Il Conte di Palazzo Chigi è sceso dal pero del distacco e dell’ottimismo

            Costretto da quelle che lui stesso definisce “tensioni politiche nella maggioranza” a scendere un po’ dal pero del distacco e dell’ottimismo su cui si era appollaiato, prima di meritarsi l’impietosa vignetta di Emilio Giannelli che lo rappresenta sulla prima pagina del Corriere della Sera minacciato dalle acque sulla poltrona semissomersa di Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio si è deciso a mandare un monito ai partiti di governo. E, più in particolare, pur non nominandoli, ai due vice -il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini- di cui egli è spesso apparso agli osservatori più severi come “il loro sottosegretario”.

            Se si continua di questo passo, fornendo peraltro “pretesti allo spread”, e anche alle agenzie di rating che hanno cominciato con Moody’s a declassare il già ingente debito pubblico , invogliando i mercati a liberarsi dei titoli di Stato italiani e non certo ad acquistarne di nuovi, “si perdono anche i consensi” nelle urne. Che comunque vanno inseguiti non dimenticando “la responsabilità verso il Paese”, ha avvertito Giuseppe Conte in  una intervista rilasciata al Corriere in vista del Consiglio dei Ministri, convocato in tutta fretta allo scopo di chiudere il pasticcio del decreto legge sul condono fiscale, manipolato secondo Di Maio a tal punto da poter finire alla Procura della Repubblica di Roma.  

            Gazzetta.jpgDel testo di quel decreto, nella parte dello scudo penale contestato da Di Maio,  il presidente del Consiglio ha riconosciuto un po’ il carattere quanto meno improvvisato, ricavato da “qualche foglietto” pervenutogli all’ultimo momento sugli accordi precedentemente raggiunti  in sede politica. “Ora -ha annunciato Conte anticipando lo svolgimento della nuova riunione del governo raccomandatagli dietro le quinte anche dal presidente della Repubblica- ristudierò bene ogni articolo, lo inquadrerò politicamente e lo riproporrò ai ministri perché trovino un compromesso”. Murale jpg.jpgChe chiuda l’incidente fra Di Maio e Salvini, scambiatisi a distanza un po’ di insulti: fesso, bugiardo, incompetente e via scudisciandosi. Sono decisamente lontani i giorni del murale di Piazza Capranica, a Roma, dove i due impegnati nelle trattative di governo si baciavano.

            Il “compromesso” dice comunque da solo come sia destinata a chiudersi la vicenda: con una toppa, di cui si valuterà consistenza ed effetti sulla tenuta della maggioranza  solo in seguito, lungo l’accidentato percorso della manovra finanziaria e del bilancio in Parlamento e della rovente campagna elettorale che si può considerare già in corso per il voto europeo della primavera dell’anno prossimo.

            Altre prove quindi aspettano il presidente del Consiglio, fra le ansie anche del suo vecchio amico e maestro Guido Alpa, che contribuì nel 2002 al superamento controverso di un concorso per la cattedra universitaria.

            Nel garantirne la bravura, la diligenza e quant’altro, e nel dolersi che le fatiche di governo gli abbiano fatto perdere “tre chili”, Alpa ha detto che Conte “ha un ruolo difficile: deve mediare”. Ma su uno dei due giornali che hanno pubblicato l’intervista del professore, sul Secolo XIX piuttosto che su Repubblica, sono comparse parole ancora più crude sul compito di Conte: “E’ costretto ad arrampicarsi sugli specchi”.

 

 

 

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La manina del Colle che ha messo un pò in riga Salvini sul Consiglio dei Ministri

Questa volta, di fronte al pasticcio del decreto legge sul condono fiscale, o come altro preferiscono chiamarlo i loro stessi promotori, il presidente della Repubblica si è davvero spazientito, come dicono un po’ eufemisticamente al Quirinale pensando forse a qualcosa di più.

