Battuta clamorosamente la presidente del Senato nella corsa al Quirinale

Cercata o subita che sia stata per il malumore crescente nella coalizione di centrodestra, di cui è formalmente il capo dopo il sorpasso elettorale eseguito nel 2018 su Forza Italia, la prova di forza gestita da Matteo Salvini nella quinta votazione per la successione a Sergio Mattarella si è risolta in un clamoroso infortunio. La candidatura della pur presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, seconda carica dello Stato, in procinto di sostituire temporaneamente il presidente della Repubblica se non dovesse essere eletto il successore entro il 3 febbraio, è stata bocciata con 382 voti, contro i 505 necessari e i circa 430 a disposizione del centrodestra sulla carta. 

Che le cose stessero mettendosi male per lei la presidente del Senato non è riuscita a nasconderlo chattando col telefonino mentre procedeva lo scrutinio e il presidente della Camera Roberto Fico le passava le schede da consegnare ai parlamentari e funzionari di Montecitorio addetti alle operazioni di conteggio. 

Si sono subito levate dall’interno della stessa coalizione dichiarazioni di certificazione della “fine” del centrodestra, come ha detto l’ex forzista Osvaldo Napoli. 

La Casellati -ma questo lo sapevamo Salvini e tutti gli altri leader e leaderini del centrodestra- non ha potuto contare neppure sull’aiuto sotterraneo di qualche dissidente del centrosinistra e dintorni perché in 406 da quella parte hanno obbedito all’ordine di astenersi. Cioè di non ritirare la scheda, come del resto avevano fatto anche i “grandi elettori” dello stesso centrodestra nella precedente votazione, ieri: quella dell’esplosione della candidatura di Mattarella, votato da 166 fra deputati, senatori e delegati regionali. Che nella quinta votazione, e prima di questo venerdì 28 gennaio, sono scesi a 46 proprio per il disarmo imposto nel campo del centrosinistra con la procedura dell’astensione. Ma nella sesta votazione sono stati addirittura 336, nonostante le voci nel frattempo diffusesi su trattative in corso fra Enrico Letta, Giuseppe Conte e Matteo Salvini su una candidatura femminile da proporre già domani.

E’ curioso, quanto meno, che la presidente del Senato si sia prestata a questa prova di forza, o sfida, come preferite, anche a costo di indebolire inevitabilmente la sua posizione istituzionale, per quanto anche la legislatura sia ormai agli sgoccioli. Al massimo le rimane poco più di un anno, che il governo di Mario Draghi -o di chiunque altro dovesse sostituirlo a Palazzo Chigi se egli fosse eletto al Quirinale- dovrà affrontare con tutte le difficoltà di una lunghissima campagna elettorale. 

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I giornali seguono la corsa al Quirinale con una certa distrazione…

Non è, o almeno non vuole essere un processo ai giornali, non fosse’altro per carità di mestiere. E’ solo un elenco dei titoli di prima pagina dei quotidiani sull’esito della quarta votazione per l’elezione del Capo dello Stato e, più in generale, sulle prospettive della corsa al Quirinale: un  elenco che vi propongo sfogliando la benemerita e tempestiva rassegna stampa del Senato.

Titolo del Corriere della Sera

Il Corriere della Sera ha titolato sulla “carta Casellati” da giocare non si sa ancora, mentre scrivo, in quale votazione, senza una parola -dico una- sui 166 voti presi da Sergio Mattarella nel quarto scrutinio, dopo i 16 del primo, i 39 del secondo e i 125 del terzo. 

Titolo di Repubblica

La Repubblica ha preferito proporre ai lettori l’immagine del Colle dei veti incrociati”, col Mattarella relegato in fondo al sommario, pur con la riconosciuta “crescita” dell’ipotesi di un suo bis. Una notizia tutto sommato minore, sembra di capire.

Titolo della Stampa
Titolo di apertura della Stampa

La Stampa ha dedicato invece in prima pagina  al Mattarella bis il richiamo di un articolo del quirinalista Ugo Magri, ma il titolo di apertura è andato alla rappresentazione evidentemente più allettante e vendibile, in termini di copie all’edicola, del “tutti contro tutti”.Titolo

Titolo del Messaggero
Titolo del Mattino

Il Messaggero ha annunciato “trattative ad oltranza”, senza una parola su Mattarella. Il cugino Mattino, dello stesso editore, si è spinto più avanti anticipando “la volata”, ma di Mattarella e dei suoi 166 voti, a dispetto del trasloco già in corso, niente. 

Anche il Fatto Quotidiano, pur provenendo buona parte di quei voti dai parlamentari pentastellati che lo leggono più di ogni altro giornale, ha preferito sorvolare e prendersela con la condotta obiettivamente molto, troppo mobile di Matteo Salvini, tornato ai tempi del Papeete.

Vignetta di Libero

Il Giornale della famiglia Berlusconi ha proposto ai lettori “la frittata Quirinale”, com’è ormai diventata la corsa dopo il ritiro dello stesso Berlusconi. Ed ha relegato nel sommario “l’invocazione” a Mattarella, di cui pure si è accorto, da parte di un crescente numero di cosiddetti grandi elettori. Il collaterale -d’area politica- Libero ha deriso quell’invocazione con una vignetta su Mattarella alle prese con i bagagli e ha proposto come scena principale l’ipotesi di un duello in arrivo fra la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati e il senatore, ma già presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini.

