Le ultimissime dalle 5 Stelle e dintorni per il popolo digitalizzato

            Formidabile. Il popolo del Movimento 5 Stelle, rigorosamente digitale, ha dovuto attendere le ore 12,51 di domenica 26 agosto per essere ermeticamente informato dell’epilogo della vicenda catanese degli immigrati finalmente sbarcati per intero nella notte dal pattugliatore della Guardia Costiera. Ermeticamente, perché il capo del movimento, vice presidente del Consiglio e superministro dell’Economia e del Lavoro Luigi Di Maio sotto un titolo sul “Governo compatto nelle emergenze” si è tenuto per sé le notizie dello sbarco, della distribuzione dei migranti concordata per ora con la Chiesa italiana, l’Albania e l’Irlanda, del ruolo esercitato dal ministro leghista dell’Interno Matteo Salvini, del procedimento giudiziario che questi si è procurato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio e nell’esaltazione di un “gioco di squadra” condotto per venirne fuori  ha ringraziato solo, nell’ordine, il ministro degli Esteri Moavero e il presidente del Consiglio Conte.

            Lasciata senza nome o particolari l’emergenza di Catania, chiamiamola così, Di Maio si è soffermato di più invece nella nota diffusa al suo popolo sull’emergenza Genova, quella cioè del viadotto Morandi crollato.  E ha  giurato che mai e poi mai sarà permesso alle Autostrade della famiglia Benetton di ricostruirlo e gestirlo, ma solo di pagarlo.

            Poche e naturalmente frettolose parole chiudono la nota di Di Maio per rivendicare il merito di aver fatto il suo dovere chiedendo nel 2016 le dimissioni dell’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano per avere avuto un avviso di garanzia per abuso d’ufficio, senza con questo sentirsi imbarazzato per avere scoperto il garantismo col pur non citato Salvini, oggi indagato anche lui per lo stesso reato, e anche per gli altri due già ricordati.

           Grillo.jpg Ancor peggio se l’è cavata sul suo blog ufficiale, e personale, Bebbe Grillo. Che nella nota dedicata agli eventi della vetinovesima settimana  della sua finestra sul mondo ha cominciato con la plastica in Cornovaglia e altre sparse per il pianeta ignorando la vicenda di Catania, ma non quella di Genova, giusto per non fare un torto alla sua città, oltre che a Di Maio.

Le opposizioni scavalcate, al solito, dalla magistratura contro Matteo Salvini

            Mattarella.jpgSergio Mattarella, esposto anche al maestrale che batte forte, mentre scrivo, sull’Ammiragliato della Maddalena che l’ospita in vacanza, si sarà messo le mani fra i capelli -come presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura- di fronte all’epilogo umanitariamente felic ma politicamente drammatico del blocco dei migranti sul pattugliatore della Guardia Costiera ancorato a Catania.

            Il blocco, in verità, è finito e i quasi duecento migranti iniziali, già ridotti di numero per lo sbarco prima dei minorenni senza accompagnamento e poi dei più malandati in salute, hanno ottenuto una destinazione fra la Chiesa italiana in grande maggioranza, l’Albania e l’Irlanda grazie al lavoro svolto dietro le quinte dal governo con la regìa del vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Che però si è guadagnato nel frattempo, insieme col suo capo di Gabinetto al Viminale, l’iscrizione nel registro degli indagati ad Agrigento per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Mancano per fortuna i reati di rapina e, in assenza di morti, di omicidio colposo.

            Patronaggio.jpgNel momento stesso in cui ha indagato Salvini e il suo principale collaboratore al Ministero dell’Interno, però, il capo della Procura di Agrigento Luigi Patronaggio, reduce da una missione di lavoro a Roma per interrogare funzionari del Viminale, ha dovuto spogliarsi delle indagini e trasmettere il fascicolo a Palermo. Dove scattano le competenze e procedure del tribunale dei ministri, istituito in ogni distretto di corte d’Appello nel 1989 per giudicare i reati ministeriali, sino ad allora giudicabili dalla Corte Costituzionale.

            Il tribunale dei ministri di Palermo, come tutti gli altri in Italia, è composto di tre giudici effettivi e tre supplenti, sorteggiati ogni due anni fra tutti i magistrati del distretto giudiziario, il più alto dei quali in grado o il più anziano, in caso di parità, ne assume la presidenza.

            Entro 90 giorni dalla ricezione degli atti, sentiti gli indagati con la collaborazione della Procura ordinaria, il tribunale dei ministri potrà decidere l’archiviazione del fascicolo, salvo ulteriori accertamenti richiesti dalla Procura, o trasmettere gli atti al Parlamento. In questo caso la destinazione sarebbe il Senato, cui Salvini appartiene. E dove, col passaggio attraverso la competente giunta, si potrà negare -nell’interesse superiore dello Stato-  o concedere l’autorizzazione al processo ordinario con la maggioranza assoluta dei voti, cioè dei componenti l’assemblea. E’ una maggioranza della quale ogni governo dovrebbe disporre sulla carta per nascere e sopravvivere, anche se ad ottenere o a perdere la fiducia basterebbe la maggiorana semplice: quella cioè dei partecipanti alla votazione.

