L’enigmatico cantiere del Quirinale allestito dai partiti

Neppure oltre Tevere, dove una volta si aveva una conoscenza tanto dettagliata della politica italiana da poterne anticipare e condizionare gli sviluppi in concorrenza con oltre Oceano, non riescono a farsi un’idea univoca del problema della successione a Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. 

Dall’Osservatore Romano

Alla cautela emersa in occasione della visita preannunciata di “congedo” dello stesso Mattarella in Vaticano prima di Natale, quando di “congedo” appunto si evitò di scrivere nei comunicati ufficiali anche del Quirinale, e non solo della Segreteria di Stato, è subentrata una lettura restrittiva del messaggio di Capodanno del presidente della Repubblica da parte del mitico Osservatore Romano di altri tempi. Il cui anonimo estensore di una breve nota ha appena scritto con nettezza che con quel messaggio “Sergio Mattarella ha chiuso definitivamente ogni possibilità a una sua rielezione”. Alla quale magari -potrà pensare qualcuno- si preferirebbe l’elezione di Mario Draghi, tanto apprezzato da Papa Francesco in persona da essere stato da lui nominato alla Pontifica Accademia della Scienze Sociali ben prima che Mattarella lo chiamasse per destinarlo a Palazzo Chigi. 

Ad una conferma del presidente uscente della Repubblica continuano  tuttavia a pensare alcuni più direttamente interessati alla successione in quanto esponenti di quel grande collegio elettorale che fra qualche settimana diventerà a Montecitorio l’assembla congiunta dei deputati, senatori e delegati regionali. Fra i quali vi sono certamente i decisamente ed esplicitamente contrari “fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni, i leghisti meno perentori di Matteo Salvini e i forzisti ostili a qualsiasi ipotesi diversa dalla candidatura di Silvio Berlusconi, almeno fino a quando il Cavaliere -dicono gli ottimisti- non si rassegnerà a fare il regista, o solo a partecipare alla regìa della soluzione finale. Ma ci sono anche quella cinquantina di parlamentari  sparsi recentemente accreditati dal giornale dei vescovi italiani –Avvenire- come decisi a votare per Mattarella già dal primo scrutinio, per tenere accesa la fiamma o fiammella della conferma, e ora anche la maggioranza dei senatori pentastellati riunitisi per esaminare la situazione. E decisi a non rimanere estranei alla partita delle trattative, o simili: contrari quindi ad una delega in bianco al presidente del MoVimento Giuseppe Conte. Del quale evidentemente non piace la disponibilità, reale o attribuita che sia, ad una candidatura di Draghi o di una donna, preferibilmente, del centrodestra come Letizia Moratti. Che, poveretta, alla prima comparsa del suo nome nelle cronache della corsa al Colle si è preoccupata non dico di tirarsi fuori, ma almeno di ribadire la convinzione che non possa esservi un candidato di centrodestra diverso e tanto meno migliore di Berlusconi. 

Titolo di Repubblica

Certo, le aperture grilline a un bis di Mattarella -nella convinzione che allo stato assai confuso e pericoloso delle cose la soluzione più prudente sia quella di lasciare tutto com’è sino all’arrivo delle nuove Camere, massino fra poco più di un anno- sono problematiche nel contesto, non a torto rilevato da alcuni giornali, di un sostanziale commissariamento di Conte come presidente e leader del MoVimento 5 Stelle, da controllare a  vista o all’ascolto. Ma che sia venuto allo scoperto sulla strada di una pur improbabile conferma o proroga del presidente uscente un gruppo parlamentare, e non un anonimo o generico raggruppamento dei tanti che affollano le cronache di questa curiosa e transumante legislatura, in cui non passa giorno, o quasi, senza che qualcuno non cambi casa o casacca, è un fatto da rilevare, pur senza l’enfasi odierna di certi giornali come la Repubblica.  

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il pretesto del Mattarella succubo silenzioso dei magistrati

Augusto Minzolini sul Giornale del 2 gennaio
Dal Giornale del 2 gennaio

Come se si fossero consultati da consumati colleghi, peraltro  avvicendatisi alla direzione del Giornale di famiglia del candidato almeno più anziano al Quirinale, che è Silvio Berlusconi con i suoi 85 anni compiuti a fine settembre scorso, Alessandro Sallusti, ora alla guida di Libero, e Augusto Minzolini, in ordine rigorosamente d’età, hanno contestato al presidente uscente della Repubblica Sergio Mattarella di avere ignorato nel suo messaggio di Capodanno i problemi non certamente superficiali della giustizia in Italia. E di averli ignorati nella doppia veste costituzionale di capo dello Stato e di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura a “pochi giorni” -come ha tenuto a sottolineare lo stesso Mattarella in apertura del discorso- dalla fine del suo “ruolo”. 

