Tranquilli. Ognuno resta al suo posto: Mattarella, Draghi e Belloni

Ambasciator non porta pena, si potrebbe dire anche a proposito dell’epilogo della candidatura dell’ambasciatrice, appunto, Elisabetta Belloni alla Presidenza della Repubblica, esplosa mediaticamente e politicamente dopo un incontro fra il segretario del Pd Enrico Letta, il presidente del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il leader della Lega Matteo Salvini. 

L’ambasciatrice Elisabetta Belloni

Incolpevole di tanta anomala avventura, la direttrice del dipartimento che coordina i sevizi segreti rimarrà tranquillamente al suo posto, avendola gli stessi partiti promotori esonerata dallo scomodissimo passaggio parlamentare. Che avrebbe potuto risolversi in una bocciatura come quella giù rimediata -su un altro versante politico- dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberto Casellati, viste le fratture subito emerse dall’interno della stessa maggioranza che l’aveva così incautamente esposta.  E, se bocciata, la responsabile dei servizi segreti ne sarebbe uscita indebolita, compromessa e quant’altro anche nelle sue funzioni amministrative.

Sergio Mattarella
Mario Draghi

Ognuno, e non solo l’ambasciatrice Belloni, rimarrà tranquillamente al suo posto: a cominciare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al quale i capigruppo della maggioranza, aiutati dietro le quinte dal presidente del Consiglio Mario Draghi, hanno chiesto nelle dovute forme di rito di accettare la rielezione all’ottavo scrutinio, dopo essere stato già votato nei precedenti, rispettivamente e autonomamente, senza indicazioni partitiche, da 16, 39, 125, 166, 46,336 e 387 fra senatori, deputati e delegati regionali. Rimarrà al suo posto anche il governo Draghi, per quanto un suo autorevole ministro, il leghista Giancarlo Giorgetti, abbia anticipato -mentre scrivo- le sue dimissioni per ragioni presumibilmente interne di partito. Rimarrà infine al suo posto il Parlamento, che rischiava le elezioni anticipate se la corsa al Quirinale fosse proseguita sulla strada dei veti, delle manovre e degli intrighi intrapresa  originariamente da un pò tutti i partiti. Che hanno a lungo sottovalutato o perseguito, secondo i casi, il rischio di travolgere anche il governo così fortemente voluto da Mattarella un anno fa per fronteggiare emergenze che permangono, soprattutto quella sanitaria. 

Chi aveva scommesso sulla indisponibilità del presidente uscente della Repubblica, già impegnatosi peraltro tra fotografi e telecamere nell’imballaggio e altre operazioni necessarie ad un trasloco dal Quirinale, c’è rimasto forse male. Ed ha già cominciato ad affilare le armi di una lunga campagna elettorale, come Giorgia Meloni. Eppure non era molto difficile prevedere un simile epilogo considerando la natura parlamentare, tanto spesso rivendicata, della Repubblica italiana. Nella quale spetta al Parlamento l’elezione del capo dello Stato, che ne avrebbe poco riguardo se contestasse le sue scelte, a meno di quelle legislative su cui può chiedere una nuova deliberazione ove la ritenesse necessaria, obbligato tuttavia ad accettarle se rinnovate. 

Per quanto possa non essere condivisa dall’interessato, stanco o no dei sette anni già trascorsi al Quirinale, la rielezione del presidente della Repubblica può essere impedita solo con una modifica della Costituzione, auspicata ma inutilmente anche da alcuni predecessori di Mattarella che non hanno tuttavia avuto la sfortuna -dal loro punto di vista- di ripetere o allungare il mandato, avendolo dovuto anzi interrompere anzitempo per ragioni politiche o di salute: rispettivamente Giovanni Leone e Antonio Segni.

Ripreso da http://www.startmag.it   

Quello del Quirinale diventa addirittura un affare spionistico…

Titolo di Repubblica
Titolo della Stampa

Dopo il rapido e impietoso autoaffondamento della candidatura del centrodestra nella persona addirittura della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, e mentre dall’aula di Montecitorio si rovesciavano sulla pur inesistente ricandidatura di Sergio Mattarella una valanga di voti spontanei, saliti dai 166 del quarto scrutinio ai 336 del sesto, i presunti -a questo punto- registi di questa caotica edizione della corsa al Quirinale trattavano ieri sera un’altra soluzione femminile. 

Questi presunti registi -ripeto-  sono il segretario del Pd Enrico Letta, il presidente del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il leader della Lega Matteo Salvini. Essi sono riusciti a impasticciare così tanto le cose da trasformare quello del Quirinale in un affare addirittura spionistico. Già, perché la donna messa in campo, e subito sommersa da veti all’interno della stessa maggioranza di governo, è la responsabile dei servizi segreti Elisabetta Belloni, diplomatica di lungo  e onoratissimo corso, finita a sua insaputa -spero- in una tempesta destinata a farne o una mancata presidente della Repubblica, come l’altra Elisabetta, o una presidente della Repubblica la più divisiva possibile, per usare un aggettivo di moda nelle corse al Colle. 

Ma se dovesse diventare una mancata presidente della Repubblica, l’ambasciatrice Belloni si troverebbe ad essere, suo malgrado, anche una depotenziata responsabile dei servizi segreti, come la sua quasi omonima Elisabetta al vertice del Senato. Dove peraltro potrebbe anche accadere, in teoria,  fra qualche giorno la trasformazione della presidente in supplente del capo dello Stato, il cui mandato scadrà il 3 febbraio. 