            Da questa sommaria descrizione di fatti e ipotesi risulta evidente una cosa che costituisce l’aspetto politicamente drammatico della vicenda, anche se conforme, per carità, alle norme costituzionali e ordinarie in vigore: l’assunzione, di fatto, del ruolo di opposizione al governo da parte della magistratura. Lo prova la scomparsa dalle prime pagine di tutti i giornali delle voci delle opposizioni politiche, per cercare le quali bisogna spingersi nelle pagine interne, trovandole spesso in forma così modesta da sfuggire a prima vista.

            L’associazione nazionale dei magistrati non vuole sentirselo dire né dall’ultimo dei cronisti o osservatori politici né da Salvini. Che ha reagito all’iniziativa giudiziaria gridando “vergogna”, dopo avere scavalcato le transenne della manifestazione di partito che l’ospitava,  e sfidando i magistrati ad arrestarlo, pur nella consapevolezza che questo non potrà almeno per ora accadere. E ciò sia perchè non sarà possibile senza l’autorizzazione del Senato, essendo Salvini parlamentare, sia perché da indagato presso il tribunale dei ministri l’arresto sarebbe possibile solo in flagranza di reato. Che è una circostanza alla quale il ministro dell’Interno si è sottratto nel momento in cui, raggiunti gli accordi con i vescovi italiani, con l’Albania e l’Irlanda, ha voluto e potuto disporre lo sgombero degli immigrati dal pattugliatore della Guardia Costiera, che li aveva raccolti in mare tra Malta e Lampedusa e trattenuti a bordo a Catania in attesa della loro ripartizione fra più paesi o entità, com’è appunto avvenuto.

            Nel lanciare la sua sfida ai magistrati, di fatto subentrati -ripeto- alle opposizioni politiche, parlamentari, sindacali, associative e di ogni altro tipo non giudiziario, Salvini si è appellato ai “60 milioni di italiani”, che esigono e meritano “la difesa dei confini” e la salvaguardia delle condizioni di sicurezza, non potendogli evidentemente bastare i 5 milioni 691 mila e rotti connazionali che hanno votato per la Lega nelle elezioni del 4 marzo scorso, pari al 17,37 per cento. Che è una  quota  già aumentata nelle elezioni locali successive a quelle politiche e nei sondaggi, ma che potrebbe ulteriormente salire -vista l’aria che tira nel Paese- nelle elezioni della primavera dell’anno prossimo per il rinnovo del Parlamento europeo, o in quelle nazionali anticipate che dovessero sopraggiungere per una crisi di governo senz’altra soluzione che il ricorso alle urne.

            Nel frattempo, oltre a cambiare il quadro o clima politico dell’Italia, dove sembra essere tornati alla fine della cosiddetta prima Repubblica, fra il 1992 e il 1993, quando a guidare o a condizionare l’opposizione politica fu la magistratura con le indagini milanesi contro il finanziamento illegale dei partiti e la corruzione che spesso l’accompagnava, è peggiorato in queste ore il quadro o clima dei rapporti fra il governo di turno a Roma e l’Unione Europea. Che, sottrattasi di fatto di fronte alla vicenda di Catania agli impegni tutti verbali di una qualche redistribuzione dei migranti approdati sulle coste italiane come confini meridionali dell’Europa, si è infilata pure lei in un vicolo senza uscita, col rischio di un blocco o di una riduzione drastica delle quote associative di uno dei paesi fondatori della comunità politica e monetaria del vecchio continente. E con tutto ciò che potrà seguirne: un altro dramma nel dramma. Che a Salvini però non sembra preoccupare più di tanto, vedendovi anzi l’occasione, forse, per una ridiscussione davvero delle regole che va reclamando da tempo, e non solo nella gestione del fenomeno migratorio.

            Di Maio.jpgA mettersi le mani fra i capelli,  oltre a Mattarella,  cominciano forse anche gli alleati di governo dei leghisti: i grillini. I cui blog -quello ufficiale del movimento e quello personale di Grillo- non a caso stanno ignorando o declassando gli sviluppi della vicenda catanese. E il cui capo politico, cioè il vice presidente del Consiglio e superministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio, dopo avere avvertito per telefono Salvini di non “riuscire più a contenere i miei”, secondo versioni giornalistiche non smentite, ha dovuto tornare ad annacquare il giustizialismo tradizionale delle 5 Stelle.

            In particolare, escludendo le dimissioni del suo collega di governo Di Maio ha dovuto smentire i suoi non lontani trascorsi di due anni fa, quando reclamò le dimissioni dell’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano perché raggiunto da un avviso di garanzia per abuso d’ufficio.

            Omnia munda mundis, dicevano i latini quando erano convinti che tutto fosse puro per i puri, di turno.

Blog su WordPress.com.

Su ↑