Draghi con una telefonata si allunga la vita di candidato al Quirinale

Dalla prima pagina della Stampa

Convinto evidentemente pure lui da un noto e felice messaggio pubblicitario che una telefonata può allungarti la vita, anche di candidato al Quirinale, Mario Draghi ha affidato a un ministro questo messaggio per ora raccolto e rilanciato solo da Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa, in prima pagina: “Se toccasse a me essere scelto per il Quirinale, non potrei certo indicare un successore o mettere a punto un nuovo esecutivo. Lascerei mano libera alla politica. Sarebbero i leader a trovare un accordo tra loro”. 

Salvo improbabili smentite, il presidente del Consiglio ha cercato così  di rasserenare scettici, critici e persino avversari sterilizzando le prerogative del capo dello Stato più temute dai partiti, specie nei loro momenti peggiori, quando sono in crisi di prospettive e persino di identità.

La prima prerogativa, in ordine rigorosamente numerico per come è stata scritta e approvata la Costituzione, è quella dell’articolo 88: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. La seconda prerogativa è quella dell’articolo 92: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Nomina e basta, senza dover sentire sulla carta nessuno. Tanto è vero che le consultazioni per le soluzioni delle crisi di governo sono solo una prassi, per quanto consolidata, non prescritte dalla Costituzione. E infatti nell’ultima crisi, convintosi che non fosse il caso di sciogliere le Camere e mandare alle urne gli italiani in piena pandemia, a rischio quindi di contagi, Sergio Mattarella affidò la formazione del nuovo governo allo stesso Draghi di sua completa, autonoma iniziativa. 

Titolo del manifesto
Titolo del Foglio

Vedremo se questo messaggio così rispettoso, così aperto ai partiti passerà per il collo di bottiglia della corsa al Quirinale, volendo parafrasare il felice titolo odierno del solito manifesto, e prevarrà su altre telefonate di cui da giorni si occupano i giornali: quelle che da solo o col supporto dell’amico e deputato Vittorio Sgarbi va facendo Silvio Berlusconi per convincere i cosiddetti grandi elettori indecisi a votarlo. Telefonate che sembrano avere infastidito Matteo Salvini, pur impegnato formalmente a sostenere le ambizioni quirinalizio del suo alleato, e sono oggi sbertucciate anche da un giornale non certo antipatizzante di Berlusconi come Il Foglio. Il cui fondatore ed ex ministro di Berlusconi, Giuliano Ferrara, ha tenuto a ribadire il sostegno a Draghi per il Quirinale.

Giuliano Ferrara oggi sul Foglio
Ferrara sul Foglio del 12 gennaio

Leggete, in particolare, quello che ha scritto Ferrara: “Devo specificare che io, vecchio pirata berlusconiano da tempo in disuso, sempre innamorato del senso di quell’avventura ma conformisticamente rientrato da tempo nella normale routine della nomenclatura politica più pazza e insieme scipita del mondo, nell’area politica più derelitta dell’universo dopo quella di destra, cioè il centrosinistra e nella mia modesta funzione di osservatore e pensionato, sono per l’elezione al Quirinale di Mario Draghi, come ho scritto mille volte”. E con ciò mi pare che il fondatore del Foglio abbia voluto anche dissipare ogni equivoco sui riconoscimenti e apprezzamenti umani del Cavaliere ancora l’altro ieri , come questo agrodolce: “Il Cav,. si conferma, comunque vadano a finire le cose in uno di quei sogni a occhi aperti che per gli avversari è un incubo, un gigante dell’opportunismo politico, del tempismo, e un combattente bestiale, audace e tremendamente volitivo”. 

Claudio Cerasa sul Foglio del 12 gennaio

“Le incertezze sono molte, le certezze sono poche e tra le certezze -scriveva in quello stesso il direttore del Foglio Claudio Cerasa scommettendo su un ripensamento di Berlusconi- c’è la consapevolezza che dieci anni dopo aver rassegnato le sue dimissioni al Quirinale da presidente del Consiglio, a decidere il futuro del Quirinale, e quello del presidente del Consiglio, siano ancora i colpi di teatro dell’incredibile Cav.”

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.olicymakermag.it

D’Alema fa da sponda a Berlusconi contro Draghi al Quirinale

Il “Rieccolo” di questa seconda o terza Repubblica, come preferite, emulo del Fanfani della prima di conio montanelliano, è il Dalemoni scoperto e raccontato da Giampaolo Pansa verso la fine degli anni Novanta sull’Espresso: metà Massimo D’Alema e metà Silvio Berlusconi. Di cui fu pure realizzato un fotomontaggio per tradurre meglio le convergenze parallele dei due, alla maniera di quelle che prepararono ai tempi di Aldo Moro alla segreteria della Dc l’alleanza di governo con i socialisti di Pietro Nenni.

Titolo del Dubbio

All’indomani dell’annuncio o minaccia di Berlusconi di fare uscire la sua Forza Italia dal governo se Mario Draghi ne lasciasse la guida per salire al Quirinale, che cosa fa D’Alema? Si lascia intervistare dal manifesto, con la snobistica minuscola della storica testata comunista, per dire in sintonia appunto col Cavaliere: “Mi pare difficile mantenere una maggioranza larga senza Draghi. Non è un compito facile arrivare al 2023 se il premier viene eletto al Quirinale”. 

Ma lo stesso D’Alema non aveva detto, in un brindisi di Capodanno con i compagni di partito finito su internet, anche a costo di mettere in imbarazzo il povero ministro della Sanità Roberto Speranza, peste e corna politiche di Draghi, uomo della finanza internazionale poco o per niente conciliabile con la democrazia, cui la sinistra si sarebbe troppo facilmente rassegnata ad affidarsi? Sì, lo aveva detto. E in parte lo ha anche ripetuto al manifesto, fra i soliti origami tormentati secondo il racconto dell’intervistatore Andrea Carugati. “Nel draghismo -si legge nel titolo dell’intervista con tanto di virgolette- vedo un’esplosione di spirito antidemocratico”. 

Ma, nonostante questo, un pò correggendo il tiro del brindisi di Capodanno, e finendo -ripeto- col ritrovarsi con le valutazioni e gli auspici di Berlusconi, il sorprendente D’Alema ha parlato del governo in carica meglio di quanto abbia fatto lo stesso Draghi qualche giorno fa nella conferenza stampa sulle ultime misure adottate contro la pandemia. “Il premier -ha detto l’unico esponente del fu Pci che sia riuscito  sinora a guidare un governo nella storia della Repubblica- svolge efficacemente il suo ruolo internazionale spendendo la sua forte credibilità, a Bruxelles e con gli Stati Uniti. Sul lato interno fa il possibile con una maggioranza contraddittoria e inevitabilmente divisa, cerca i compromessi possibili. Fa politica quindi misurandosi con una realtà rispetto alla quale non esistono super poteri in grado di produrre soluzioni miracolistiche”. 

Se Draghi, letto il manifesto, non ha ancora fatto una telefonata a D’Alema per ringraziarlo ha compiuto un errore. Farebbe bene a correggersi. Ma forse non ha gradito il sottinteso -ma neppure tanto- del ragionamento di D’Alema, che è lo stesso di Berlusconi. Parlo del sottinteso esplicitato dal manifesto nel titolo di prima pagina con questo invito a Draghi: finisca il suo lavoro, naturalmente a Palazzo Chigi sino alle elezioni ordinarie del 2023.

Pubblicato sul Dubbio

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