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Mentre la Repubblica –appena accusata da Luigi Di Maio con tutti i giornali dell’ex gruppo l’Espresso, oggi Gedi, di diffondere notizie false e di rischiare la chiusura- insiste a fare le pulci al presidente del Consiglio Giuseppe Conte per il concorso universitario a professore ordinario vinto nel 2002 col concorso, a sua volta, del suo mentore e socio di studio legale Guido Alpa, il titolare pentastellato di Palazzo Chigi è incorso in una dura lezione di governo e di professione forense sul Corriere della Sera. Dove l’ex direttore Ferruccio de Bortoli -quello che diede all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi del “maleducato di talento”- gli ha praticamente rimproverato di non essere né un buon presidente del Consiglio né un buon avvocato.
Il titolo dell’editoriale – “Il premier e il ruolo da giocare”- è in verità generico, come contrappeso forse alla severità, anzi durezza degli addebiti. Ma fa una certa impressione leggere sul giornale italiano più diffuso che il presidente del Consiglio lavora al di sotto della “diligenza del buon padre di famiglia”. E che sarebbe ora di “mettere sul tavolo le proprie dimissioni” per cercare di fermare i suoi due vice e “dare finalmente spessore e lineamenti al proprio volto politico”, non potendo bastare né a lui né soprattutto agli italiani “l’immaginetta di Padre Pio in tasca”.
“Non vorremmo un giorno non avere più santi a cui votarci”, ha concluso de Bortoli dopo avere rinfrescato la memoria di Conte come avvocato con l’articolo 24 del codice forense. Che gli prescrive di conservare rispetto ai “vivaci” clienti che difende -dal “popolo”, come si vanta, ai due partiti che compongono il suo governo- “la propria indipendenza” e “libertà da pressioni e condizionamenti”.
Da “esperto di arbitrati” il presidente del Consiglio dovrebbe peraltro “essere in grado di comporre interessi diversi, a volte confliggenti”, dopo avere fatto soppesare alle parti “rischi e opportunità, costi e benefici”: per esempio, di una rottura con l’Europa, pur al netto delle convinzioni funerarie espresse sul conto della Commissione di Bruxelles sullo stesso numero del Corriere della Sera, in una intervista, dal vice presidente grillino del Consiglio Di Maio. Che, al pari del leghista Matteo Salvini, scommette sui successori di Juncker, Moscovici e seguito per farsi accettare dopo le elezioni europee della primavera prossima, scaduti cioè i tempi della partita, il deficit di bilancio al 2,4 per cento del pil e tutto il resto.
La compensazione fra l’intervista tutta di attacco di Di Maio al governo uscente dell’Unione Europea e il contenuto dell’editoriale di Ferruccio de Bortoli ,contro la debolezza di Conte rispetto ai suoi due vice presidenti del Consiglio, è pari a quella che l’editore del maggiore giornale italiano sembra avere deciso di gestire fra il quotidiano storico di via Solferino e La 7: la rete televisiva dove i grillini sono un po’ trattati con i guanti. Non a caso i dirigenti pentastellati ne frequentano assiduamente salotti e quant’altro, al pari dei giornalisti che ne sostengono le cause politiche o ne comprendono o perdonano gli errori: quelli, per esempio, del Fatto Quotidiano, a cominciare dal loro direttore.
Marco Travaglio ha appena riconosciuto, nell’editoriale del Fatto, appunto, “tutte le boiate che fanno e le fesserie che dicono i ministri gialloverdi”, festeggiandole -ricordo- tra balconi e barconi, ma alla fine li ha assolti a causa del “pregiudizio universale che accompagna il governo Conte”. Parola di uno che di pregiudizi s’intende. E li pratica da tempo contro gli avversari.