L’equilibrista che Emilio Giannelli ha raffigurato con la sua vignetta di prima pagina sul Corriere della Sera nella persona del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in bilico su un filo alle cui estremità lo stanno a guardare, ben saldi sulle loro rocce, i vice presidenti grillino e leghista Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non è una forzatura satirica. E’ purtroppo una realtà politica, cui però Giannelli ha forse sbagliato a considerare estranei, scambiandoli per i soli controllori di Conte, i leader dei due movimenti che fanno parte del governo. Sono anch’essi degli equilibristi, che si illudono di stare sicuri e solidi sulle loro postazioni, come li ha appunto rappresentati il vignettista del Corriere.
Pure Di Maio e Salvini fanno gli equilibristi, osservati nei loro partiti da chi è pronto o tentato a prenderne le distanze per cercare di evitare di essere trascinati nella loro caduta.
Diversamente da quanto ha detto per comprensibile dovere di ufficio nel salotto televisivo di Barbara D’Urso – riuscita nel miracolo di non strappargli qualche cattiveria su Silvio Berlusconi, assente ma vero padrone di casa- Di Maio sa che Beppe Grillo continua ad avere su di lui, come “garante”, “elevato” e quant’altro, potere di vita o di morte politica. Sa anche che l’amicizia vantata con Alessandro Di Battista, come col presidente della Camera Roberto Fico, non impedirà né all’uno né all’altro di succedergli se e quando verrà il momento, forse anche prima di quando il vice presidente del Consiglio non si aspetti dietro quella facciata di sicurezza che ostenta sparando cifre e attaccando chiunque osi dubitarne. E ciò non solo fuori dal Parlamento, dove non si avrebbe la legittimità necessaria a criticare o solo a distinguersi dal governo, ma anche dentro. Dove le opposizioni dovrebbero solo vergognarsi di avere lasciato in eredità all’attuale maggioranza le rovine procurate al Paese dai loro governi negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, e anche prima.
Matteo Salvini, risparmiato dal processo ai partiti di governo del passato per avere consentito dopo il 4 marzo ai grillini di superare l’inconveniente di non avere i numeri elettorali e parlamentari necessari a comandare da soli, è costretto pure lui all’equilibrismo, dietro la facciata dell’uomo sicuro di sé che è riuscito a costruirsi. Vi è costretto un po’ dal passato, appunto, del suo movimento e un po’ dalla consapevolezza dei malumori e delle paure che vi serpeggiano, soprattutto sul terreno economico, Dove Salvini gioca in difesa rispetto ai grillini, che gli chiedono sempre di più sulla strada del deficit e del debito in cambio della tolleranza o copertura garantitagli sul versante dell’immigrazione e della sicurezza fino ad ora. Ma, appunto, fino ad ora, e fin quando il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno vorrà, saprà o potrà accontentare gli alleati di governo sul versante dell’assistenzialismo, delle nazionalizzazioni e simili.
Dev’essere stato proprio il disagio emerso fra e dai grillini sulla vicenda di Riace – dopo l’arresto del sindaco e il trasferimento annunciato degli immigrati che vi sono stati accolti e integrati con abusi contestati dalla magistratura, e in attesa di giudizio- a indurre pure Salvini all’equilibrismo di un comunicato del suo Ministero sul carattere “volontario” e non coatto degli allontanamenti dal Comune calabrese. Che ha smesso di essere famoso solo per i due guerrieri greci di bronzo scoperti e recuperati dalle sue acque nel 1972.
L’allontanamento “volontario”, senza il quale chi rimane a Riace del centinaio di immigrati accoltivi perderà ogni forma di assistenza, equivale all’ossimoro dell’”obbligo flessibile” della vaccinazione inventato dai grillini nei mesi scorsi.
Salvini ha inoltre tenuto a prendere in fondo le distanze dal suo stesso compiacimento per l’arresto del sindaco di Riace, espresso in violazione della presunzione costituzionale di non colpevolezza, cioè di innocenza, sino a condanna definitiva dell’imputato, riconoscendo finalmente il merito, dal suo punto di vista, delle prime ispezioni ministeriali nel Comune dei bronzi, oltre che degli immigrati, al governo del tanto odiato Matteo Renzi. Al Viminale c’era ancora Angelino Alfano, sostituito da Marco Minniti solo nel governo successivo di Paolo Gentiloni, dove Alfano si trasferì agli Esteri: ultimo suo traguardo politico prima del ritorno alla professione forense e delle incursioni vacanziere a Capri.
Ah, cosa si deve fare e dire, o non fare e non dire, per governare da equilibristi: persino proporsi, come ha appena fatto Di Maio, il blocco sostanzialmente punitivo delle rivalutazioni delle pensioni cosiddette d’oro, già minacciate di tagli dopo i contributi di solidarietà degli anni scorsi. Quel blocco esiste sostanzialmente già da tempo ed ha già contribuito a ridurre di molto i carati del presunto oro delle pensioni di 90 mila euro lordi non mensili, che fecero giustamente scandalo quando se ne scoprì un esemplare, ma annui.