Consente quanto meno di capire, e forse anche definire meglio, il nuovo bipolarismo italiano uscito dalle urne il 4 marzo scorso la vicenda del decreto legge su sicurezza, immigrati e altro. Che il presidente della Repubblica, non pienamente soddisfatto evidentemente delle modifiche fatte apportare con la cosiddetta persuasione morale svolta dietro le quinte, ha emanato scrivendo però al presidente del Consiglio una lettera per sottolineare l’obbligo di rispettare l’articolo 10 della Costituzione e le norme del diritto internazionale, trattati e quant’altro che vi sono richiamati a tutela dell’asilo allo “straniero impedito nel suo paese”.
Cadute le ideologie un po’ per stanchezza e un po’ per fallimento, il nuovo bipolarismo non è più fra destra e sinistra, e loro varianti come il centrodestra e il centrosinistra. E forse non sarà neppure fra leghisti e grillini, come Silvio Berlusconi teme che stia sognando Matteo Salvini grazie anche al suo aiuto, obbligato dalle circostanze politiche o dagli interessi delle sue aziende. E’ il sospetto dei più maliziosi, cresciuti magari alla scuola del compianto Giulio Andreotti, convinti cioè che a pensare male si faccia peccato ma s’indovini.
Il nuovo bipolarismo italiano è più antropologico che politico E’ fatto di fessi e i non fessi, liberi questi ultimi di sentirsi e definirsi intelligenti, o furbi, o dritti e via dettagliando. Salvini nella sua triplice veste di segretario della Lega, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno ha preceduto Giuseppe Conte, indaffarato a celebrare San Francesco ad Assisi, nella risposta alla lettera del capo dello Stato vantandosi appunto di non essere “fesso”. Il che gli ha permesso, fra l’altro, di non preoccuparsi per niente della missiva partita dal Quirinale, bastandogli e avanzandogli l’emanazione comunque avvenuta del decreto con la firma del presidente della Repubblica. “Ciapa lì e porta a cà”, ha detto Salvini nella sua solita diretta facebook dall’ufficio del Viminale nella convinzione, credo fondatissima, che le sue parole in dialetto milanese potessero essere ben comprese anche nel più profondo Sud, dove la Lega è riuscita ad affacciarsi grazie al suo nuovo leader.
Salvini si è peraltro vantato di avere già detto personalmente e direttamente al presidente della Repubblica, nell’incontro evidentemente conclusivo dell’opera di persuasione morale svolta da Mattarella, di essere consapevole di tutto ciò che è scritto nella Costituzione, su cui del resto anche lui ha giurato, ma di volerla rispettare e applicare con l’accortezza necessaria a non passare, appunto, per “fesso”. Come invece rischiano di essere trattati dai grillini -mi permetto di aggiungere, visto che ci siamo- i destinatari del cosiddetto reddito di cittadinanza promesso durante la campagna elettorale e troppo largo per entrare nei pur elasticizzati conti dello Stato senza sfasciarli.
Ogni giorno che passa e ogni dichiarazione che fa il vice presidente grillino del Consiglio e superministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio, il reddito di cittadinanza perde pezzi. Dai tre anni originari la sua durata sta passando a due o a un anno e mezzo, secondo chi parla fra grillini e leghisti. Dalla disponibilità in contanti si è passati a quella “tracciabile” della carta di credito per spese “essenziali”, non “superflue”, di cui qualcuno dovrà pur stendere un elenco senza poter evitare polemiche e barzellette, che d’altronde hanno già scatenato la fantasia dei vignettisti. Questa storia “fa ridere ma inquieta”, ha giustamente commentato Massimo Bordin a Radioradicale nella sua storica rassegna Stampa e Regime.
I pruriti giustizialisti dei grillini sono infine prevalsi anche sulla loro volontà di aiutare i bisognosi e di eliminare finalmente la povertà, dopo il fallimento di tutti i rivoluzionari che li hanno preceduti. Prima ancora di stendere l’elenco preciso dei beni essenziali da acquistare e di quelli superflui, o “immorali” da evitare, e di precisare meglio la stessa platea dei destinatari del reddito di cittadinanza, Di Maio ha sventolato le manette contro i “furbi”. Che potranno risparmiarsi carta di credito e acquisti dormendo e mangiando a spese dello Stato nelle patrie galere.