La migliore vignetta della giornata: Stefano Rolli sul Secolo XIX
L'”abbraccio” di Beppe Grillo a Elisabetta Belloni

Nel momento in cui scrivo, a poche ore dall’apertura della settima votazione nell’aula di Montecitorio, dove hanno preso anche la decisione di farne due al giorno complicando ulteriormente la situazione, l’ambasciatrice Belloni -sempre che nel frattempo non sopraggiunga una sua cautelare rinuncia, come si dice dell’arresto in corso d’indagine- gode dell’appoggio sperticato e lontano di Beppe Grillo e -si presume- di Conte, di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni dai banchi però dell’opposizione. Si sono invece schierati contro di lei per l’anomalia, quanto meno, della regina degli 007 che si trasferisce dalla mattina alla sera al Quirinale per fare la presidente della Repubblica Silvio Berlusconi, il giovane e sempre baldanzoso Matteo Renzi, dichiaratamente convinto che a questo punto sia un affare raddoppiare il mandato di Mattarella da lui voluto sette anni fa al Quirinale, e mezzo Pd.  Il cui segretario si è trovato così spiazzato di fronte alla loquacità e alla fretta di Conte e di Salvini da prenderne rapidamente le distanze, aprendo sia ad una conferma di Mattarella -pure lui- sia ad altre due candidature femminili. Si tratta, in particolare, dell’ex ministra della Giustizia Paola Severino, indigesta a Berlusconi per avere condiviso l’applicazione retroattiva di una sua legge per fargli perdere nel 2013 il seggio del Senato, e la ministra della Giustizia in carica Marta Cartabia, indigesta ai grillini per avere sostituito la vecchia prescrizione abolita da loro abolita con la nuova improcedibilità nei processi penali. 

In mezzo, se volete, tra gli entusiasti e i contrari, si è collocato il ministro grillino degli Esteri Luigi Di Maio, di cui la signora Belloni è stata strettissima collaboratrice alla Farnesina, definendo “indecorosa” l’esposizione di una persona così qualificata della pubblica amministrazione ad uno spettacolo tanto imbarazzante e pericoloso sotto molti punti di vista. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il sacrificio un pò biblico della Casellati sulla strada del Quirinale

Senza intenzioni blasfemiche, ma solo per tentare di spiegare ciò che è accaduto con la quinta votazione a Montecitorio per l’elezione del presidente della Repubblica, ricordo la terribile prova di fede chiesta da Dio ad Abramo e raccontata nel libro biblico della Genesi. 

Titolo del Dubbio

In particolare, Dio chiede ad Abramo, come dimostrazione di fede, di sacrificargli il figlio Isacco. Abramo sale sul monte Moriah e afferra il pugnale per uccidere il figlio. Ma viene trattenuto all’ultimo momento da un angelo del Signore che gli mostra un ariete da immolare al posto di Isacco.

Matteo Salvini, leader della Lega ma anche del centrodestra dopo il sorpasso elettorale del 2018 su Forza Italia, nella rappresentazione drammatica di ieri a Montecitorio sta ad Abramo, invitato dalla coalizione a provare la sua fedeltà mettendo ai voti un candidato del centrodestra. Cioè immolandolo perchè questa coalizione non ha i numeri autosufficienti per eleggere il capo dello Stato da sola con la maggioranza minima e al tempo stesso assoluta di 505 voti  

Salvini, che pure aveva concordato col centrodestra una rosa di candidati comprendente, in ordine rigorosamente alfabetico, Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera, sceglie per il sacrificio -pare col paradossale consenso dell’interessata- la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che è la seconda carica dello Stato, possibile supplente di Sergio Mattarella fra qualche giorno, quando scadrà il mandato del presidente uscente della Repubblica. 

Oltre che mettere alla prova la compattezza del centrodestra, reclamata in particolare da Giorgia Meloni  dopo un blitz rumoroso da lei stessa tentato col fedelissimo Guido Crosetto, furbescamente Salvini pensa di mettere alla prova anche la sensibilità istituzionale dei suoi interlocutori di centrosinistra con la candidatura della seconda carica dello Stato, già votata peraltro al vertice del Senato dai grillini all’inizio della legislatura. Ma quelli, a cominciare da Giuseppe Conte, gli contestano l’iniziativa considerandola una provocazione rispetto al progetto di una soluzione negoziata e realmente condivisa. E per di più con la formula dell’astensione tolgono praticamente la scheda ai “grandi elettori” della loro parte politica per impedire voti di soppiatto alla Casellati. 

Matteo Salvini

A questo punto la quinta votazione si trasforma davvero e solo in un sacrificio,  senza nessun angelo che possa fermare la mano di Salvini dirottandola su qualche ariete di passaggio. E infatti la Casellati viene bocciata senza fare neppure il pieno dei voti del centrodestra disponibili sulla carta: 382 su almeno 430.

Ma la tragedia -o tragicommedia, come preferite- non finisce qui perché Salvini lascia, non so se più ingenuamente o più furbescamente, che la sua enfatica presentazione della candidatura della Casellati come la persona più alta in grado dopo Mattarella sia interpretata come una mezza disponibilità del centrodestra, o almeno della Lega, a convertirsi alla conferma del presidente uscente della Repubblica. Più sopra di lui, certo, non si potrebbe andare.  

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