Amleto approda in Forza Italia, accolto personalmente da Silvio Berlusconi

            C’è qualcuno che è messo peggio del ministro dell’Economia Giovanni Tria, che non sa più come dividersi con i suoi conti fra grillini e leghisti, più in particolare fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, per non parlare dei suoi rapporti col Quirinale. Dove Sergio Mattarella nelle ore pari gli manda segnali di incoraggiamento a resistere all’uno o all’altro o a entrambi i vice presidenti del Consiglio, che reclamano coperture ai loro costosi progetti di “cambiamento”, e nelle ore dispari lo fa dissuadere dalle tentazioni alle dimissioni. Il capo dello Stato evidentemente non sa ancora come sostituirlo, ma soprattutto come gestire una crisi di governo a quel punto difficilmente evitabile.

            Peggio di Tria è messo Silvio Berlusconi sia per i voti che il suo partito continua a perdere nei sondaggi, sia per l’amletica opposizione al governo gialloverde cui è costretto da una serie di ragioni in cui si mescolano rapporti e interessi politici e personali.

            Il centrodestra, peraltro a trazione leghista, come si dice da quando la Lega, appunto, ha sorpassato Forza Italia nelle urne il 4 marzo scorso, c’è e non c’è a seconda dei luoghi e dei momenti. Salvini un giorno porta il gelato al Cavaliere, avendone appreso i gusti già ai tempi di Umberto Bossi, e il giorno dopo glielo manda di traverso con un altro allineamento a Di Maio. Di cui  Berlusconi però non può dolersi però più di tanto perché Salvini prontamente gli ricorda il permesso accordatogli nei mesi scorsi, pur di evitare le elezioni anticipate, di fare il governo con gli odiati eredi o emuli dei comunisti e/o dei nazisti, secondo le circostanze e gli umori ad Arcore, sempre negativi comunque.

            Gardini.jpgLa versione amletica dell’ex presidente del Consiglio e di quel che gli resta di Forza Italia si è toccata con mano, diciamo così, nel salotto televisivo della compassata e gradevolissima Barbara Palombelli, sulla rinnovata Rete 4 di Mediaset, con le acrobazie cui si è costretta la sua ospite Elisabetta Gardini. Della quale, in verità, si erano un po’ perse le tracce sia come politica sia come attrice teatrale. Ma la signora, per sua fortuna, è ancora lì, in buona salute e ai suoi posti, compreso quello di capogruppo della componente forzista dei popolari europei nel Parlamento di Strasburgo.

            Ebbene, alle prese con gli affannosi sviluppi delle trattative fra grillini e leghisti nella definizione dei conti e con le bocciature che essi rimediano da ogni parte, a cominciare dai mercati,  prima ancora che qualcuno riesca a chiuderli, la signora Gardini non sapeva come spendersi nella doppia veste di sostegno e di opposizione al governo gialloverde. Di sostegno, in concorrenza peraltro con uno dei direttori di Mediaset collegato con lo studio dall’esterno, per la pretesa dell’Unione Europea e delle agenzie internazionali di rating di scrivere loro il bilancio italiano. Di opposizione, in concorrenza con l’altro ospite politico di studio, il vice presidente piddino della Camera Ettore Rosato, ma anche dell’ex direttore della Stampa Marcello Sorgi, per i guasti che sono destinate a procurare le misure messe in cantiere dal governo per cercare addirittura di abolire la povertà, almeno in Italia. Dove però il cosiddetto reddito di cittadinanza rischierà di portare in galera per sei anni i titolari che dovessero cercare di pagarsi con quei soldi anche le sigarette o qualche bottiglia di buon vino. Debbono continuare ad essere poveri, visto che gli stanziamenti possibili sono quelli che sono, ma astemi. E non fumatori.

 

 

Ripreso da http://www.startmag.it

Le parole magiche ma sfortunate rubate alla sinistra dai gialloverdi

Nella loro ansia di cambiamento, insofferenti a tutti gli ostacoli che incontrano, grillini e leghisti hanno adottato nella loro azione di governo due parole magiche della sinistra: magiche ma purtroppo sfortunate, come vedremo.

