

Sulla soglia ormai dei 95 anni, abituato a immagini forti quando parla e scrive di politica praticata per tutta la vita tra entusiasmi e delusioni così forti da avere spesso avvertito puzza di “sangue e merda”, l’ex ministro socialista Rino Formica deve essersi molto trattenuto liquidando solo come una “commedia dell’inganno”l’ultimo vertice del centrodestra nella Villa Grande di Silvio Berlusconi, sull’Appia antica. Un inganno “reciproco”, fra “vecchio” e giovani, ha scritto su Domani, il giornale di Carlo De Benedetti. Paradossalmente ancora più critico di Formica ha finito per essere su Libero il direttore Alessandro Sallusti, pur compiaciuto che Matteo Salvini e Giorgia Meloni abbiano ufficialmente candidato Silvio Berlusconi al Quirinale, in attesa ch’egli sciolga la riserva. Anche Sallusti, che nei lunghi anni alla direzione del Giornale di famiglia si è fatta una certa esperienza dell’ambiente, ha avvertito qualcosa di simile alla commedia scrivendo che “la partita del Colle è tutta in un cognome: Letta”.

“Già, perché -ha spiegato Sallusti- nel campo del centrodestra a guidare le operazioni è Gianni Letta -per tutti “il dottore” perché solo a nominarlo vien paura- dal 1987 uomo ombra di Silvio Berlusconi con potere di vita e di morte su tutto ciò che si muove da quelle parti e non solo”. Il dirimpettaio familiare è lo zio Enrico, segretario del Pd, appena fattosi autorizzare all’unanimità dalla direzione e dai gruppi parlamentari a trattare con gli altri partiti un “patto di legislatura”, per l’anno o più che resta del mandato del Parlamento eletto nel 2018, finalizzato a impedire ad un leader “divisivo” come Berlusconi di essere eletto al Quirinale.
L’altro problema di Enrico Letta è dichiaratamente quello di “tutelare” al massimo Mario Draghi: a Palazzo Chgi o allo stesso Quirinale se non dovesse esserci altro modo per trattenerlo sulla scena con tutto il prestigio internazionale di cui gode, e i benefici effetti derivanti all’Italia.
Il più lesto, almeno sul piano mediatico, a capire l’antifona del segretario del Pd, tenendo presente anche la visita effettuata contemporaneamente dal nipote Gianni a Palazzo Chigi, è stato uno degli ex ministri della Difesa di Berlusconi e cofondatore dei Fratelli d’Italia Ignazio La Russa. Egli si è affrettato a precisare che Giorgia Meloni a nome della sua parte politica non ha mai posto e non pone veti contro Draghi al Quirinale.

Il guaio politico per il centrodestra a questo punto è che, se davvero Berlusconi dovesse verificare la impraticabilità della sua pur legittima ambizione quirinalizia a conclusione della propria avventura politica e fare all’ultimo momento il famoso passo indietro a favore di Draghi, non ne sarebbe più il kingmaker, come si dice, ma solo l’ultimo portatore d’acqua e di voti. La paternità dell’operazione Draghi sarebbe tutta o prevalentemente dell’altro Letta: Enrico.
Eppure uno spiraglio, quanto meno, per un esito della corsa al Quirinale gratificante per la la coalizione di centrodestra era già stato aperto ed è stato appena confermato da Matteo Renzi, disposto a votare anche senza il Pd un altro candidato del centrodestra. A proposito del quale si fanno i nomi, fra gli altri, di Marcello Pera, Giulio Tremonti, Letizia Moratti, Maria Elisabetta Casellati, presidente del Senato, e Franco Frattini, fresco di nomina a presidente del Consiglio di Stato.
Anche sotto questo profilo la visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi, subito proiettata sull’operazione Draghi dello zio Enrico, ha creato scompiglio e malumore nel centrodestra, sorprendendo -si è scritto senza alcuna precisazione o smentita- lo stesso Berlusconi, pur al netto di ogni sospetto su una recita sotto sotto concordata delle parti fra i due.

Persino il buon Augusto Minzolini, direttore del Giornale ed esperto come pochi altri dei palazzi della politica e dei loro immancabili intrighi, ha bacchettato a suo modo l’ambasciatore, missionario e quant’altro di Berlusconi scrivendo che “in un’Italia che da trent’anni ha due schieramenti contrapposti la pace la possono siglare solo i generali. Non possono garantirla né i colonnelli, né personaggi che si sono inventati il mestiere di paciere senza mai firmare nessuna pace”.


Meno diplomatica di Minzolini, o più maliziosa, Concita De Gregorio ha scritto su Repubblica che “ora c’è da capire se Gianni Letta lavori per sé o per altri. Qui -ha aggiunto- abbiamo come sapete una nostra idea, ma non conta. Una certezza resta. Se hai un piano segreto, il luogo dove rendersi invisibili è una piazza”, dove puoi incontrare l’ex sottosegretario di Berlusconi con la stessa facilità con cui lo incontri in un ristorante, in una commemorazione, in un funerale, ai margini del quale si possono dire “banalità”, come lui stesso sembra che abbia definito le dichiarazioni unitarie ispirate dalla scomparsa di David Sassoli, scambiabili per chissà quale sottile operazione politica. “Letta -gli ha riconosciuto in ogni caso Fabio Martini sulla Stampa- sa che nei prossimi giorni torneranno ad aver bisogno delle sue arti. Lui è la Protezione civile del Cavaliere, il lobbista del buonsenso”.
Pubblicato sul Dubbio
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