Titolo di Libero
Su Libero del 2 gennaio

Dei due, il più anziano o il meno giovane, come preferite,  Alessandro Sallusti, con un pizzico forse di franchezza o di astuzia in più, sempre come preferite, ha premesso alla sua critica una convinzione minore dell’altro che sia davvero tramontata o archiviata l’ipotesi di una rielezione del presidente uscente. “Salvo colpi di scena”, ha scritto il direttore di Libero riferendo della “chiusura del settennato al Colle” di Mattarella. Come per dire, se mai dovesse riemergere l’ipotesi di una conferma -attribuita senza tanti misteri da altri giornali soprattutto alle tentazioni del segretario del Pd Erico Letta, per quanto altri invece lo immaginino ogni tanto impegnato a lavorare dietro le quinte per l’elezione al Quirinale di Mario Draghi- che la possibilità o disponibilità ad una sostanziale proroga del presidente in carica debba essere valutata tenendo conto anche del presunto o reale difetto del suo messaggio di Capodanno in materia di giustizia o (in)giustizia in Italia. 

Oltre a richiamarsi alla notissima vicenda di Luca Palamara, di cui Sallusti si considera ormai quasi un testimone al dettaglio e al tempo stesso uno storico per averla raccontata a quattro mani con l’ormai ex magistrato e leader di associazione dai cui contatti e quant’altro sono dipese per anni le carriere lottizzate di tante toghe, i due giornali di area di centrodestra hanno rimproverato a Mattarella di non avere voluto o saputo cogliere neppure la drammatica attualità del suicidio natalizio dell’ex consigliere forzista della regione Piemonte, Angelo Burzi. Che si è sparato in casa rivendicando la sua innocenza dopo essere stato assolto in primo grado e condannato in appello per un presunto peculato di poche migliaia di euro  a 3 anni di carcere. Magari -si è fatto capire- sarebbe bastato un accenno a conclusione di un altro anno giudiziariamente infelice, con assoluzioni tardive -a carriere politiche irrimediabilmente distrutte-  e severità sospette, a dir poco. 

Certo, lo ammetto, sarebbe stato meglio se Mattarella se ne fosse in qualche modo occupato. Ma non mi sembra neppure giusto ignorare le numerose volte in cui anche quest’anno, pur non arrivando all’estrema e inedita misura nella storia della democrazia italiana di uno scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura dopo il suq di carriere e nomine emerso come in una fogna a cielo aperto, Mattarella ha denunciato pure lui le gravi condizioni di una magistratura -ha detto- che ha ormai bisogno di una “rigenerazione”. 

Rigenerazione -ripeto- non è una parola da poco, che solo la disinvoltura dei destinatari degli interventi del presidente della Repubblica ha potuto fingere di non sentire e non capire: la stessa disinvoltura, per esempio, con la quale i superstiti e gli aedi della presunta epopea di Mani pulite, a Milano, hanno opposto il silenzio più sconcertante, e direi anche sfrontato, alla grave denuncia testimoniale del giudice Guido Salvini sull’assegnazione di così tante e diverse vicende di Tangentopoli ad un unico giudice delle indagini preliminari. Il quale si sentiva evidentemente -aggiungo io all’articolo clamoroso e coraggioso di Guido Salvini sul Dubbio– così vicino agli inquirenti, anche loro sempre gli stessi, da suggerire agli interessati per iscritto di cambiare il tipo di imputazione per ottenere l’arresto di turno appena richiesto. Mi chiedo cos’altro debba ancora venire fuori da quella storia ben poco esaltante per contestare le proteste da “revisionismo” che si levano ontro le troppe anomalie di quegli anni quando ne emergono di nuove o solo vengono rievocate le vecchie.

Tutto ciò premesso, comunque, non trovo condivisibile la strumentalizzazione che, volenti o nolenti, si fa della posizione del presidente della Repubblica uscente sui malanni della giustizia quando l’obiettivo finale sembra quello di contrastarne l’ipotesi di una conferma. Che evidentemente è sopravvissuta, sotto sotto, anche al commiato  di fine anno di Mattarella presentato come un “addio” dal Corriere della Sera o “ultimo atto” dal Giornale: l’uno e l’altro dimenticando, fra l’altro, che una conferma del presidente uscente, e conseguente stabilizzazione del governo Draghi, sarebbe un’assicurazione per la legislatura in corso. La cui interruzione comprometterebbe, con le elezioni anticipate, il rinvio dei referendum della primavera prossima sulla giustizia. Che, tra separazione delle carriere, responsabilità civile davvero dei magistrati e altro ancora, considerando la scarsa agibilità mostrata dalla legislatura in corso su questo terreno, sarebbero l’unica garanzia di un cambiamento di passo e di contenuto nei rapporti fra giustizia e politica, o società.  

Pubblicato sul Dubbio

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