Lo strano, stranissimo assalto alla diligenza di Mario Draghi sulla strada del Quirinale

Titolo del Fatto Quotidiano
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano

A leggere i giornali, o i giornaloni, come li chiama Marco Travaglio accusandoli di essere impegnati a sostenerne la corsa o la volata al Quirinale, Mario Draghi sarebbe entrato personalmente in trattative con partiti e simili per soddisfare le sue più o memo “sfrenate” ambizioni presidenziali. Che, sempre a leggere Travaglio, trasformerebbero la Repubblica in una Monarchia, riportando indietro l’Italia di 76 anni senza i Savoia ma con l’ex presidente della Banca Centrale Europea “affossatore della Patria”. 

Titolo del Foglio
Titolo del Giornale

La cosa curiosa è che a questa rappresentazione del presidente del Consiglio hanno contribuito, tra titoli, vignette e quant’altro, giornali che pure passano per sostenitori convinti della sua corsa al Colle, come Il Foglio e Domani, accomunati nel racconto appunto delle sue “trattative” con frenetiche udienze, consultazioni telefoniche e missioni più o meno segrete affidate a persone di fiducia. Tutte cose che forse non gli serviranno perché tardive, a leggere la Verità. Per quanto si sia già “sporcate le mani”, come ha titolato su tutta la prima pagina Il Giornale della famiglia Berlusconi, come un supplemento qualsiasi del Fatto Quotidiano, il presidente del Consiglio non avrebbe più possibilità di riuscita, per cui farebbe bene a seguire l’esempio dello stesso Berlusconi e rinunciare, almeno per cercare di salvare il suo governo. 

Dalla prima pagina della Stampa di ieri

C’è chi addirittura potrebbe vantarsi o vergognarsi, secondo le preferenze, di questo attivismo di Draghi per averlo sollecitato, come Alessandro De Angelis sulla Stampa di ieri, limitandosi tuttavia a suggerirgli l’uso del telefono, e non di più, per rimediare a scortesie magari involontarie. Come quelle che Draghi avrebbe fatto a Berlusconi non ringraziandolo dell’aiuto ricevuto in tutta la sua carriera o scegliendo l’anno scorso i ministri fornisti di testa sua, senza chiedere l’assenso, o addirittura negando la nomina alla quale più teneva l’uomo di Arcore. Di cui si è detto e scritto, in effetti, che volesse premiare, in particolare, il suo attuale vice, coordinatore e non so cos’altro Antonio Tajani. Che il povero Draghi invece lasciò fuori dal governo promuovendolo alla figura di leader, come tale destinato a rimanere in panchina al pari di Matteo Salvini. 

Il voto di Salvini a Montecitorio

Peccato che nessuno, proprio nessuno abbia avvertito lo scrupolo di controllare notizie, voci e quant’altro. Avrebbe potuto scoprire, per esempio, che Draghi di sua iniziativa non ha visto o chiamato nessuno, essendosi limitato a vedere e sentire chi gli aveva chiesto udienza, diciamo così, a cominciare da Salvini. Il cui incontro col presidente del Consiglio ha fatto più rumore di tutti, tanto da allarmare o insospettire -si è scritto- lo stretto giro di Berlusconi, fermo alla disposizione del capo di non importunare Draghi in alcun modo per fargli continuare a svolgere in tutta tranquillità il suo lavoro a Palazzo Chigi sino all’esaurimento auguralmente ordinario della legislatura, nel 2023. 

Cabine e urne per le elezioni presidenziali

E un pò deve essersi in effetti sentito importunare Draghi quando Salvini, uscito poi visibilmente nervoso dall’incontro, ha cercato di parlare con lui della composizione di un nuovo governo dopo l’elezione del presidente della Repubblica, non escludendo evidentemente il suo arrivo al Quirinale. Al che Draghi -che non sarà un politico di professione o di casta, come direbbero i grillini di vecchia maniera, ma la Costituzione la conosce bene- ha risposto dicendo che di un nuovo governo, della sua composizione e di tutto il resto dovranno occuparsi i partiti negoziando fra di loro e il presidente della Repubblica che succederà a Sergio Mattarella. Salvo sorprese, aggiungerei, visto che a volere la conferma  del presidente uscente non sono soltanto i sedici, fra parlamentari e delegati regionali, che hanno cominciato a votarlo nel primo scrutinio, sommerso di schede bianche.   

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il centrodestra improbabile derivato dalle scelte di Berlusconi

Titolo del Dubbio

Ricorrere all’immagine di Sansone che muore con tutti i filistei per commentare la rinuncia di Silvio Berlusconi alla corsa al Quirinale sarebbe francamente eccessivo, oltre che irriguardoso verso l’uomo che si vantava negli anni delle sue migliori fortune politiche di sapersi fare concavo e convesso secondo le opportunità e necessità del momento. E che magari ritiene di essere rimasto fedele a questa rappresentazione ritrandosi dalla gara non per l’incertezza dei numeri ma per risparmiare al Paese un passaggio troppo divisivo, secondo il linguaggio degli avversari.

Tuttavia, se davvero l’ex presidente del Consiglio lo ha fatto per questo, si lasci dire molto amichevolmente che avrebbe dovuto sciogliere la cosiddetta riserva un pò prima, visti i guasti prodotti dal ritardo ai rapporti fra i partiti e nella stessa maggioranza di governo ch’egli vorrebbe preservare dal rischio di un cambiamento al suo vertice.

Ciò che forse ha sorpreso di più della rinuncia di Berlusconi è il colpo inferto, volente o nolente, al centrodestra proprio da lui inventato e portato alla vittoria elettorale nell’ormai lontano 1994. Dopo averne ridotto o comunque cambiato un pò la natura negli ultimi tempi con quel trattino messo fra il centro e la destra ogni volta che ne scriveva, come per prendere sempre di più le distanze dagli alleati che lo hanno sorpassato elettoralmente, Berlusconi ha messo ai piedi della coalizione un peso che la rende improbabile, incapace forse di galleggiare nelle trattative con gli altri partiti per una conclusione necessariamente concordata della corsa al Quirinale ormai giunta alle votazioni.

Questo peso è costituito dal contrasto, subito contestato all’interno dello stesso centrodestra da Giorgia Meloni, alla candidatura di Mario Draghi prenotata dall’interessato presentandosi nella conferenza stampa del 22 dicembre come “nonno a disposizione delle istituzioni”. Una candidatura -mi permetto di sospettare- forse verificata dal missionario di fiducia del Cavaliere, Gianni Letta, nella ormai nota visita a Palazzo Chigi compiuta prima di recarsi ad un vertice del centrodestra che si accingeva a formalizzare quella di Berlusconi, pur con la riserva ora sciolta negativamente. 

Mario Draghi

Draghi, l’amico Draghi, che un po’ gli deve sia il Governatorato della Banca d’Italia, sia la successiva presidenza della Banca Centrale Europea, sia Palazzo Chigi per l’aiuto prestatogli con i ministri e i sottosegretari di Forza Italia, sarebbe condannato dalla sua stessa bravura, dal credito internazionale di cui gode e dalle perduranti emergenze del Paese a rimanere dov’è, ha detto Berlusconi e poi ripetuto Matteo Salvini, pur apertosi precedentemente alla formazione di un altro governo. Ma c’è ora da verificare se sono d’accordo lo stesso Draghi, gli altri partiti e i componenti dei rispettivi gruppi parlamentari o delegati regionali, in gran parte fluidi, a dir poco. E’ tutta una foresta da esplorare.

Pubblicato sul Dubbio

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