Mattarella sale da 16 a 166 voti in quattro scrutini a Montecitorio

Esterno della Camera

Non fatevi incantare, per favore, dai soliti salotti televisivi e dintorni che indicheranno nei 166 voti andati a Sergio Mattarella nel quarto scrutinio sul presidente della Repubblica dopo i 16 del primo, i 39 del secondo e i 125 del terzo come una generica insofferenza dei “peones”. O una loro rivolta contro le indecisioni, le ambiguità e quant’altro dei partiti e rispettivi gruppi parlamentari, che girano a vuoto da lunedì. Basterebbe quindi accelerare le procedure per placare gli animi, magari votando più volte al giorno anche con gli inconvenienti sanitari e igienici della pandemia.

No. I 166 voti andati al presidente uscente, e provenienti da varie parti politiche, non solo dai pentastellati, i più divisi sicuramente di tutti, sono una scelta politica a favore della sua conferma. Che è vista come la soluzione più stabilizzante in una situazione politica compromessa dall’incredibile campagna cominciata contro Mario Draghi per la sua disponibilità all’elezione al Quirinale come il “nonno a disposizione delle istituzioni” della famosa conferenza stampa del 22 dicembre. Che si è rivelata indigesta a tanti aspiranti alla Presidenza della Repubblica -e questo si potrebbe anche capire- ma anche a tante parti estranee alla partita del Colle in sé e per sè. 

L’indebolimento di Draghi, rappresentato a destra e a sinistra, dal Giornale della famiglia Berlusconi a quello di Marco Travaglio, come un uomo dalle sfrenate ambizioni personali, o come un presidente del Consiglio che vorrebbe “fuggire” al Quirinale per avere sbagliato tutto a Palazzo Chigi, si è tradotto in quello del governo. Che nessuno tuttavia sa come sostituire, tanto che gli stessi critici di una candidatura del presidente del Consiglio al Colle vorrebbero inchiodarlo dov’è. E’ una fiera di incongruenze da tragicommedia. 

Trasloco dei mobili di Mattarella

Può darsi che Mattarella sia stato disturbato dai voti crescenti in Parlamento a suo favore mentre lui si fa ritrarre, tra la sua Palermo e Roma, nelle operazioni di trasloco nell’appartamento affittato vicino a quelli dei figli. Ma il presidente della Repubblica non può sentirsi disturbato dalle Camere: dalle folle o singoli cittadini che per strada o in teatro lo applaudono e gli chiedono di rimanere sì, può sentirsi importunato, non dai parlamentari e dai delegati regionali ai quali la Costituzione affida il compito di eleggere il capo dello Stato. O di rieleggerlo, come d’altronde è già accaduto nel 2013 a Giorgio Napolitano. Fino a quando la Costituzione non cambierà per impedirla, la rielezione va accettata per disciplina di Stato, mi si permetta di scrivere. 

Ripreso da http://www.startmag.it

La crisi permanente dei grillini si scarica anche sulla corsa al Quirinale

Fotomontaggi del Fatto Quotidiano

E’ la classica zappa sui piedi la rappresentazione cavernicola che sotto le cinque stelle fa il giornale di Marco Travaglio del “conclave” immaginato da Vauro Senesi per la scelta del presidente della Repubblica, con quei leader armati di bastoni per darsene di santa ragione: altro che i leader e leaderini proposti in altra parte della stessa prima pagina in abiti cardinalizi. Se la politica è ridotta a questo punto dopo quattro anni di una legislatura all’insegna della “centralità” grillina uscita dalle urne del 2018, si deve quanto meno ammettere che il bilancio è fallimentare.

I più confusi, disorientati e quant’altro sono proprio i grillini, che si agitano in quella tonnara che nelle loro mani è diventato il Parlamento, dove la paura delle elezioni anticipate prevale su ogni altra considerazione. Meglio morire dissanguati che senza acqua, dicono i tonni pentastellati. Che, dopo avere subito come un omicidio -parola sempre di Travaglio- la sostituzione di Giuseppe Conte con Mario Draghi a Palazzo Chigi, avvertono con terrore l’indebolimento del governo e cercano di rimediarvi votando nel segreto dell’urna a Montecitorio -senza che nessuno glielo ordinasse, né lo stesso Conte partecipando alle loro riunioni né Beppe Grillo dalla crociera giudiziaria col suo amico armatore Vincenzo Onorato- per la conferma di Sergio Mattarella al Quirinale. Essa congelerebbe tutto: le Camere e il governo del presunto abusivo Draghi. 

Sempre dal Fatto Quotidiano

Ha ben poco da scherzare, sempre sotto le cinque stelle, Travaglio  scrivendo o facendo scrivere nella “cattiveria” quotidiana del suo giornale che sono aumentati “di poco” in tre giorni, da 16 a 125,  i parlamentari che vogliono provare a rieleggere Mattarella “senza che se ne accorga”, anzi contro l’indisponibilità dell’interessato tante volte apprezzata e incoraggiata dal direttore in persona del Fatto Quotidiano. Il quale ad un certo punto esortò il presidente uscente a prendere a parolacce, in dialetto palermitano strettissimo, quanti lo applaudivano, per strada, in teatro, negli auditorium e nello stesso Quirinale, reclamando ill bis. 