Titolo del Foglio

Il Foglio, sempre sostenitore di Mario Draghi al Quirinale, ha cercato in un titolo di convincere quel testone di Matteo Salvini che l’elezione del presidente del Consiglio converrebbe anche a lui. Potrebbe diventarne addirittura il regista se solo volesse uscire “vincente” dal torneo che rischia invece di diventare per lui una palude.

La Verità di Maurizio Belpietro ha sparato contro “il caos” e ha opposto ai 166 voti presi da Mattarella, senza però citarli, la notizia di “un’altra inchiesta” sul fratello Antonino.

Il Secolo XIX se l’è presa con la vittoria “solo delle liti”. Per Avvenire, il giornale dei vescovi, “si gira a vuoto” anche con “i voti a Mattarella”, peraltro non quantificati. 

Titolo della Nazione

Titolo della Nazione

La Nazione e gli altri giornali del gruppo Riffeser Monti hanno esortato genericamente il Parlamento a “fare presto” perché “il Paese ha altri problemi” e non si diverte a vedere “infilzato un candidato all’ora”, secondo il titolo del Tempo, o ad assistere allo “stallo” lamentato dal Quotidiano del Sud.

Titolo di Domani
Titolo del Riformista

Solo su Domani e sul Riformista si trovano titoli di un certo riguardo, diciamo così, per Mattarella e il credito che gli danno i grandi elettori. Gran parte dei giornali, quindi, ha mostrato di soffrire di torcicollo, per parafrasare il felice titolo col quale, al solito, il manifesto ha rappresentato la vicenda quirinalizia in corso, pur pensando forse ai colli più dei partiti che dei quotidiani.  

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Il Parlamento “boicotta” il trasloco di Mattarella dal Quirinale

Titolo del Dubbio

Dopo quattro scrutini infruttuosi sul presidente della Repubblica, compreso quindi quello più atteso – l’ultimo- per i 505 voti necessari all’elezione con la maggioranza assoluta, anzichè i 672 della maggioranza dei due terzi richiesti per i primi tre, la gara politica fra i partiti e i rispettivi gruppi parlamentari, presi singolarmente o come coalizioni, si è rovesciata. La cosa da capire adesso non è chi controlla di più la propria parte, e in un certo verso, la situazione complessiva ma chi la controlla di meno. Ed è quindi l’interlocutore più inaffidabile nella girandola degli incontri e altri tipi di contatti che si inseguono alla ricerca di un accordo da sottoporre poi alla verifica dei cosiddetti grandi elettori, cioè dei deputati, senatori e delegati regionali dai quali dipende l’elezione del capo dello Stato, al netto naturalmente dei franchi tiratori. Che hanno sempre avuto nelle corse al Quirinale la penultima parola, prima di risultare irrilevanti grazie all’ampiezza degli accordi fra i partiti o alla stanchezza persino fisica o ambientale dei dissidenti.

Con Giuseppe Saragat nel 1964 e con Giovanni Leone sette anni dopo, nel 1971, più che all’uno e all’altro i franchi tiratori si arresero, rispettivamente, alle feste di Capodanno e di Natale. Il cui rispetto era reclamato dai familiari più che la disciplina dai partiti di appartenenza. Ma va detto anche che Saragat al quarto scrutinio su di lui, ventunesimo dell’intera sessione, si era garantita una specie di polizza di assicurazione trattando l’appoggio dei comunisti, al di là quindi della maggioranza di centrosinistra con cui era sceso in campo. 

Giuseppe Conte

In questa edizione della corsa al Quirinale il “premio” della inaffidabilità, intesa come incapacità di controllare il proprio campo, se l’è spontaneamente aggiudicato il presidente del MoVimento  ancora maggioritario 5 Stelle Giuseppe Conte, peraltro neppure parlamentare né delegato regionale. Egli ha fatto comunicare dal portavoce durante lo scrutinio di ieri il carattere non vincolante della pratica della scheda bianca adottata a parole lunedì scorso e via via confermata nei giorni successivi. 

E’ stato un annuncio,, quello della libertà di coscienza lasciata ai grandi elettori pentastellati, pateticamente tardivo essendosela gli interessati giù presa abbondantemente. Essi hanno contribuito in buona parte ai 16 voti andati a Mattarella nel primo scrutinio, diventati 39 nel secondo e 125 nel terzo. Nel quarto sono saliti ulteriormente a 166, a dispetto delle notizie, foto e riprese televisive diffuse o promosse dal Quirinale per dimostrare il trasloco nel quale è già impegnato il presidente uscente della Repubblica, fra scatole e altri imballaggi spediti anche dalla sua casa di Palermo all’appartamento di Roma preso in affitto a poca distanza dagli alloggi dei figli. Segno che Mattarella rimarrà indisponibile ad una conferma, anche a costo di contribuire di fatto all’indebolimento del governo derivante dagli ostacoli frapposti da varie direzioni ad una elezione di Mario Draghi a capo dello Stato? Vedremo. 

Pubblicato sul Dubbio

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