Dopo avere tollerato una certa estensione della già cattiva abitudine dei governi precedenti di varare, anche senza la formula della “riserva”, provvedimenti incompleti, riempiti tecnicamente e politicamente lungo il percorso, pur fisicamente assai breve, tra Palazzo Chigi e il Colle, separati in fondo solo dalla Galleria Alberto Sordi, ex Colonna, e dalla Fontana di Trevi, Mattarella ha puntato i piedi.

E’ sembrata eccessiva al capo dello Stato la pretesa che andava delineandosi di confezionare il decreto sul condono, dopo la inedita minaccia di una sua deviazione addirittura verso la Procura della Repubblica per effetto della presunta manipolazione annunciata  dal vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, in un vertice gialloverde, l’ennesimo nella pur breve storia del nuovo governo. O, peggio ancora,  in una ricognizione più o meno solitaria, per quanto sicuramente scrupolosa, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Sono pertanto partiti dal Quirinale gli opportuni segnali sulla opportunità, se non necessità, di una convocazione del Consiglio dei Ministri. E le conseguenti disposizioni agli uffici del Colle di interrompere ogni traffico di vecchie e nuove bozze, visti i rischi cui si era purtroppo prestata e ancor più si sarebbe prestata, nelle nuove condizioni create dalla denuncia di Di Maio, la volenterosa opera di consultazione o persuasione morale del presidente della Repubblica, e dei suoi consiglieri.

Altro francamente non avrebbe potuto disporre il capo dello Stato, peraltro fresco di una immersione di studio nella storia dei suoi predecessori, accingendosi a commemorare a Pontedera Giovanni Gronchi nel quarantesimo anniversario della morte, come ha poi fatto in un’atmosfera politica di accresciuto interesse.

Scambiata per una semplice decisione di Conte, o addirittura per una sua impuntatura sotto la spinta dei grillini, interessati a inventarsi chissà cos’altro in vista di un raduno a Roma con la partecipazione di Grillo in persona, il vice presidente leghista Matteo Salvini ha spavaldamente minacciato di disertare Palazzo Chigi per onorare precedenti impegni. E ha lasciato circolare per qualche ora voci su una clamorosa assenza di tutta la delegazione del Carroccio dal Consiglio dei Ministri annunciato dall’estero, essendo ancora Conte impegnato nel vertice europeo a cercare di tranquillizzare i suoi interlocutori sulla manovra finanziaria del governo. Che contemporaneamente veniva strapazzata a Roma dal commissario agli affari economici Pierre Moscovici per la sua “deviazione senza precedenti” dai parametri dei trattati dell’Unione, e dagli impegni assunti non più tardi dello scorso mese di luglio dall’attuale governo, e non solo dai precedenti in date anteriori.

Quando si è reso conto della manina del Quirinale nella convocazione del Consiglio dei Ministri, Salvini ha smesso di eccepire ed ha rimosso ogni ostacolo, pur consapevole del confronto assai scabroso che lo aspetta personalmente con Di Maio, per quanto preceduto di poche ore da un vertice che potrebbe disinnescarlo

Il vice presidente grillino del Consiglio, premuto dalle esigenze interne del proprio movimento, sempre più insofferente dei rapporti con la Lega, si è proposto di togliere a Salvini altri punti, dopo quelli sottrattigli nelle trattative sulla manovra finanziaria. Si tratta questa volta, dopo il ridimensionamento, a dir poco, della cosiddetta tassa piatta, di ridurre proprio all’osso il condono fiscale, sino a rendere inappetenti, senza uno scudo anche penale, i contribuenti ai quali Salvini voleva destinarlo pensando al suo elettorato, di certo, ma anche ai ricavi possibili per l’erario in funzione del finanziamento dei generosi programmi di spesa del governo: dal cosiddetto reddito di cittadinanza, la bandiera delle 5 stelle, allo smontaggio, anzi alla distruzione -la bandiera issata sul Carroccio- della odiata legge Fornero sulle pensioni.

 

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

 

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