Le cose sembra che stiano cambiando anche sul Colle, dove corazzieri, autisti e commessi si stanno pure allenando alle cerimonie per l’arrivo di un nuovo presidente della Repubblica ma la quirinalista del Tg1 ieri sera, collegata con la sua direttrice, raccontava le reazioni del palazzo ai 125 voti appena destinati a Mattarella in termini per niente contrariati. Diceva solo che collaboratori e amici del presidente, ma forse anche lo stesso presidente, consideravano quei voti ancora troppo in libertà, non espressione cioè di orientamenti espliciti di partiti o gruppi parlamentari. Se questi dovessero invece sopraggiungere per le difficoltà di un accordo su un nuovo capo dello Stato, Mattarella non potrebbe sottrarsi a qualche ulteriore riflessione.

Titolo della Stampa
Titolo del Riformista

Intanto la giostra mediatica continua inseguendo di tutto: notizie, voci, sussurri, spezzoni di dichiarazioni, fantasie. Per La Stampa, ad esempio, “la sfida è fra Draghi e Casini”. Per il Riformista è invece tra “Mattarella e Casini”, per cui il direttore Piero Sansonetti si chiede se “rimoriremo democristiani”. Altri scommettono sulla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, anche se il suo amico di partito ed ex presidente forzista dello stesso Senato Renato Schifani teme il fuoco amico, altri ancora sul quasi presidente, ormai, della Corte Costituzionale Giuliano Amato. Qualcuno infine punta sull’ex ministro e giudice emerito della Consulta Sabino Cassese, i cui 86 anni e mezzo meriterebbero qualche prudenza in più per risparmiare all’interessato emozioni troppo rischiose. 

Ripreso da http://www.startmag.it

Tanti voti in libertà a Mattarella per salvare il governo Draghi

Quei 16 voti per il Quirinale arrivati a Sergio Mattarella nel primo scrutinio,  diventati 39 al secondo e addirittura 125 al terzo senza essere stato candidato da nessun partito, contro i 114 di Guido Crosetto sventolato come una bandiera dimostrativa dalla destra di Giorgia Meloni, costituiscono un segnale indicativo di qualcosa non confondibile di certo con i giochetti liquidabili con la formula dei “voti dispersi”.

Titolo del Dubbio

L’ipotesi di una conferma del presidente uscente della Repubblica continua quindi ad aleggiare come un fantasma o un sogno, secondo le preferenze, per quanti sforzi abbia fatto e continui a fare l’interessato per sottrarvisi. Come anche l’ipotesi di un’elezione di Mario Draghi, che diversamente da Mattarella però non la scambia per una disgrazia, avendo già avuto modo di apparire pronto a viverla come “un nonno a disposizione delle istituzioni”: immagine che tanti guai e polemiche gli ha procurato, sino a fargli rischiare una specie di squalifica o una condizione di sostanziale ineleggibilità,  presuntivamente implicita nella storia dei 70 anni e più della Repubblica. In cui -si è scritto contro Draghi- a nessun presidente del Consiglio sarebbe mai venuta in mente la malsana idea di candidarsi o lasciarsi candidare al Quirinale. Ciò tuttavia non è vero perché almeno nel 1992 da presidente del Consiglio in carica la buonanima di Giulio Andreotti  si lasciò tanto tentare da quella prospettiva che fra i suoi amici parlamentari si adoperarono in parecchi, o comunque nel numero sufficiente all’impresa. per il naufragio della candidatura al Quirinale del segretario del suo partito, la Dc. Che era l’ancor vivo e quindi  prezioso testimone Arnaldo Forlani, così poco interessato peraltro al successo da ritirarsi dalla gara dopo il secondo scrutinio su di lui, che pure gli aveva fatto recuperare una parte dei voti mancatigli la volta precedente. 

Ma bando alle chiacchiere e alle rievocazioni del passato. Il problema di fronte al quale, volente o nolente, si trova in queste ore Mattarella -fortunatamente tornato al Quirinale dal suo rapido ritorno nella casa di Palermo per scegliere mobili e quant’altro da fare spedire all’appartamento romano che ha preso in affitto in vista della scadenza del suo mandato presidenziale- è l’indebolimento oggettivo del governo Draghi. Che lo stesso Mattarella volle  incisivamente l’anno scorso per ragioni di emergenza chiudendo la crisi fallimentare del secondo e ultimo governo di Giuseppe Conte, riuscito in poco più di due anni a bruciare entrambe le alternative ordinarie, chiamiamole così, delineatesi all’inizio della legislatura, nel 2018. 

L’indebolimento del governo Draghi deriva proprio dall’uso  politico e persino personale che si sta facendo della corsa al Quirinale, da destra e da sinistra, contro il presidente del Consiglio. Che non mi pare -francamente- fosse stato scelto e nominato da Mattarella solo nella prospettiva della fine del proprio mandato, ma anche o soprattutto nell’interesse dell’Italia in emergenza.  

Pubblicato sul Dubbio

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