“Più ci attaccano più ci compattano”, ha detto orgogliosamente il vice presidente pentastellato del Consiglio Luigi Di Maio scommettendo sull’unita’ del suo movimento e della coalizione di fronte ai “complotti” e quant’altro in corso contro il governo in carica. Ma l’unità, di cui la sinistra è rimasta orfana anche nelle edicole, non essendole bastato lo scempio fattone nella sua lunga storia a livello partitico, parlamentare e sindacale, è un po’ problematica a vedersi sotto le cinque stelle.

Basta osservare le distanze silenziose che ha preso da ciò che sta accadendo Beppe Grillo, quasi sorpreso pure lui dalle prove che danno i suoi nelle stanze dei bottoni. Dove peraltro già Pietro Nenni scoprì nel 1963, approdato a Palazzo Chigi con Aldo  Moro, che mancavano del tutto.

Sempre più visibile invece è l’attivismo del presidente della Camera Roberto Fico, reduce da una missione a Bruxelles non proprio in sintonia con l’assalto all’arma bianca dei suoi compagni di governo agli uomini e agli organismi dell’Unione Europea. Di cui Di Maio ha quasi celebrato il funerale politico, sicuro che non potranno uscirne vivi dalle elezioni continentali della prossima primavera.

Circa l’unità della coalizione governativa, sarei più cauto di fronte a certe sofferenze all’interno della Lega, di cui forse si è fatto interprete negli ultimi giorni l’anziano ed esperto ministro degli affari europei Paolo Savona. Il cui peso, forse anche agli occhi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che pure non lo volle qualche mese fa alla testa del super dicastero dell’Economia,è cresciuta man mano che si è ridotta, al di là delle sue stesse responsabilità, quella del volenteroso titolare Giovanni Tria. Che è stato impietosamente ripreso televisivamente mentre il presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera gli spegneva il microfono.

All’unisono con Matteo Salvini, reduce a sua volta da un incontro con la leader della destra francese Marine Le Pen risultato particolarmente indigesto al già ricordato Fico, il vice presidente grillino del Consiglio grida “avanti” ad ogni richiamo non dico a tornare indietro, ma a fermarsi con la sua macchina curiosamente provvista, a quanto pare, di una sola marcia.

Avanti, rafforzata con l’esclamativo, è stata la parola magica e storica dei socialisti italiani, mutuata dai compagni tedeschi e tradotta anch’essa in una gloriosa testata giornalistica, scomparsa dalle edicole prima ancora dell’Unita’ fondata da Antonio Gramsci.

Matteo Renzi, pur togliendole scaramanticamente l’esclamativo, cercò non più tardi dell’anno  scorso di raccogliere e rilanciare la parola magica dei socialisti adottandola come titolo di un suo libro biografico e programmatico, scritto col proposito di riprendersi dalla sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale e dalla rinuncia a Palazzo Chigi. Si sa com’è finita: con la sconfitta elettorale del 4 marzo scorso e con la rinuncia anche alla segreteria del Pd.

Di Renzi, per quanto incredibile possa sembrare per l’animosità dei loro rapporti, Di Maio ha finito in questi giorni per ripetere anche il coraggio o l’imprudenza, secondo i gusti, di un attacco frontale alla Banca d’Italia nella persona del suo governatore Ignazio Visco. Del quale l’allora segretario del Pd reclamò inutilmente la testa, peraltro alla scadenza ordinaria del primo mandato, rimproverandogli una scarsa vigilanza su banche poi fallite. Di Maio invece lo ha sfidato, con una variante dei vaffa di Grillo, a presentarsi alle elezioni per conquistarsi il diritto, che oggi quindi non avrebbe, di giudicare la manovra economica del governo o, solo, di esprimere dubbi sulla sostenibilità dei costi dell’ennesima riforma previdenziale in arrivo.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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