaro liberava a Montecitorio, a vantaggio del loro Giorgio Napolitano.

Le possibilità che Berlusconi ha di essere eletto anche dopo la ufficializzazione della sua pur frenata candidatura non dipendono dalla capacità negoziale del centrodestra ora a trazione salviniana per ridurre l’area pubblica ed estesa del no -dal Pd ai 5 Stelle- ma dalle capacità personali dello stesso Berlusconi di conquistare consensi nell’area indefinita degli amici delusi o perduti, degli indecisi e dei dissidenti dei partiti e gruppi dichiaratamente contrari, nel marasma che è diventato il Parlamento dei 250 e più, fra deputati e senatori, che hanno cambiato casacca, bandiera e quant’altro nei quasi quattro anni trascorsi dalle elezioni del 2018. Un Parlamento, peraltro, reso ancora più precario di quanto non lo sia per la prossimità della scadenza a causa di un radicale taglio di seggi che lo ha trasformato in una tonnara. Dove deputati e senatori destinati a non tornare vogliono votare solo per un presidente che lasci le Camere durare sino all’ultimo secondo del loro mandato quinquennale. 

Mario Draghi

Ne ha quindi di lavoro da svolgere sotto traccia Berlusconi nella settimana di tempo che i leader e leaderini del centrodestra si sono dati per ritrovarsi e cercare di fare i conti meglio o meno approssimativamente di ieri: una settimana nella quale quello che è diventato il maggiore concorrente del Cavaliere, cioè il presidente del Consiglio Mario Draghi, non se ne starà sicuramente con le mani in mano, convinto com’è -e giustamente- di avere ancora molte carte a suo favore, salvo ripensamenti di Sergio Mattarella. Che però proprio ieri ha voluto accomiatarsi dai quirinalisti che lo hanno seguito nei quasi sette anni trascorsi dal suo insediamento, quasi per ribadire la indisponibilità ad una conferma su cui invece sono ancora in tanti a sperare, se non a scommettere. “Sarebbe il massimo”, ha detto di recente alla televisione, non in privato a qualcuno, il segretario del Pd Enrico Letta. 

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Frattini presidente del Consiglio di Stato ma forse già riserva della Repubblica

Titolo del Dubbio

Curioso destino potrebbe essere quello di Franco Frattini riserva della Repubblica sul piano istituzionale e politico per pochi giorni e poche ore dopo l’elezione, peraltro all’unanimità, a presidente del Consiglio di Stato. E ciò mentre nella villa romana di Silvio Berlusconi, suo ex presidente del Consiglio, maturava la candidatura ormai ufficiale dello stesso Berlusconi alla Presidenza della Repubblica, dopo mesi di paradossale clandestinità o incertezza assai apparente.

          Se, nonostante le telefonate condotte da solo o in tandem col suo amico Vittorio Sgarbi, peraltro convertitotsi -sempre al telefono- in un minuto dallo scetticismo o dalla contrarietà al ruolo di sponsorizzatore, Berlusconi non dovesse farcela per un misto combinato di franchi tiratori e assenti da Covid, Frattini potrebbe diventare la cosiddetta soluzione B della corsa del centrodestra al Quirinale. 

         Defilatosi in tempo dalla politica negli anni scorsi per tornare alle funzioni di magistrato amministrativo, egli potrebbe ben essere considerato anche dai nemici irriducibili di Berlusconi come l’esponente meno divisivo dell’area politica del centrodestra. Meno divisivo anche dell’ex presidente del Senato Marcello Pera, appartatosi sì ma permettendosi il gusto, la licenza e quant’altro di sfotticchiare, diciamo così, il Cavaliere e di dare consigli, compiaciuto dell’eco da essi prodotta, a un Matteo Salvini in grande competizione, per quanto amichevole, con lo stesso Cavaliere per una leadership effettiva, non onoraria, del centrodestra. 

