

Le difficoltà di Mario Draghi alla guida del governo – “il migliore”, come lo sfotte ogni giorno Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, ancora nostalgico di Giuseppe Conte- sono innegabili, per quanto anche l’ultimo decreto legge di contrasto al Covid sia stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri. Sono difficoltà intervenute con la complicità, non a causa del virus e delle sue varianti.
Più che della pandemia, Draghi soffre del clima politico intossicato dalla corsa al Quirinale. Che divide i partiti fra di loro e al loro interno più ancora di quanto non fossero lacerati già per i caotici sviluppi della legislatura cominciata nel 2018 con la “centralità”, addirittura, del movimento grillino. Centralità come quella -pensate un po’- della Dc di De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, Forlani, De Mita della prima e ben lunga prima Repubblica.
La corsa al Quirinale ha sempre disturbato, complicato, persino deviato il percorso dei governi di turno, in una soluzione di continuità fra prima e successive Repubbliche. Basterà ricordare, per non andare troppo lontano nel tempo, a ciò che costò nel 2015 al governo di Matteo Renzi l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica: la rottura con Silvio Berlusconi sulla strada della riforma costituzionale, messa in cantiere come finalità della legislatura e bocciata clamorosamente in un referendum affrontato dallo stesso Renzi contro un fronte esteso, a quel punto, dal Cavaliere a Massimo D’Alema, da Beppe Grillo ancora in versione vaffanculesca a un De Mita restituito, nell’occasione, alle prime pagine dei giornali e ai duelli televisivi.
Per di più Draghi si è concesso il lusso della franchezza nel teatro abitualmente sulfureo della politica mostrandosi interessato, diciamo così, al Quirinale dalla postazione di Palazzo Chigi con l’immagine di “un nonno al servizio delle Istituzioni”. Eppure tutti, ma proprio tutti, avevano reclamato che lui non tacesse.

Scritto tutto questo e riconosciuto a Draghi -ripeto- l’errore paradossale della franchezza in quel mondo di ipocrisie, falsità, sgambetti e pugnalate che sa diventare la politica nei suoi passaggi peggiori, rifuggo dalla tentazione in cui sono caduti tanti giornali, con i titoli di ieri, di confezionare necrologi per quanto metaforici del presidente del Consiglio. E continuo a sperare che proprio per l’onda che cresce contro la risorsa più preziosa di cui dispone l’Italia, visto il prestigio personale che l’ex presidente della Banca Centrale Europea ha a livello mondiale, Sergio Mattarella si disponga finalmente ad una conferma che, congelando l’assetto istituzionale in attesa di un Parlamento più rappresentativo e legittimato di quello in scadenza, stabilizzi il governo da lui stesso voluto poco meno di un anno fa. Gli è stato del resto appena assegnato, sia pure dai cultori della pallavolo, il premio di “miglior giocatore”.
Rispondi