        Politicamente, nonostante un tentativo fallito dal manifesto di attribuirgli simpatie adolescenziali per la sinistra extraparlamentare, Frattini nasce socialista, segretario -fra l’altro- della federazione giovanile del Psi. Claudio Martelli -che era di grandi pretese nella scelta dei suoi consiglieri e collaboratori nell’azione di governo, tanto da portarsi al Ministero della Giustizia Giovanni Falcone, pur completando una pratica avviata, in verità, dal predecessore e compagno di partito Giuliano Vassalli –  si fece affiancare proprio da Frattini come consigliere giuridico nel ruolo di vice presidente del Consiglio con Giulio Andreotti a Palazzo Chigi. 

       Quando la cosiddetta prima Repubblica cadde per mano giudiziaria, pur indebolita certamente da pratiche di potere che potevano essere più accorte, e meno basate sulla convinzione che così facevano tutti, per cui nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di liquidare un intero sistema politico come un’associazione a delinquere; quando, dicevo, la cosiddetta prima Repubblica cadde per mano giudiziaria e Berlusconi decise di allestire una specie di arca di Noè per i resti dei partiti di maggioranza, fu naturale che Frattini vi saltasse dentro. Altrettanto naturale fu che Berlusconi non se lo lasciasse scappare nella selezione che dovette fare della classe dirigente e di governo a tappe forzate, nella pianura dove il segretario del Pds-ex Pci Achille Occhetto si era vantato di avere allestito una “gioiosa macchina da guerra” con la quale sgominare gli avversari. 

Berlusconi e Frattini al governo

          Sottovalutalo all’inizio con la destinazione prima alla segreteria generale di Palazzo Chigi con lo stesso Berlusconi e poi come ministro della funzione pubblica  con Lamberto Dini -ma, non ditelo per favore, a Renato Brunetta, che con questo incarico ha fatto la sua fortuna politica più che come economista da potenziale premio Nobel- il Cavaliere corresse presto il tiro. E portò Frattini al vertice della diplomazia come ministro degli Esteri, dopo averlo mandato a rappresentare l’Italia nella Commissione Europea. 

             Per un certo tempo Frattini è stato in corsa, e con buone carte da giocare, anche per la segreteria generale dell’Alleanza Atlantica, forte del credito guadagnatosi sul piano internazionale negli anni della partecipazione italiana alla guerra in Irak. 

       Se solo lo avesse voluto, egli avrebbe potuto fare anche una grande carriera partitica in Forza Italia, dove sembra che Berlusconi fosse stato a suo tempo tentato di preferirlo ad Angelino Alfano come delfino, salvo poi scoprire che gli mancasse -ricordate?- un certo quid. Ma Frattini non ci cascò, per sua fortuna, e col sollievo di tanti che nell’entourage del Cavaliere capirono che l’uomo non si sarebbe lasciato facilmente mettere poi da parte. 

           Le circostanze forse diaboliche hanno voluto che toccasse ad un uomo di questo spessore culturale, giuridico e anche caratteriale raggiungere il vertice del Consiglio di Stato mentre si gioca l’edizione forse più difficile e imprevedibile della corsa al Quirinale: quella su cui Berlusconi ha deciso di puntare tutto  per ragioni non foss’altro anagrafiche, alla bella età di 85 anni compiuti. Frattini potrebbe diventare la sua carta di riserva per le distanze che le circostanze -sempre loro- hanno consentito di porre fra lui e la politica. Non è mai accaduto che un presidente del Consiglio salisse al Quirinale da presidente della Repubblica, si dice di Draghi in questi giorni anche dalle parti di Berlusconi. Non è mai accaduto che vi salisse neppure un presidente del Consiglio di Stato: organo da cui di solito si è pescato abbondantemente e sempre solo per cariche amministrative di capo di Gabinetto di Ministri e simili. Ma una prima volta, si sa, prima o dopo, può arrivare per tutto.

Pubblicato sul Dubbio

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